Categoria: Il Silenzio ha il diritto di essere Ascoltato

Categoria: Il Silenzio ha il diritto di essere Ascoltato

Il Silenzio ha il diritto di essere Ascoltato

Come abbiamo appreso durante la scuola di coaching, la comunicazione non verbale che avviene tra gli individui è quella parte della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di uno scambio comunicativo che non riguardano  il significato esclusivamente letterale delle parole che compongono il messaggio stesso, ma che riguardano il linguaggio del corpo, ossia la comunicazione non parlata tra le persone.

In una comunicazione faccia a faccia utilizziamo espressione facciale, contatto visivo o sguardo fisso, il gesticolare, postura, tatto, comportamento spaziale e prossemica.

In uno studio condotto bel 1972 da Albert Mehrabian intitolato “non-verbal communication” è stato dimostrato che ciò che viene percepito in un messaggio vocale può essere così suddiviso:

  • movimenti del corpo (espressioni facciali)  55%
  • aspetto vocale (volume, tono, ritmo) 38 %
  • aspetto verbale ( parole ) 7%

Ma che ne è del silenzio?

Il silenzio è comunicazione?

Sicuramente si.

Che importanza, che valenza, che incidenza hanno le lunghe e le brevi pause di silenzio che il cliente “porta” all’interno della relazione di facilitazione?

Come deve considerare il coach i momenti silenzio del coachee ?

Nelle lezioni della scuola di Coaching ci è stata insegnata l’importanza del darci il tempo di approfondire, attraverso l’ascolto, ciò che ci il cliente ci sta comunicando; ci è stato insegnato che una delle più importani competenze di un coach è l’ascolto attivo. Che non è l’essere attraversato passivamente da suoni e immmagini, bensì condividere uno stato d’essere, con generosità ( un nostro dono silenzioso per l’interlocutore) e FIDUCIA.  Fiducia nelle capacità dell’interlocutore/cliente.

A tale proposito riporto questo:

Tempo fa, leggendo un libro di counseling, mi sono imbattuto in una testimonianza di un terapeuta che raccontò una delle sue prime esperienze come facilitatore. L’argomento centrale della sua testimonianza era il silenzio che, inaspettato, aveva caratterizzato quella relazione d’aiuto.

Lunghe pause di silenzio che lo avevano messo in difficoltà proprio perchè, (immagino io – studente di counseling prima e studente  di coaching ora) una caratteristica fondamentale di questi dei metodi di facilitazione è la ricezione di tante informazioni, soprattutto verbali.

Joan era tra i miei primissimi clienti quando ho cominciato a presentare servizio di counseling nella locale scuola media per mezza giornata alla settimana. Joan aveva detto all’assistente scolastico “sono così timida che non sarei capace di raccontare il mio problema”.

La prima volta che l’ho vista, Joan parlò un pò del suo problema e anche dei suoi genitori, ai quali appariva piuttosto affezionata; comunque, nei suoi racconti c’erano delle pause molto lunghe. I quattro colloqui successivi si svolsero con la stessa modalità. Un raccontarsi con la presenza di lunghe pause nei suoi discorsi. A metà novembre Joan notò che le cose stavano andando proprio bene. L’assistente scolastico, inoltre, mi informò che gli insegnanti avevano notato che Joan salutava con un bel sorriso quando la incontravano nell’atrio.  Questo non era mai successo prima. In dicembre tenemmo un solo colloquio in cui Joan parlò liberamente mentre negli altri colloquio era rimasta seduta in silenzio, visibilmente immersa nei suoi pensieri, guardandomi ogni tanto con una smorfia. Nei due mesi e mezzo successivi ci furono colloqui ancora caratterizzati dalla presenza di lunghe pause di riflessione nei suoi discorsi e lunghi silenzi. Poi, venni a sapere che era stata eletta “donna del mese” dalle ragazze della scuola. I criteri per questa elezione sono sempre l’abilità sportiva e la popolarità tra le ragazze.

Contemporaneamente mi arrivò un messaggio da Joan. Diceva,”non credo di avere più bisogno di vederla”.

No, evidentemente non ne aveva. Ma perchè? Cosa era accaduto dunque in quelle ore di silenzio?

La mia fiducia nella capacità del cliente era stata messa a dura prova. Sono contento che la mia fiducia non abbia vacillato.”

Nel corso della mia formazione come counsellor, mediatore tecnico ed infine coach, ho appreso totalmente  quale sia la differanza tra sentire ed ascoltare. Ho appreso quanto impegno ed energie siano necessari per trasformare il semplice udire in ascolto. Ho appreso che l’ascolto è un processo molto più complesso di quanto possa sembrare e necessita il controllo di diversi processi contemporaneamente;  ed silenzio è condizione necessaria per generare ascolto. Ascolto come strumento principale della comprensione.

Willehlm Reick

” la migliore interpretazione sarà… quella che lo stesso cliente potrà elaborare all’interno del nostro silenzio”

Noi tutti sappiamo che si può entrare in contatto con le persone anche senza parlare. C’è un modo di entrare in contatto traindividui  più percettivo ed affidabile della parola, un contattarsi fatto di sguardi e silenzi. E’ un rispondere all’altro in modo più intimo, una silenziosa complicità che dà risposta al richiamo dell’altro, e la risposta è ” io sono qui con te, noi due siamo d’accordo”.

Dalla mia appassionata ricerca sul valore delle pause di silenzio che capitano durante i colloqui nelle sessioni di in una relazione di aiuto e di sviluppo ho trovato e sintetizzato quelle informazioni che a mio sentire sono apparse come brevi risposte alla mia domanda iniziale:

“ma che ne è del silenzio?”

“Il silenzio può essere una pausa che pone fine ad un flusso associativo, una pausa all’interno di un discorso per sottolineare o alleggerire un passaggio, se non addirittura un’interruzione difensiva della corrente associativa.”

“Ci sono fiumi di parole che si esprimono in un corso incontrollabile alternate a dei silenzi, che significano soprattutto un freno simbolico a tale selvaggio straripamento.”

“Ci sono silenzi che seguono l’interpretazione, ciò che è anche un modo di annullare e di rendere non detto e dunque non esistente quanto è stato comunicato dal coach.”

“A volte il  silenzio si situa in una prospettiva perversa, masochista. Alcuni esprimono un forte deprezzamento di sè al punto che la loro associazioni non meritano di essere espresse.”

“Ci sono tappe silenziose di avvicinamento, di integrazioni, di gestione, devono essere rispettate come momenti dialettici al processo di coaching.”

“C’è anche un significato negativo del silenzio quale : minaccia, freddezza, vuoto.”

“I processi creativi si sviluppano di preferenza nel silenzio e più spesso grazie al silenzio.”

“Terapeuti invitano ad evitare la creazione di troppo facili etichette, cioè invitano a considerare il silenzio senz’altro come una resistenza. Ma attenzione alla proiezione dell’ostilità del coach frustrato dal silenzio del cliente.”

“ Un’eccessiva tolleranza del silenzio del cliente può far si che si possa realizzare un disinvestimento reciproco del cliente  e del facilitatore.”

Leggendo quanto ho riportato sopra è facile comprendere che l’argomento che sto comunicando è  qualcosa di soggettivo per ogni individuo e per ogni relazione tra individui ma anche qualcosa di immutato (il silenzio si palesa uguale in tutte le culture e in tutte le epoche).

Restando quindi alla soggettività della valenza del silenzio, in conclusione a questa mia ricerca, mi sono chiesto:

come reagisco io al silenzio del mio interlocutore?”

Spesso reagisco con preoccupazione di non aver capito (seguirà probabilmente una sovrabbondanza di mie domande), e anche preoccupazione di avere un’attitudine inadeguata (seguirà probabilmente una mia sovrabbondanza degli interventi).

E poi: “cosa mi può venire in aiuto in questo?”

Sicuramente i testi scritti e l’esperienza sul campo.

Qual’è la  mia conclusione a tutto ciò ad oggi  (e solo ad oggi):

 

  1. Un coach deve accettare il silenzio dentro sè per poi gestirlo al meglio.
  2. Il silenzio del coach come risposta al silenzio del coachee deve essere una “dichiarazione non verbale” di attesa e di accettazione.
  3. Se avverto la sensazione della necessità di stimolare il coachee a parlare, piuttosto che chiedergli a cosa stia pensando, trovo più opportuno chiedergli:

          Qual’è stato il motivo della tua interruzione?

 

Milo Segantin
Geometra e Mediatore
Verano Brianza (MB)
milo.segantin@libero.it

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