
Oltre il mito delle domande potenti che cosa c’è?
Un modo peculiare di essere efficaci.
Presupposto che nell’essere Coach nulla è fuori ma tutto è dentro noi stessi, nella misura in cui non diamo se non ciò che siamo, un dialogo che è alimentato dalle domande risponde anche a determinati criteri oggettivi. Tuttavia, spesso nel Coaching ci si incontra e confronta con un dilemma che suona come misunderstanding di significato: domande potenti o domande efficaci? Dal mio punto di vista la ricerca di un interrogativo aprioristicamente produttivo e potente per il Coachee rischia di focalizzare lo sguardo del Coach sul risultato anziché spostare l’attenzione sul processo che ne alimenta una dialettica di stimolo/risposta.
La formazione e l’esperienza, in tal senso, mi hanno insegnato che non esistono domande dotate di un magico e convenzionale potere di sviluppo della consapevolezza del Coachee. Il tutto a partire dal fatto che ogni soggetto ricevente si muove attraverso un proprio modus pensandi, idiosincratico e peculiare, tale per cui nulla può darsi per scontato e tutto suona come sorprendentemente nuovo.
Un passaggio diviene fondamentale: cambiare il passo di osservazione dalle domande potenti alle domande che sono efficaci perché, nell’ottica di favorire l’auto-osservazione del Coachee, hanno in sé, per struttura, tono e contesto, la potenza di marcare la sua libertà di scelta e di pensiero.
Requisiti per una domanda ben posta.
I quesiti maggiormente efficaci presentano alcune delle seguenti caratteristiche in comune:
- anzitutto consentono al ricevente di alfabetizzare un nuovo modo di raccontarsi, elaborando le informazioni sui differenti piani del pensare, del sentire, dell’agire, dell’immaginazione, degli assi temporali, delle metafore e analogie, delle preferenze e dei suoi schemi mentali. Ne consegue un gioco creativo, alimentato dal Coach, che sollecita del Coachee la sua capacità di problematizzare e di condursi alla soluzione.
- sono funzionali alla mobilità del Coachee poiché sanno porlo nella condizione di essere l’artefice di nuovi inizi e di non necessariamente difensore dei suoi intimi alibi.
- Sono tali da consentire al ricevente di focalizzare la natura intima di sé, progressivamente, spogliandolo a piccoli passi da ciò che è sussidiario, automatico, autoimposto per dovere o ideale, allo scopo di condurlo verso un’autentica libertà di ragionamento e di azione.
- Le domande efficaci sono anche quelle che permettono al Coachee di fare propri nuovi criteri di interpretazione, di intellegibilità, di plausibilità e di probabilità delle risposte, attraverso cui allenarsi ad una stabile auto- esplorazione di sé stesso.
Il tutto necessita di essere supportato da una competenza grammaticale e linguistica sulle sfere di inferenza conversazionale, appropriata e accurata, che solo si acquisisce con la formazione specialistica, così come avviene nelle scuole di Coaching. E se qualcuno avesse ancora dubbi sul falso mito delle domande potenti potrebbe sempre tentare di rispondere al quesito che Freud si è posto: che cosa addensa lo spazio e la distanza tra la domanda e la risposta? Lui ne concluse: “Il tutto è una questione di intervallo tra il desiderio e la sua soddisfazione”. Ma questa è un’altra storia.
Per avere approfondimenti sul mito delle domande potenti leggi questo articolo.
In esclusiva per INCOACHING®, testo di Simona Rebecchi – Coach professionista diplomata INCOACHING®
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