
L’importanza della auto-determinazione nella formazione di un Coach
Non è come un bere un sorso d’acqua
Scegliere di diventare Coach porta con sé un sigillo peculiare: il bisogno di elevare sé stessi alla propria natura interiore, per quanto in parte sconosciuta, pone dei dubbi. Tuttavia, il dubbio non è inazione poiché quando è articolato coscientemente contiene in sé forza e anche spinta, verso la verità e verso le risposte interiori che ricongiungono a noi stessi.
Diventare Coach è un atto trasformativo all’interno del quale ciò che è potenziale si traduce in uno stato fattuale, esplorando il mistero di sé e progressivamente rischiarandolo.
Assumere il ruolo di Coach presuppone allora una self-confidence coerente con il principio di autodeterminazione, tale per cui il soggetto si ritrova immerso sia all’interno di un processo organismico (quando si diventa protagonisti attivi nella ricerca di sfide che aiutano a realizzare le proprie potenzialità) e sia dialettico (cioè in continua relazione con l’altro, con l’ambiente circostante perché è prevalente la valorizzazione della esperienza di intersoggettività, quale sistema motivazionale primario).
Il migliore dei mondi possibili
Per un individuo che ambisce a diventare Coach l’autodeterminazione nella formazione si traduce anzitutto nella capacità di generare un interscambio costruttivo tra le proprie inclinazioni e attitudini e la valorizzazione del Sé Autotelico.
Il termine deriva da due parole composte ovvero “auto” che indica sé stesso e “Telos” che indica scopo.
Declina precisamente un sé che ha scopo autonomi e che derivano da un’esperienza valutata dalla coerentemente dalla consapevolezza; l’effetto è dedicarsi a un’attività in cui l’esperienza soggettiva si percepisce in rapporto fluido con l’autocoscienza, dando vita a una azione che trova in sé stessa lo scopo principale del suo realizzarsi.
Il sé autotelico conduce quindi il soggetto a tradurre le minacce potenziali in sfide e in fonte di soddisfazione, mantenendo la sua armonia interiore e immergendo il soggetto all’interno di un continuo divenire e ben-essere interiore (senso del Flow secondo lo psicologo ungherese Csikszentmihaly, per il quale “il sé autotelico non dipende da che cosa si fa ma da come lo si fa.”)
È possibile quindi affermare che l’autodeterminazione nella prospettiva di un sé autotelico e della formazione di un Coach si declina nei seguenti elementi:
- Motivazione: è la forza/spinta quale insieme di elementi interagenti che sottendono a un quesito e che dirigono l’azione umana: perché lo faccio?
- Autodisciplina: implica determinazione, volontà, autocritica riflessiva, autocorrezione e capacità di rimodulazione degli scopi in funzione delle avversità e degli ostacoli.
- Centratura: mi riferisco all’assunzione della posizione di OKNESS che attinge alla sicurezza fedele e alla fermezza del proprio essere e del proprio fare nel ruolo di Coach. Essa stessa non si identifica con una qualità statica bensì dinamica e che richiede di essere alimentata con cura, sensibilità ed etica professionale.
- Formazione continua: essere coach presuppone la capacità di concepirsi come un progetto insaturo cioè costantemente in fieri e in progress, nel senso che la sua competenza di contenuto descrittivo e relazionale non si esaurisce con la certificazione da Coach ma prosegue senza fine, all’interno di un continuo processo di aggiornamento delle competenze e di evoluzione di sé nella propria professione.
In quest’ ottica, prendo a prestito le parole del raffinato storico e biografico Zweig quando afferma che “la vera fecondazione si verifica quando una idea viene a coincidere con una esperienza”.
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In esclusiva per INCOACHING®, testo di Simona Rebecchi – Coach professionista diplomata INCOACHING®
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