Sulle domande e sul domandare

Categoria: Sulle domande e sul domandare

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Sulle domande e sul domandare

Premessa

Il presente articolo si interroga sul tema delle domande e del domandare.

Nell’ambito del Coaching la domanda rappresenta la condizione necessaria e sufficiente per realizzare una sessione seguendo il processo.

È dunque lo strumento attraverso cui relazionarsi con il Cliente.
A differenza di altre professioni, che pure ne fanno ampio uso, nel Coaching, data la notevole e generativa sproporzione di parole pronunciate dai due ruoli (Coach:Coachee = 1:10), la domanda assume anche la veste di principale forma di interazione relazionale.
È il ‘pezzo forte’ del prodotto che il cliente acquista. E perciò va approfondita e studiata a fondo in modo che, quando la si usa, abbia il taglio più giusto possibile per il Coachee, che ci sta donando la sua fiducia.

 

Domandare e interrogare

Domandare: dal latino ‘demandare’ significa affidare, raccomandare ed è senz’altro il termine che usiamo con maggior facilità e frequenza. E anche nel suo etimo ritroviamo elementi preziosi al nostro scopo. In qualche modo infatti il Coach ‘affida’ la domanda al Coachee, affinché egli ne faccia un uso ‘buono per sé’.
L’affidare contiene anche una raccomandazione: che tu ti occupi, al posto mio, di qualcosa cui io tengo. Nel caso specifico, la domanda identificata è posta per l’evoluzione del Coachee.

Per curiosità, dato che compare spesso nella traduzione del Teeteto di Platone, ho esplorato anche il verbo interrogare: dal latino ‘inter-rogare’ significa chiedere. Al Coachee consegno una ‘richiesta’. Per lui stesso, poiché sono al suo servizio e aderisco incondizionatamente al suo progetto specifico e alla sua richiesta di sviluppo del potenziale.

Quindi che richiesta consegno al Coachee? Forse quella che utilizzi quella domanda per trovare la sua verità su quella cosa specifica in quella sessione.

 

Socrate – Teeteto

Socrate è il primo anello della nostra catena della time-line storica del Coaching. Nella lettura ho incontrato un concetto per me interessante, che ho percepito fortemente rispecchiato nel Coaching.
Consiste in ciò: Socrate sostiene che solo alcune persone siano ‘gravide’, ovvero adatte a confrontarsi e beneficiare della sua arte che consente il parto, non senza passare dalle doglie. ‘Gravide’ di cosa, mi chiedo. Secondo la mia comprensione di quanto letto: di ‘umiltà’, ‘ignoranza’ e desiderio di conoscere la propria verità.
La posizione di una persona che si confrontasse con Socrate partirebbe dal suo limite contingente, dal confine cui è giunta e si trova in quel momento. Confine che, attraverso l’arte maieutica, Socrate sarà in grado di ‘modificare’ sensibilmente, ‘spostare’ o addirittura ‘rimuovere’. Dal Teeteto emerge che non tutti coloro che si rivolgevano a lui erano da lui stesso ritenuti adatti per ricevere le sue domande, affrontare il ‘dolore’ e dare alla luce le loro opinioni e, in seguito, verità.

Alcuni ‘sapienti’ infatti non sembrava fossero accompagnati dal necessario atteggiamento per accogliere con fertile predisposizione, ad esempio, il “farsi strappare di dosso” qualche “fantasma” per dar spazio all’emergere della verità. È tautologico che una persona ‘non gravida’ non necessiti di un ostetrico.

In tutto ciò ritrovo la Coachability della Sessione Preliminare dove infatti il Coach raccoglie elementi necessari per comprendere se il percorso che il potenziale Coachee sta cercando per affrontare e gestire la sua ‘crisi di auto-governo’, sia proprio quello del Coaching.
Ovvero se egli possa trarre attivamente giovamento da questo tipo di approccio che sollecita autonomia e responsabilità.
Ma anche se abbia in sé il seme che, coltivato nel Coaching, possa dare frutti o se invece questo percorso, per quella persona, non sia terreno arido per i suoi presupposti e bisogni (magari di ottenere direzione, consiglio e suggerimenti, elementi, appunti, assenti nella relazione Coach-Coachee).

Per iniziare un percorso di Coaching è necessario aver incontrato ‘un’ limite che, riconosciuto, consente nel percorso l’accesso alla potenzialità.

 

Edgard Schein – l’Arte di far domande

Schein, in questo libro del 2013, ci accompagna nella riflessione sulla contemporaneità e ci segnala quanto viviamo in una cultura solcata dal ‘dire’ e dal ‘fare’ in cui l’ascolto, necessario per porre domande ma anche per rispondervi, rimane sullo sfondo, e sia poco frequentato. “Privilegiamo il dire rispetto al domandare perché viviamo in una cultura pragmatica e orientata alla risoluzione di problemi che dà valore al sapere e al comunicare agli altri ciò che sappiamo”.

Anche lui, così come fece secoli prima Socrate, si sofferma sul concetto di ‘umiltà’ e parla addirittura di “umile ricerca di informazioni” come l’arte di “indurre l’interlocutore ad aprirsi”, di “fare domande di cui non si conosce la risposta” e di “costruire una relazione fondata sulla curiosità e sull’interesse per l’altra persona”.

Trovo interessante e nutriente il fatto che la relazione con il Coachee, che nel Coaching viene espressa dal Coach principalmente attraverso le sole domande, venga letta come chiave per costruire una relazione.
In effetti nella mia esperienza di Coach, laddove presto sempre attenzione ad utilizzare il tu/lei, i Coachee mi restituiscono spesso il “noi”.
Il percorso è il loro ma la mia presenza, anche se con le sole domande, ottiene come feedback questo dono del “Noi”.
Con le mie domande è come se dicessi all’altra persona ‘sono disposto ad ascoltarti e mi rendo vulnerabile nei tuoi confronti’”.

Il contesto in cui si muove Schein non è quello del Coaching. Tuttavia, le sue suggestioni e affermazioni mi suonano preziose per ampliare un poco il contesto di quanto appreso.
Ad esempio: “Se siamo autenticamente interessati alla vera storia dell’altra persona, dobbiamo evitare di pilotare inavvertitamente la conversazione”. È il comandamento dei Coach: ‘Non avrai altra guida all’infuori di me. Il tuo Coachee’, il disorientamento positivo.
Il Coach ha la responsabilità di porre domande utili. Significative. E dunque, se è vero che le domande sono il ‘pezzo forte’ del prodotto che il cliente acquista, sarà anche su queste che lui valuterà la bontà del Coach – che può non coincidere con la bontà del percorso.

 

In una cultura come la nostra, fondata sul dire, domandare risulta difficile”.
Non ci viene insegnato, non ne abbiamo evidenti e quotidiani esempi al pari del ‘dire’. Quanto meno non ci sono chiari esempi di domande ‘non qualsiasi’, di domande di qualità, che elicitino risposte di medesima categoria.
In molti casi, nei Manager che incontro nel mio lavoro, l’attitudine, ad esempio coi collaboratori, è quella di ‘dire’ loro cosa fare, molto meno sollecitarli a ragionare ponendo loro interrogativi.

Ne desumo che anche l’abitudine a rispondere non sia significativamente frequentata. In particolare a rispondere contattando sé.
Il Coaching è complesso. Tanto per il Coach quanto per il Coachee. Il Coach dovrà lavorar sodo per migliorare la qualità delle proprie domande e per mettere da parte le sue aspettative e preconcetti indossando la sola veste della ricerca connessa agli obiettivi esplicitati dal Cliente. Il Coachee dovrà impegnarsi a fondo, nel tempo del percorso, per portare le domande dentro di sé e trarne il massimo beneficio possibile, attingendo alle proprie risorse.
È una partnership ricca e impegnativa, perciò fruttuosa!

 

Alessandro Pannitti e Franco Rossi – L’essenza del Coaching

Nell’Essenza del Coaching, con riferimento alle domande, mi colpisce questa frase: “nel porre domande il coach dovrà necessariamente cercare di capire quali sono gli schemi che il cliente mette in atto nel suo rapporto con la realtà, e ciò sarà tanto più possibile quanto più il racconto stimolato dalle sue domande sarà descrittivo e non rimarrà sul piano del pensiero interpretativo generalizzato”.

 

Trovo in questo un’utilità molto concreta. Viene infatti indicata una strada: in tutto ciò che il cliente porta, il Coach deve essere in grado di cogliere e dunque comprendere quali schemi metta in atto nel rapporto con la realtà.
Viene inoltre indicato ciò che va ottenuto: un racconto descrittivo.
Il porre domande è dunque utile si posizioni, probabilmente, su aspetti di natura esperienziale circa quanto accade alla persona nel concreto specifico.
Lo scopo è far emergere il più possibile, da una esperienza, il quadro che l’ha caratterizzata in origine.
In ciò la PNL mi soccorre, con il concetto di ‘sensorialmente basato’.

Mentre pongo domande per consentire al cliente di ‘completare’ la sua descrizione, ciò gli è già d’ausilio e gli consente l’emergere di connessioni o insight non realizzati prima. Ottenuta la descrizione, questa rappresenta il portone di accesso alla profondità auspicata e dunque dischiude l’ingresso a nuovi ‘panorami’, consente di cogliere il rapporto Coachee-sua rappresentazione della realtà ed è terreno fertile per formulare domande efficaci.

 

Riflessioni sulla domanda nel coaching

  • Habitus

Fare il Coach o essere Coach?
Penso che questo sia un interrogativo utile per definire il grado di impegno e di coinvolgimento in questa sfidante professione.
Posso io relazionarmi ‘come mi capita’ in ogni circostanza della vita e ‘fare il Coach’ solo durante le sessioni?
Può la mia preparazione essere affidata, nella pratica, alle sole sessioni?

Proprio laddove il Coaching presenta un ostacolo, quello dell’allenamento intenso e impegnativo nel breve tempo di una sessione, porge anche la soluzione dell’esercizio, nell’immensa palestra della quotidianità.
Infatti in parte senz’altro c’è anche da ‘studiare’, per fare il Coach. Ma, con riferimento ai concetti esaminati sino ad ora, l’atteggiamento interiore è forse un presupposto ineludibile che va costruito, coltivato, preparato anche fuori dal setting, affinché nel momento dello svolgimento della professione esso sia più ‘naturalmente’ disponibile e possa, almeno in parte, sostenere il Coach nella complessità della gestione dell’incontro di percorso, aumentandone l’efficacia.

Così, al pari di un Coachee, che deve avere il suo buon grado di ‘gravidità’, anche il Coach dovrebbe avere una certa propensione verso curiosità, apertura e monitoraggio sia della propria comunicazione ma anche dei propri presupposti e aspettative.
Il che, per gli ultimi due, significa saperli auto-intercettare, per gestirli e ‘neutralizzarli’ il più possibile nell’interazione con il Coachee. Il mindset (habitus) del Coach non è spontaneo. Va curato, coltivato, educato.. allenato..!

 

  • Prepararsi e crescere nel far domande

Come segnala Schein, porre domande – perfino di qualità – non è un comportamento frequente e spontaneo oggigiorno.
E anche Galimberti sottolinea che dal momento in cui è diventato per noi più importante “portar fuori, che portar dentro”, nel corso del tempo le nostre domande sono diventate concrete e tecniche, e lo spazio per l’autenticità dell’ascolto dell’altro è scivolato sullo sfondo. Assieme a Schein anche Galimberti ci ricorda che siamo nella società del ‘fare’ che toglie tempo al silenzio. Silenzio che imbarazza perché è un tempo del ‘non fare’. È uno spazio di contatto al quale non siamo più abituati.

Quindi penso che, per ciascun Coach, la ricerca su questo punto debba essere una buona compagna di viaggio, che si siede con noi e ci consiglia passo-passo, consentendoci di assegnarci raggiungibili ed efficaci obiettivi continui, successivamente alla riflessione sulle sessioni realizzate.
Piccoli costanti accorgimenti personali possono costituire una guida di base.
Da eventualmente implementare con un personale percorso di Coaching, un terreno di confronto con i Colleghi, le Associazioni (AICP, ICF, EMCC) e magari un mentoring o una supervisione.
Anche per noi Coach è fruttuoso uno sguardo verso di noi da parte dell’esterno, che sveli il nostro ‘cieco’ (Johari docet).

 

  • Il silenzio e l’urgenza di porre domande

Nell’arte di porre domande efficaci non v’è solo ‘la domanda in sé’.
Molteplici altri ingredienti sono necessari tra i quali spicca l’ascolto attento e attivo, attraverso cui il Coach percepisce le parole e la struttura espressiva del Coachee.
Ma anche l’auto-ascolto del Coach stesso è funzionale al processo.
Allora, così come fermiamo il tempo per il Coachee, affinché possa col suo ritmo trovare le risposte, forse anche il Coach si può legittimare nel prendere qualche pausa, quando necessario, per raccogliere le idee, consentire connessioni su quanto il Coachee ha trasmesso e formulare la domanda, senza affrettarla ma, al contrario, concedendosi lo spazio per ponderarla, prima di porgerla, affinché sia accurata e non impulsiva, pensata e non frutto di urgenza o di necessità di rompere il silenzio.

 

  • Rispetto e generosità

Nell’agire del Coach che rispetta la Geometria della Relazione e il processo di Coaching, percepisco una grande generosità di questa professione.
Un profondo valore umano, evolutivo. Mantenere una posizione di neutralità e porre domande efficaci, non per propria utilità, ma per consentire all’altra persona di migliorare se stessa, ha un valore intrinseco profondo che restituisce gratificazione di altrettanta intensità al Coach.

Nella posizione a ‘giusta distanza’ del Coach verso il Coachee avverto un forte senso di rispetto.
Il Coach lavora coi presupposti del Coachee, di suo non porta nulla. Lo segue e interviene nel punto in cui si trova, ‘qui ed ora’.
Non aggiunge nulla perché quello spazio-tempo è ogni volta l’occasione per il Coachee di esplorare cosa c’è in ombra che possa essere illuminato.
Oppure è lo spazio-tempo per qualche ‘wow’, prima non presente.
È lo spazio dello sguardo interno che verrebbe meno, qualora il Coach ‘mettesse del suo’. Il palco è del Coachee.

 

Conclusioni

In questi numerosi anni di esperienza ho appreso che bisogna imparare a diventare dei generatori di domande e, per quanto descritto, questa capacità va allenata, approfondita e sviluppata per continuare ad aumentarne la qualità.
Bisogna concentrare l’attenzione su ascolto, abilità di connettere e di saper cogliere gli elementi che inconsapevolmente il Coachee ci consegna. Restituirglieli. Seguire e sostenere il disvelamento e la connessione.

Fare Coaching è un allenamento complesso: richiede tempo, focalizzazione, intenzione e passione.
È una ricerca stimolante e interessantissima. E per migliorarla bisogna porsi degli interrogativi. E cercarne buone risposte.

 

Alessia G. M. Coari

Coach Professionista focalizzata su Business Coaching e Life Coaching
Milano
alessia.coari@gmail.com

 

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