
TEEN-COACHING per la vita, per la scuola
1) Introduzione
Nel concludere questo bellissimo percorso di studi, ma anche di crescita personale e professionale, ho scelto di affrontare nel mio elaborato il tema del coaching rivolto in particolare agli adolescenti. Sono oramai più di dieci anni che aiuto e supporto privatamente nello studio molti studenti in un range di età compreso tra i 14 e i 22 anni.
L’esperienza che ho maturato con ragazzi sempre diversi nel carattere e nelle attitudini e ovviamente nel trascorso personale, mi ha insegnato che la causa di uno scarso rendimento scolastico o comunque un atteggiamento problematico nei confronti dello studio e dell’apprendimento, è sempre collegato ad una scarsa considerazione delle proprie capacità.
Dopo aver affrontato il corso di coaching e aver potuto sperimentare in prima persona molti strumenti di coaching durante le lezioni con i ragazzi, mi sono resa conto delle grandissime potenzialità del metodo. L’applicazione del coaching agli studenti presenta aspetti di grande innovazione rispetto alla formazione intesa in modo tradizionale. Il metodo permette allo studente di scoprire le proprie potenzialità e volgerle al servizio dello studio per la ricerca del proprio metodo di studio efficace, per questo è altamente innovativo rispetto alla formazione tradizionale che invece tende ad insegnare ogni disciplina con un unico metodo, che si rivela efficace per alcuni, ma inefficace per molti altri.
Inoltre, aspetto non trascurabile, ho ricevuto io stessa in dono dal metodo la capacità di indossare i cosiddetti “occhiali del coach”, che mi consentono di vedere ciascuno studente nella sua unica e preziosa individualità, con un profondo rispetto e l’assenza della voce “interiore” giudicante che purtroppo solitamente ci accompagna in ogni relazione.
2) Perché spesso è difficile apprendere?
In una fase cosi delicata della vita, pertanto, ritengo che il coaching possa rappresentare un valido supporto per tutti i ragazzi che hanno difficoltà scolastiche, ma più in generale per tutti i ragazzi che si sentono confusi, che non hanno le idee chiare sulle proprie attitudini, che rivelano di non sentirsi adeguati e che in generale sentono il bisogno di “chiarirsi le idee”.
Basandomi sulla mia personale esperienza, posso dire che le motivazioni alla base della difficoltà nell’apprendimento e quindi dello scarso rendimento scolastico, sono più o meno sempre le medesime.
La modalità che meglio consente di entrare in un rapporto di massima trasparenza e sincerità con lo studente è la sessione (o lezione se si tratta di un supporto prettamente scolastico) a due, ove il ragazzo si sente libero di potersi esprimere liberamente.
In particolare, durante il primo incontro con uno studente, dopo un breve colloquio con un genitore, che mi esprime il proprio punto di vista sulla situazione di partenza del ragazzo, pongo direttamente a lui una domanda di questo tipo: “Cosa ti ha portato qui?”.
E’ una domanda molto aperta, che porta l’accento sul ragazzo, sulle sue personali motivazioni (se ci sono) a intraprendere un percorso di sostegno, che lo rende figura attiva e non solamente mero esecutore di volontà o richieste altrui.
A volte questa domande apre scenari molto variegati… ma il più delle volte mi viene raccontata la difficoltà di prestare attenzione in aula, la scarsa empatia col docente, un passato di insuccessi che hanno convinto il ragazzo della propria incapacità e causato insicurezza e demotivazione. A tutto questo, che già racconta moltissimo dell’individuo, spesso si aggiunge un rapporto conflittuale con i genitori e le loro aspettative, spesso impositive.
Il risultato di tutto questo è una totale chiusura all’apprendimento.
Ogni insuccesso scolastico segna profondamente l’adolescente, sia nel rapporto con se stesso sia nella sua convinzione di “sapere o non saper fare”.
“E’ inutile che perda tempo a studiare, tanto non serve a niente! Non riuscirò mai ad avere la sufficienza!” è una frase che sento ripetermi spesso all’inizio.
Dietro a tutto questo, in realtà, gli adolescenti che ho conosciuto chiedevano ascolto, sostegno, fiducia, stima e amore.
Tuttavia assumevano comportamenti di sfida, apparivano superficiali e disinteressati.
Erano molto critici e polemici. E i genitori erano disorientati e impotenti.
In un mondo competitivo come il nostro, dove conta il “tutto e subito”, i ragazzi che non riescono a raggiungere velocemente i risultati che tutti si aspettano da loro vengono considerati “inadeguati”. Un macigno da sopportare per chi, come loro, cerca di capire chi è e che cosa vuole. Sentirsi inadeguati, infatti, significa crescere dovendo sempre dimostrare qualcosa agli altri. E’ il concetto di “non essere MAI abbastanza”: abbastanza bello, abbastanza bravo, abbastanza intelligente, studioso, simpatico e così via.
Questo genera incertezze, insicurezze, scarsa autostima, persino rabbia.
E ha ripercussioni sul loro futuro e sul loro modo di essere adulti.
Volendo sintetizzare, ritengo che si possano identificare queste principali aree sensibili che influenzano enormemente la modalità con la quale l’adolescente si approccia allo studio e all’apprendimento in genere:
- l’idea di sé stesso E’ ciò che il ragazzo pensa di se stesso globalmente, frutto dell’insieme delle sue esperienze e convinzioni maturate, riguardo alle sue potenzialità e attitudini. Spesso mi viene detto “Non so fare nulla”, “Non sono una persona adatta a studiare”, “Non sono portato per nessuna materia”.
- il rapporto con i genitori Nella vita di un adolescente, la prima causa di conflitto con la famiglia è il rendimento scolastico (o universitario). Gli studenti che riescono a studiare per se stessi e non per compiacere o assecondare i genitori, sono solitamente quelli che non incontrano difficoltà, in quanto la loro motivazione è interiore e assumono la totale responsabilità della loro condotta.
- le aspettative altrui (docenti, famigliari, amici) Frequentemente le aspettative generano uno stato ansioso che offusca la capacità di esprimersi al meglio, in questo senso agiscono in maniera controproducente.
- le convinzioni limitanti maturate nel tempo L’insieme delle esperienze negative vissute funge da validazione della propria inadeguatezza e rafforza il pensiero negativo di se stessi.
I pensieri creano la realtà, per questo è fondamentale offrire ai ragazzi una prospettiva nuova. Frasi come “Il professore mi detesta!”, “Posso studiare anche tutto il pomeriggio, tanto non ci posso arrivare!” sono esempi di convinzioni limitanti, che creano a livello mentale una sensazione negativa, che rende inabili ad agire e reagire.
Per superare questi pensieri fossilizzati nella mente, che portano a prendere sempre le medesime decisioni, come se si percorresse un solco profondo, è importante l’utilizzo del pensiero laterale. Esso si basa sull’intuizione ed è un’utile alternativa al “pensiero verticale”, logico e condizionato che relega e imprigiona ogni nuova idea o informazione dentro modelli rigidi e sempre uguali.
Con le parole di Heinz von Foerster: «L’unico modo per aiutare qualcuno è aiutare la sua capacità di riflessione autonoma, aiutarlo a crearsi alternative nel pensare e nell’agire; aumentare le sue alternative di scelta» (Heinz von Foerster)
Riuscire a scardinare i modelli mentali dentro ai quali ci muoviamo, ci dà la possibilità di cambiare prospettiva sia sul problema sia sulla soluzione, facilitando l’intuizione “illuminante”.
- le relazioni con i docenti La scuola non è solamente un luogo di studio, ma è anche un luogo dove si creano e si vivono relazioni. Un rapporto conflittuale o di scarsa empatia con i docenti spesso rende ancora più difficile un buon rapporto con lo studio. In questo senso la relazione col docente, se negativa, oscura il contenuto, per quanto possa essere interessante o stimolante. Provo sempre una grande gioia quando mi sento dire, ad esempio “Ma sai che la matematica non è poi brutta!”, perché in quel momento comprendo che il contenuto è riuscito ad arrivare grazie alla relazione. La barriera è stata abbattuta e il “nemico” (ad esempio la matematica) è finalmente diventato un amico.
- le difficoltà nella comunicazione Spesso i ragazzi non riescono a comunicare la propria difficoltà, ad esempio ammettendo con un professore di non aver capito una lezione per chiedere chiarimenti, equesto rende ancora più difficile allo studente poter superare la propria problematica. Ad esempio la timidezza o l’insicurezza rendono difficile allo studente comunicare il proprio stato di bisogno a chi potrebbe aiutarlo.
3) Il coaching può essere la chiave di svolta
Ritengo che un percorso di coaching mirato sulle esigenze di un adolescente possa veramente sbloccare ed aumentare il potenziale, consentendo non solo un miglioramento del rendimento scolastico, ma anche scelte più consapevoli e un futuro di realizzazione.
Per gli studenti che si rivolgono a insegnanti di sostegno solamente per un aiuto nello studio, l’uso degli strumenti di coaching da parte del docente faranno ugualmente la differenza, consentendo al ragazzo di scoprire le proprie capacità, di sperimentare il piacere di riuscire anche laddove riteneva di non essere capace e di divenire “centrato” rispetto ai propri intimi obiettivi.
I ragazzi con cui mi sono confrontata raramente avevano cercato il mio aiuto spontaneamente, il più delle volte erano stati letteralmente obbligati dai genitori, stanchi di ricevere brutti voti in pagella.Tuttavia, ogni volta la relazione instaurata con i ragazzi mi ha consentito di trasformare una lezione “imposta” in un’opportunità di crescita e di miglioramento personale. La maggior parte delle volte, i ragazzi hanno continuato a chiamarmi per ricevere supporto anche una volta risolto il problema contingente.
L’elemento essenziale e imprescindibile per fare un buon lavoro è sicuramente la RELAZIONE, che dev’essere basata sulle cosiddette “4 A“: Accoglienza, Ascolto, Alleanza, Autenticità (Scuola INCOACHING).
Una frase che ho imparato a ripetere come un mantra mentalmente all’inizio di ogni incontro è la seguente: “Tu sei perfetto come sei”. Ripetendomi questa frase, indosso gli occhiali del coach e la persona che mi trovo di fronte diviene uno scrigno ricco di tesori da svelare. Cosi facendo, la mia persona diviene uno specchio limpido e pulito, che altro non farà se non riflettere la bellezza e unicità del mio interlocutore.
Questa è la base dell’accoglienza, che non sarebbe possibile se non ci fosse una totale accettazione della persona esattamente per come è, senza l’interferenza del giudizio e/o della volontà di cambiare la persona che si ha di fronte.
I ragazzi, sentendosi completamente accettati per come sono, riescono finalmente ad aprire il loro cuore e a mettersi in comunicazione con la loro parte profonda. Si tratta della condizione relazionale positiva in cui sia coach sia coachee sono in uno stato di benessere e armonia (“io sono ok, tu sei ok”).
In questa condizione di armonia e di fiducia, lascio che lo spazio venga interamente occupato dal ragazzo, che diventerà gradualmente sempre più sicuro di se stesso e delle proprie capacità, accorgendosi di quanto sia bello scoprirsi abili e capaci. In questo modo potremo lavorare in condizioni di “FLOW”, secondo la definizione dello psicologo M. Csikszentmihalyi. Lo stato di flusso è quella condizione unica di estasi nella quale, idealmente, “l’esistenza è temporaneamente sospesa”, poiché tutta la concentrazione è messa nello svolgimento di qualcosa che ci assorbe completamente. In questo stato, non c’è spazio per pensare ad altro, ad esempio ai problemi che ci attendono a casa o alla fatica o alla fame. Esiste solo ciò che stiamo facendo, siamo completamente coinvolti e presenti, con tutta la nostra passione e creatività. Nello stato di FLOW si ha il pieno coinvolgimento delle migliori abilità della persona, la sua attenzione totale, la chiarezza della meta da raggiungere, un ottimale senso di controllo, il corpo e la mente impegnati al limite.
E’ evidente che le condizioni che rendono possibile lo stato di FLOW, presuppongono una visione chiara dei propri obiettivi e la consapevolezza del corretto bilanciamento tra ciò che si deve fare e le competenze e risorse possedute.
In concreto, solamente quando un ragazzo si sentirà sicuro delle sue capacità e sentirà l’irrefrenabile il desiderio di fare una certa azione (per esempio offrirsi volontario in una interrogazione che ritiene molto difficile, pertanto con un elevato livello di sfida), avrà la concentrazione e la determinazione necessarie per affrontare con soddisfazione l’impresa.
4) Dritti verso i propri obiettivi
Un percorso di coaching, ma anche soltanto l’utilizzo di strumenti di coaching, può veramente aiutare gli adolescenti a fare chiarezza dentro di sé e a crearsi un’idea limpida e sincera del proprio futuro desiderato. Sarà questa idea, elaborata sinceramente e spontaneamente, a guidarli successivamente nella realizzazione dei propri personali obiettivi, siano essi scolastici o personali.
Avendo instaurato una buona relazione, condizione imprescindibile per la riuscita del percorso, il primo passo sarà dunque la raccolta di informazioni da parte del coach, indispensabili per inquadrare la situazione di partenza. Si lascerà pertanto libero il ragazzo di esprimersi, astenendosi da ogni giudizio o consiglio, affinché possa esplorare e dare forma al proprio presente. Attraverso una serie di domande, il coach lo aiuterà a divenire consapevole delle proprie personali potenzialità, conosciute e sconosciute. Saranno queste, una volta allenate e trasformate in competenze, a consentire il raggiungimento degli obiettivi.
Ritengo che l’aspetto cruciale sia aiutare l’adolescente ad arrivare a obiettivi realmente personali, cioè che gli appartengono in quanto intimamente legati alla sua essenza, libera da condizionamenti e aspettative altrui. Arrivati a questo punto, solitamente è naturale e scorrevole il passaggio all’individuazione dei passi da seguire per raggiungerli.
Quando si intravede lo scopo, la vocazione, tutto diventa più semplice e intuitivo. La presenza di eventuali ostacoli non fermerà il desiderio di proseguire, incessantemente, perché la motivazione interiore sarà talmente forte da fungere da traino.
Ad esempio, alcuni studenti che hanno voti molto bassi a scuola e si sono creati l’idea di non essere portati per lo studio, di essere incapaci e di “valere” poco, scoprono durante il percorso di desiderare ardentemente una “rivincita” rispetto a tutto questo. Attraverso l’immaginazione, ad esempio chiedendo loro di descrivere come si sentirebbero se in un compito di matematica ricevessero un “8” anziché il solito “3”, li si può aiutare a visualizzare il loro futuro desiderato. A quel punto avverrà tutto di conseguenza: “Come puoi arrivare in quella situazione desiderata con le tue risorse?” “Cosa puoi fare concretamente ogni giorno per prendere 8 in matematica?”. Saranno cosi loro stessi, responsabili del loro percorso, a capire l’importanza dell’esercitazione, dell’allenamento quotidiano, sarà loro premura conquistare ogni giorno un po’ di quel traguardo che si sono prefissi.
Nella mia personale esperienza lavorando con adolescenti, mi sono accorta della forza e della tenacia che riescono a tirare fuori, quando “sentono” intimamente un obiettivo.
Non vi sono più limiti alla loro capacità di avanzare dritti verso l’obiettivo e chi inizialmente era insicuro e titubante, improvvisamente mi confessa di aver capito di desiderare ardentemente una certa cosa e di essere disposto a tutto pur di raggiungerla!
Si tratta della svolta.
5) Conclusioni
Sono profondamente convinta della validità del metodo del coaching applicato agli adolescenti. La relazione facilitante tra coach e adolescente consente ai ragazzi di essere “visti” in maniera non giudicante e di essere supportati in un processo di crescita personale. Ritengo che questo tipo di relazione sia fondamentale per gli adolescenti, che attraversano spesso una fase di sfida e di ribellione rispetto ai giudizi e ai consigli che ricevono. L’accettazione incondizionata del loro modo di essere e di porsi rappresenta le fondamenta sulle quali costruire un’alleanza con loro. Ciò che rende unico un percorso di coaching è l’assenza di qualunque tentativo di cambiare le persone o di indurle a fare qualcosa.
Soltanto credere in loro e nelle loro potenzialità, fiduciosi che possiedano tutte le risorse per compiere un percorso di crescita, risulta realmente utile, con la consapevolezza che ciascuno di noi è unico e possiede un talento che lo contraddistingue.
Nessun giudizio, nessun consiglio, nessun ordine, ma solo un supporto nel prendere coscienza di sé e delle proprie potenzialità e capacità, per dare loro l’opportunità di divenire adulti in grado di prendere decisioni orientate al proprio benessere e ai propri obiettivi.Il coaching può aiutare gli adolescenti a comprendere la propria vocazione al futuro.
Elaborato realizzato da:
Elena Marvasi – Life e Teen Coach
Contatto e-mail: elemarva@msn.com
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