Categoria: “S’I’ fossi foco”

Categoria: “S’I’ fossi foco”

“S’I’ fossi foco”

Di solito s’inizia dicendo: è partito come un gioco. Questa volta, invece, è partito come un esercizio di gruppo al corso di Coaching. Al termine della giornata in cui avevamo fatto la conoscenza del test sulle 24 potenzialità sviluppato da Seligman, dovevamo elaborare un nostro strumento per individuare le potenzialità di un ipotetico coachee.
Appena il tempo di sederci attorno a un tavolo e Monica se ne esce con il ricordo di un gioco che faceva da bambina. Ci siamo guardati e… avevamo trovato lo strumento! Beh, a essere precisi l’aveva trovato lei.
Ma andiamo con ordine.

 

Potenzialità e virtù personali

Martin Seligman è un famoso psicologo americano che ha sviluppato la psicologia positiva, disciplina che studia come migliorare il benessere personale. Seligman cita varie ricerche secondo cui le persone che provano emozioni positive vivono più a lungo e in migliori condizioni di salute, e hanno relazioni interpersonali e risultati professionali migliori della media.

Secondo Seligman la felicità autentica consiste nel provare emozioni positive riguardo al passato e al futuro, nell’assaporare sensazioni positive derivanti dai tanti piaceri dell’esistenza, nel trarre abbondante gratificazione dalle proprie potenzialità personali, ma soprattutto nell’usare tali potenzialità al servizio di qualcosa di più grande.

I piaceri sono sensazioni gradevoli che hanno chiare componenti sensoriali e forte componente emotiva: gioia, eccitazione, beatitudine, allegria, esuberanza, benessere. I piaceri sono fugaci, effimeri – perché il nostro organismo tende ad assuefarsi, e richiedono un’attività di pensiero minimo o nulla.

Le gratificazioni sono attività che ci impegnano a fondo, che ci prendono totalmente, facendoci perdere la consapevolezza di noi stessi. Conversare con qualcuno con cui ci sentiamo davvero in sintonia, fare un’escursione in montagna, leggere un buon libro, suonare assieme agli altri, praticare il nostro sport preferito, sono tutti esempi di attività in cui per noi il tempo si ferma (rimandiamo qui al concetto di flow), le nostre capacità sono all’altezza della situazione e noi entriamo in contatto con le nostre potenzialità.

Le gratificazioni durano più a lungo dei piaceri, richiedono un’attività di pensiero e interpretazione non indifferente, non procurano facilmente assuefazione, e sono sostenute dalle nostre potenzialità e virtù.

Per questi motivi secondo Seligman è molto importante sviluppare le proprie potenzialità personali, la cui applicazione ci permette di provare gratificazioni. Seligman ne elenca 24, ricavate da uno studio di 200 testi antichi tra cui la Bibbia, il Corano, le Upanishad, gli scritti di Aristotele, Platone, San Tommaso, Sant’Agostino, Benjamin Franklin, ecc.

Le potenzialità (curiosità, perseveranza, gentilezza, autocontrollo, ecc.), a differenza dei talenti innati, sono tratti morali più volontari. Non solo implicano che la persona possa scegliere se metterle in pratica o meno, ma anche se continuare a svilupparle o addirittura acquisirle. Seligman delinea alcuni criteri che ci permettono di comprendere se una caratteristica è una potenzialità:

  • essa è osservabile in situazioni diverse e stabilmente nel corso del tempo;
  • produce solitamente un’autentica emozione positiva (orgoglio, soddisfazione, gioia, ecc.) in chi la compie ma anche in chi assiste alla sua messa in atto;
  • dovrebbe essere apprezzata per se stessa al di là dei benefici che derivano dalla sua applicazione.

Le potenzialità sono punti forti del carattere che una persona possiede consapevolmente ed è lieta di possedere, e che esercita quotidianamente sul lavoro, in amore, nel tempo libero, nell’educazione dei propri figli. La cultura promuove e incoraggia potenzialità e virtù tramite istituzioni, rituali, modelli, massime, racconti per l’infanzia. Sono state individuate sei virtù onnipresenti nelle principali culture: giustizia, umanità, saggezza, temperanza, trascendenza e coraggio.

 

Dai guelfi ai giorni nostri: un gioco che ha attraversato i secoli

Ci sono due versioni di questo gioco. In una ci si immagina di essere qualcosa o qualcuno e si racconta ciò che si farebbe. Il prodotto più alto è senza dubbio rappresentato dal sonetto di Cecco Angiolieri, contemporaneo di Dante, messo anche in musica da Fabrizio De Andrè:

S’i’ fossi foco, arderei ‘l mondo;
s’i’ fossi  vento, lo tempesterei;
s’i’ fossi acqua, l’annegherei;
s’i’ fossi Dio, mandereil’ en profondo;

s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo,
ché tutti cristïani imbrigarei;
s’i’ fosse imperator, sa’ che farei?
A tutti mozzerei lo capo a tondo.

L’Angiolieri, infatti, si colloca all’interno e sulla vetta di una “scuola” poetica parodistica che è quella dei poeti giocosi.

Quella proposta da Monica era la versione più semplice del gioco e anche più funzionale al nostro scopo. Ad una persona si fanno una serie di domande, quali: se tu fossi un animale, quale saresti? Se tu fossi un frutto, quale saresti? Se tu fossi un capo d’abbigliamento, quale saresti?
In un secondo tempo, completata la prima serie di domande, le si chiede il perché ha indicato quell’animale, quel frutto, quel capo d’abbigliamento. Il motivo, la caratteristica che lo ha fatto scegliere fra tantissimi altri.

 

La metafora

Di metafore è intessuto il nostro linguaggio quotidiano. Usiamo delle metafore quando parliamo, ad esempio, delle “gambe del tavolo” o di un “uomo d’acciaio”. Anche il linguaggio scientifico è intriso di metafore, per cui possiamo fare convegni sui “buchi neri” o sul “Secolo dei Lumi”.
La metafora è una figura semantica del cui potere la psicoterapia si è accorta da tempo.
Per Freud, infatti:

“Se il sogno è la via regia all’inconscio, la metafora è ad un tempo la serratura e la chiave della porta che ne delimita l’accesso; se il sintomo è la metafora, l’interpretazione e la risoluzione di un sintomo equivalgono allo svelamento e disambiguazione di una metafora”.

Potremmo dire che la metafora è il modo in cui la nostra mente inconscia “tratta” le informazioni, un modo che potremmo definire generativo.
Senza inoltrarci in terreni che non sono i nostri – la psicoterapia e la psicologia in generale – possiamo riportare l’opinione largamente condivisa, che la metafora non è solo un ornamento del discorso di cui si devono occupare i poeti, ma è un elemento essenziale del linguaggio.

In latino la metafora era detta anche traslatio. Questo elemento dinamico, di movimento, è particolarmente evidente se analizziamo l’origine del termine metafora. Questo termine deriva dal greco metaphorá, composto da metá (oltre) e phérein (portare). Metafora significa dunque etimologicamente mutamento, trasferimento, cambiamento di posizione, portare oltre. Ecco perché, in una crisi di autogoverno – presupposto di un intervento di coaching, la metafora è utile.

Che la metafora salti a pie’ pari innumerevoli barriere comunicative, lo sappiamo bene. E per ricordarlo ho scelto due libri.

L’autore del primo è Spencer Johnson, ideatore e coautore di L’One Minute Manager, il più conosciuto metodo di management del mondo. Johnson è anche l’autore de: “Chi ha spostato il mio formaggio?”. Una storia divertente e istruttiva su quattro personaggi che vivono in un “labirinto” e sono alla costante ricerca di un “formaggio” che li nutra e li faccia vivere felici.

Il Formaggio è la metafora di quello che vorremmo avere dalla vita: un buon lavoro, un rapporto d’ amore, soldi, salute, serenità d’ animo. Il Labirinto è il luogo in cui cerchiamo quello che desideriamo: l’ azienda in cui lavoriamo, la famiglia, la comunità in cui viviamo.

I personaggi si trovano a fronteggiare dei cambiamenti inattesi ma il modo in cui li gestiranno porterà loro a subire meno stress e ad avere più successo nel lavoro e nella vita. Come detto, pur nel suo stile semplice, il racconto trasmette un messaggio molto potente, che può essere sintetizzato in una frase che Ridolino scrive sul muro del labirinto: “Se non cambi, rischi di scomparire”.

Il secondo ha autori meno famosi (non me ne vogliano!): Chiara Lacchio e Franco Rossi. Il secondo è uno dei miei maestri della scuola di Coaching; la prima, una sua allieva.
“Tappo a chi?!?” é una parabola (strumento che ha “costruttori” illustri, a pensarci bene). Il tappo in questione non è un tappo, è IL Tappo, almeno questa è la concezione che lui ha di sé: è il protagonista delle feste in casa, precede il brindisi, vola tra i sorrisi delle persone e cade su tappeti di coriandoli. Un posto di tutto rispetto in paragone con i semplici bicchieri di carta e i tovaglioli usa e getta. Puntualmente lui è riutilizzato e finisce al centro dell´attenzione. Quello che il tappo non sa è che c´è sempre qualcuno che decide per noi, fosse anche la vita. Così un brutto giorno si trova nella spazzatura con un destino triste che sfocia in una vera e propria crisi esistenziale.

Come per i topini e il formaggio di Johnson, il tema centrale di questa favola è proprio il “cambiamento”, quello imposto da agenti esterni, la perdita di un ruolo, di un ambiente che definiamo “nostro” in cui ci muoviamo indiscussi.

 

La messa a punto

Torniamo a noi.
Dovevamo scegliere una serie di metafore. Una dozzina ci è parso un numero adeguato all’esercizio. Nella stesura ci siamo accorti che dovevamo privilegiare metafore con le quali tutti avessero dimestichezza.
Avremmo potuto chiedere: se fossi un bastone da golf, quale saresti? Ma le probabilità che qualcuno rispondesse: un putter (perché mi piace giocare sul green e andare in buca) sarebbero state troppo basse.
Abbiamo quindi scelto: un animale, una città, una bibita, un colore, un alimento, un’auto, un capo d’abbigliamento, una parte del corpo, uno sport, un appartamento/casa, un elemento naturale, un vegetale.
Anche così, come avremmo constatato di lì a poco, non tutte le immagini sono utili.

 

Ciak, si gira!

Avevamo deciso di provare lo strumento dal vivo, senza rete. Invitando una persona “del pubblico” a fare da cavia.
Rischioso. Gli altri gruppi, infatti, avevano distribuito i ruoli all’interno del gruppo stesso.
Dopo una veloce introduzione dello strumento, abbiamo chiesto la partecipazione di Anna e abbiamo proceduto velocemente con questi step:

  1. Abbiamo posto le dodici domande: “Se tu fossi…., cosa saresti?”
  2. Quindi, per ognuna delle dodici risposte, abbiamo chiesto: “Per quale caratteristica saresti…?”
  3. Al termine le abbiamo chiesto di sottolineare le caratteristiche che sentiva sue (potenzialità peculiari).

Il risultato è andato al di là delle nostre aspettative. Sono state individuate sette potenzialità: multiculturale/aperta, frizzante, solare, dolce, “avvolgente”, sincera, calorosa. Un numero rilevante, soprattutto in relazione alle domande (dodici) e che costituirebbero una ottima base di partenza per arrivare ad un piano d’azione.

Ad un secondo livello di analisi appare chiaro come la domanda sul tipo di auto non sia funzionale anche se altamente evocativa. Quella sui vegetali/piante ha prodotto una motivazione non utile. E quella sull’animale ha portato a galla un ricordo molto forte (l’unico pesce rosso cha ha avuto).

 

Soggettiva

Nel cinema la soggettiva è un’inquadratura speciale in cui lo spettatore può calarsi nei panni del personaggio e vedere attraverso i suoi occhi.
In fase di scrittura di questo elaborato ho capito che il contributo di Anna (coachee) sarebbe stato molto interessante. Gliel’ho chiesto e… ve lo propongo in versione integrale.

“Premessa: affinché l’esercitazione funzioni, è indispensabile che il coachee voglia mettersi in gioco e che ci sia fiducia e alleanza con il coach in modo tale che le risposte siano sincere, immediate e spontanee. Le mie lo sono state.
Libera da qualsiasi imbarazzo, pur essendo in mezzo a 15 “sconosciuti” ma in un clima di fiducia e alleanza, mi è stato facile rispondere con trasparenza ed onestà a domande semplici e chiare.

Un punto di forza di questa esercitazione è sicuramente la semplicità delle domande: non si può certamente fraintendere ciò che ti viene chiesto!
Ciò che è emerso è soprattutto come mi vedo e come mi sento. Mi è stato facile arrivarci perché mi conosco, ma forse non per tutti sarebbe così semplice. Sono emerse soprattutto quelli che io considero i miei lati positivi, e forse questo accade perché le domande ti spingono a rispondere più verso quegli aspetti e meno verso “elementi/caratteristiche negative”. O forse dipende semplicemente da come stai in quel momento, da come ti senti, da quanto sei in a fase up o in una fase down…

Io stavo bene e molto probabilmente il mio stato ha influenzato le mie risposte. Molte risposte hanno creato collegamenti a quelli che io considero valori importanti e fondamentali nella mia vita, ad esempio:

  • Amsterdam, città multiculturale, rappresenta per me l’apertura mentale e l’ accoglienza;
  • il fuoco, calore, e la sciarpa, avvolgente, si collegano all’attenzione e alla cura degli altri;
  • gli occhi rappresentano la sincerità e l’onestá.

Tutto ha un senso e tutto può essere ulteriormente approfondito e esplorato.
E quando non hai la risposta immediata, cosa succede? In quel caso la parola chiave della domanda ti stimola ad evocare un ricordo o a fare collegamenti a cui spontaneamente non avresti pensato. Ma ci metti qualche secondo in più a rispondere e ciò che dici é più “ragionato”. E in questi casi, ciò che è emerso nella mia esercitazione é che ci sono alcune “aree/dimensioni” che non sento vicine, che sento meno mie, che meno mi appartengono e mi interessano.

Mi riferisco a quelle domande a cui non ho dato una risposta immediata (se fossi un animale, se fossi un’automobile) da cui si evince la mia mancanza di interesse per l’argomento. E in effetti posso confermare che non sono mai stata particolarmente attratta dal mondo animale e tanto meno da quello dei motori. Non ho idea di come un coach potrebbe “interpretare” queste risposte e su cosa si potrebbe lavorare… Credo sia comunque importante che emerga anche questo aspetto dell’esercitazione.

“Se fossi…” è stata per me un’esperienza positiva all’interno del mio percorso di coaching. Ha confermato le mie potenzialità collegandole ai valori in cui più credo. Mi ha dato solo conferme, nessun dubbio e nessuna perplessità.
Attraverso questa esercitazione, il coachee ha la possibilità di conoscersi e di partire per il suo viaggio di esplorazione con una bagaglio ricco di spunti di riflessione. E il coach può accompagnarlo, stando al suo fianco, utilizzando questa esercitazione come base per creare un programma di allenamento focalizzato al suo C.A.R.E.”

Non mi ero sbagliato. Anna, in modo spontaneo, ha dato le risposte a tutte le mie domande. Ma quel che più conta, Anna racconta di aver confermato le potenzialità collegandole ai valori in cui più crede.

Nota: C.A.R.E.® è un modello registrato a livello internazionale da A.Pannitti e F.Rossi e sta per Consapevolezza, Autodeterminazione, Responsabilità, Eudaimonia.

 

Il sequel

Il nostro esercizio si è fermato qui, ma in un caso reale come sarebbe proseguito?
Dopo che le potenzialità del cliente sono state individuate, restituite e verificate, devono essere oggetto di un programma di allenamento. Verosimilmente, nel caso in cui alcune potenzialità siano state sin qui negate o inibite, sarà il coach a proporre gli esercizi che dovranno, comunque, essere sempre pienamente condivisi. Giova allora ricordare i criteri cui deve soddisfare un esercizio di allenamento. Da un punto di vista qualitativo, deve:
Rispondere alla cura di sé del coachee
Rientrare negli interessi o, meglio ancora, delle passioni del coachee
Essere definito nel tempo, nello spazio, nel contesto
Essere gratificante

Da un punto di vista quantitativo, il coachee può essere:
Stimolato nell’esercizio di una o più potenzialità attraverso un esercizio saltuario.
Allenato attraverso uno o più esercizi ripetuti e continui.
Rafforzato nell’utilizzo costante di una o più potenzialità in ogni ambito che lo consenta.

Il principio sotteso è quello del carburante motivazionale. L’headline potrebbe allora essere: “Scopri ed apprezza chi sei facendo ciò che ami fare”.
Ci piace, allora, concludere con una metafora: “ È più facile addestrare uno scoiattolo a salire meglio sugli alberi che a razzolare per l’aia!”.

 

Pierpaolo Muzzolon
Executive Coach
Milano
pierpaolo.muzzolon@mail.polimi.it

 

Bibliografia:
– L’essenza del Coaching, Alessandro Pannitti e Franco Rossi
– Chi ha spostato il mio formaggio?, Spencer Johnson
– Tappo a chi?!?, Chiara Lacchio e Franco Rossi

Siti internet:
– Metafora e psicoterapia, Grazia Vittigni
– La psicologia positiva di Martin Seligman, Leonardo Evangelista
– Recensione di “Tappo a chi?!?”, Fabio Pinna

Un grazie, inoltre, a tutti i miei compagni di gruppo: Monica, Sophie, Mirko e Vito. E ad Anna, ovviamente.

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