Categoria: L’efficacia del Coaching senza la libertà di scelta

Categoria: L’efficacia del Coaching senza la libertà di scelta

L’efficacia del Coaching senza la libertà di scelta

Esiste la libertà di scelta? Sono io che scelgo di agire in un certo modo, oppure le mie scelte sono determinate? Queste domande da diverso tempo sono al centro di un dibattito molto acceso, e il risultato non è per nulla scontato.

Assumere che il libero arbitrio esista, è un‘idea generalmente condivisa, permea fortemente i nostri codici morali, la nostra giustizia penale, gli aspetti della struttura sociale e civile, ed è un’idea alla quale crede la maggior parte degli individui. Ma è anche un’idea sfuggente ed elusiva. Quest’idea alimenta una sensazione di autodeterminazione, ovvero la fiducia sulla possibilità o potenzialità che si possano raggiungere ottimi risultati a prescindere dal punto di partenza. Questa fiducia nell’autodeterminazione della propria vita è un fondamento sul quale poggiano gli studi sulla Motivazione, sulla Leadership, sullo Sviluppo e quindi anche sul Coaching. Il Coaching, infatti, si fonda sull’assunto che il coachee sia in grado di autodeterminare i comportamenti più efficaci e adatti al raggiungimento degli obiettivi che si è posto autonomamente.

Tuttavia la fiducia nell’autodeterminazione del comportamento e delle proprie scelte è stata messa in discussione, prima da filosofi e intellettuali (ne cito solo 3: D’Holbach, Laplace, Spinoza), poi da psicologi (Skinner, Maslow, Rogers) e fisici (Einstein, Bohr, Hawking). Questa fiducia negli ultimi anni ha iniziato a vacillare seriamente, scossa da nuove scoperte scientifiche nel campo della neurofisiologia (Libet, Gazzaniga, Eagleman). Far coesistere la natura deterministica dell’universo e la nostra soggettiva sensazione di libertà sembra essere uno degli obiettivi centrali del dibattito. Sentirsi liberi di scegliere ha senso se significa essere in controllo, e ne perde se questa libertà risulta essere illusoria.

Esplorando la posizione deterministica del dibattito, quella che postula l’assenza di un reale libero arbitrio, potremmo trovarci a prestare maggiore attenzione alla nostra esperienza, e facendo questo potremmo renderci conto che questa sembra perfettamente compatibile con l’assenza di libero arbitrio. Pensiamoci un attimo: non sappiamo quale sarà il nostro prossimo pensiero; non sappiamo quale sarà la nostra prossima intenzione; non abbiamo alcuna idea di quello che ci verrà in mente di dover fare e non sappiamo quanto sentiremo il bisogno di agire per farlo. Se infatti, per fare un esempio, ci venisse in mente di fare qualcosa e subito dopo il pensiero fosse: “sì, ma non devo per forza farlo adesso, lo farò domani”, in nessun modo possiamo sapere da dove viene quel pensiero e perché sia stato proprio quello e non invece un pensiero del tipo: “è fondamentale che lo faccia subito”. Un altro esperimento veloce e interessante può essere fatto sulle credenze. Normalmente siamo convinti di scegliere quello in cui crediamo, ma ad una veloce analisi scopriamo che non è così. Pensate a qualcosa in cui credete (es. credo che x sia vero / migliore / più buono). E adesso, se veramente siete voi a scegliere quello in cui credete, provate a credere che non lo sia più. Se io credo che il caffè sia più buono del tè, posso provare a scegliere di credere il contrario. Ma non riesco, e non ho mai “scelto” di preferire il caffè al tè. È semplicemente accaduto che io iniziassi a credere che il caffè è più buono.

La sorgente dei nostri pensieri, e delle nostre credenze è sicuramente dentro di noi, ci appartiene, ma viene da un luogo più simile ad una scatola nera: è parte di noi, ma non è accessibile e non ci è dato guardare dentro e vedere quale sarà la nostra prossima mossa o quale sarà il motivo scatenante un’azione, un pensiero o un bisogno.

L’idea che siamo noi in controllo dei nostri pensieri e delle azioni che ne conseguono ci appare chiaramente falsa quando parliamo di disturbi, traumi e malattie mentali. Quando uno di questi eventi interessa il cervello è possibile osservare una riduzione anche drammatica del controllo. Ma quanto grave ed evidente deve essere un’anomalia nel nostro cervello per determinarne l’effetto sui comportamenti? Sappiamo che basta un’illusione ottica o percettiva per ingannarci e generare comportamenti errati, così come lo possono fare bias cognitivi ed euristiche.

Sappiamo per certo che le nostre azioni volontarie e consapevoli, nella realtà, iniziano da una decisione, e quella decisione deriva da un pensiero. Ma da dove deriva quel pensiero, e perché quello e non un altro? Ogni analisi epistemologica e regressiva sull’origine di un pensiero finisce sempre per puntare alla scatola nera da qualche parte dentro di noi.

Sembra quindi inevitabile asserire che le scelte che ci appaiono libere, vadano in realtà inserite in un contesto per cui sono determinate da una serie di fattori e processi interni ed esterni e che la libertà di scelta sia un elemento inesistente che noi elaboriamo per necessità, per dare un significato al nostro agire, per fornire un senso al nostro fine.

Tuttavia, anche se la libertà di scelta potrebbe essere definita un’illusione, questo non significa che questa non può essere funzionale ai nostri processi decisionali. Noi tutti siamo dotati di un apparato pensante, il nostro cervello, che utilizziamo per raccogliere informazioni e agire sulla base delle informazioni che abbiamo appreso. Il risultato del nostro pensiero – la scelta – potrebbe essere determinato, non-libero, ma dobbiamo comunque raccogliere le informazioni e pensare. Questo è quello che ci distingue dagli altri animali, ed è proprio per questo che abbiamo sviluppato il nostro cervello.

Le decisioni che prendiamo sono influenzate dalle informazioni alle quali siamo esposti in ogni momento e che interagiscono, si fondono o contrastano con tutte le informazioni abbiamo raccolto in precedenza. Ed è su questa visione che il coaching può dimostrare la sua efficacia. Il coachee che sceglie di intraprendere un percorso di coaching prende questa scelta sulla base di bisogni e pensieri interni mossi da un desiderio di evolvere e migliorare la propria esistenza. È ragionevole affermare che il coaching può essere efficace nel supportare lo sviluppo del coachee in quanto contribuisce alla generazione, da parte del coachee stesso, di pensieri e azioni ognuna delle quali può innescare una nuova linea causale. Una di queste linee causali, pur non potendo predire quale e quando, potrebbe in maniera deterministica innescare una catena di azioni che porti alla risoluzione della crisi di autogoverno. Ecco che, anche accettando l’argomento deterministico e quindi accettando il fatto che il coachee non possa scegliere le linee di pensiero e i bisogni che ha, possiamo supporre che il coach, attraverso una relazione facilitante, stimoli nel coachee l’attivazione del processo di generazione di nuove idee, desideri e soluzioni. E pur non potendone verificare o controllare fattivamente l’origine è possibile che una di queste nuove idee, desideri e soluzioni sia quella che riporta la direzione del coachee esattamente dove voleva andare.

 

 

Jason Cox
Country Leadership & Competence Leader
Coach professionista specializzato in ambito business
IKEA Italia Retail
Brescia
jason.cox@ingka.ikea.com

 

 

 

 

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