
L’accoglienza nel Coaching
Se penso ad uno degli aspetti fondamentali per avere una sessione di coaching efficace è proprio quello di saper accogliere il nostro Coachee.
- Ma che cosa significa esattamente accogliere?
- Che cosa devo fare nel concreto?
- Che cosa fa sentire una persona accolta?
Queste sono le domande che mi sono posta alle quali ho voluto trovare una risposta.
Partiamo dalla definizione di accoglienza.
Secondo il dizionario Treccani accoglienza indica:
L’atto di accogliere, di ricevere una persona; il modo e le parole con cui si accoglie.
Mentre dal punto di vista etimologico significa:
sotto una presunta forma latina: accolligere, da colligere cogliere, raccogliere; a sua volta questo è composto da co- insieme e lègere raccogliere.
L’accoglienza è quindi un’apertura: ciò che così viene raccolto o ricevuto viene fatto entrare – in una casa, in un gruppo, in sé stessi. Accogliere vuol dire mettersi in gioco, e in questo esprime una sfumatura ulteriore rispetto al buon costume dell’ospitalità. Chi accoglie offre qualcosa di proprio, si spalanca verso l’altro diventando un tutt’uno con lui. E anche se l’accoglienza di un vecchio amico siciliano può parere differente rispetto all’accoglienza del conoscente giapponese, rimangono il medesimo fenomeno, diverso solo perché diverse sono le persone e le culture e il loro modo di aprirsi, il loro modo di fare entrare.
Un luogo accogliente inviterà a restare
Fatte queste premesse, ecco i pilastri che ho individuato per far sentire il Coachee accolto e poter trarre così il massimo dalla sessione di Coaching.
1: APPROCCIO MINDFUL
Secondo il fondatore Jon Kabat-Zinn “Mindfulness” significa non solo prestare attenzione, ma farlo in un modo particolare: a) con intenzione, b) rimanendo ancorati al momento presente, c) in modo non giudicante.
Tutti requisiti indispensabili per una sessione di Coaching efficace.
Alla base di un approccio Mindful troviamo:
1. Non giudizio:
0Per questo saper esercitare la sospensione del giudizio è indispensabile almeno quando il saper giudicare ed il saper discernere. La capacità di sospendere il giudizio ci permette di non cristallizzarci sulle nostre convinzioni e ci apre alla ricchezza dei dati della realtà, consentendoci di guardare con onestà ciò che accade momento dopo momento, mettendo tra parentesi le nostre opinioni ed evitando, infine, che il giudizio si trasformi in pregiudizio.
Quando il processo del giudizio è costante, nulla più ci meraviglia. Quando giudichiamo rigidamente gli altri, falsiamo il rapporto con loro. E, quando giudichiamo rigidamente noi stessi, falsiamo il rapporto con noi stessi.
2.Pazienza:
Non possiamo affrettare il tempo naturale delle cose.
Come agricoltori attenti, dobbiamo saper piantare al momento giusto e attendere il tempo del raccolto, pieni di meraviglia e rispetto per la saggezza insita nello scorrere armonico delle stagioni giuste per fare le cose, una dopo l’altra, tutte al momento opportuno, così quando l’azione è in armonia con i tempi ha maggiori probabilità di successo. Non si può mettere fretta alla crisalide: la farfalla si mostrerà a tempo debito, non prima, non dopo.
La pazienza è saggezza perché dobbiamo vivere quel momento comunque, quindi meglio disporsi ad essa con animo sereno e un’attitudine di non reattività. In secondo luogo perché ci alleniamo con il naturale scorrere delle cose e ci collochiamo dentro una dimensione di connessione profonda con il tempo reale dello svolgimento delle cose.
3.Mente del Principiante:
Il monaco e maestro Zen Shunryu Suzuki- roshi ci invia a cercare lo stato di mente del principiante spiegandoci che, solo una mente aperta può sedere in meditazione in modo proficuo, essendo la mente del principiante l’unico stato mentale che rende possibile un vero apprendimento. La mente aperta è pronta al nuovo, non ha paura ma è attratta da ciò che non conosce, non teme gli errori perché sa che sono parte del gioco, mentre la mente esperta è la mente che di “sapere già” e non apprende più nulla. Ha paura del nuovo e di ciò che non conosce perché potrebbe mettere in discussione i suoi schemi; teme l’errore perché è eccessivamente attaccata alle sue certezze.
La certezza di “sapere di non sapere”, che Socrate pose come fondamento di ogni pensiero veramente libero guida ancora oggi lo sviluppo delle scienze naturali. Se pensassimo di sapere tutto, l’attività di ricerca non avrebbe più alcun senso.
La mente del principiante richiede fiducia e pazienza. Diamo perciò fiducia a noi stessi ed alle nostre capacità di saper gestire con saggezza eventuali difficoltà.
4.Fiducia:
Se incontri il Buddha per strada, uccidilo. – Koan zen –
Uccidere simbolicamente il Buddha significa fidarsi che la guida viene dentro di noi, ovvero sviluppare la fiducia nella propria intuizione, nel proprio potere. Onoriamo le nostre percezioni, fidiamoci di noi stessi. fidarsi di sé significa anche attribuirsi la responsabilità di ciò che si dice, si vivi e si fa.
Ma come si sviluppa la fiducia in sé stessi?
- Parlando in modo sincero oppure praticando il silenzio
- Se dici una cosa, falla
- Prenditi il tuo tempo
- Quando hai scelto, non mettere subito in dubbio la tua scelta
- Chiedi aiuto quando occorre
- Dai aiuto solo quando te lo chiedono
- Valorizza con onestà il tuo contributo
- Valorizza con la medesima onestà il contributo degli altri.
5.Non cercare risultati:
Per comprendere ancora meglio che cosa significhi non cercare risultati ci vengono in soccorso queste frasi di Lao Tzu:
Chi vuole essere utile agisce senza secondi fini.
Chi vuole essere giusto agisce senza intenzioni recondite.
La conoscenza del futuro è solo un fiore del Tao
e preoccuparsi di esso è follia.
Quindi il saggio sta attento alla sostanza,
non alla superficie; al frutto, non al fiore,
lasciando l’uno, ottiene l’altro.
Nel Taoismo esiste il Wuvei, che corrisponde allo stato di minimo sforzo.
Wuvei è solitamente tradotto come “arte del non fare” oppure della “non azione”.
Il Wuvei è coltivare uno stato in cui le azioni personali sono allineate con il flusso dei cicli della natura.
Quando ci troviamo nello stato di flusso siamo in grado di rispondere in modo equilibrato a qualsiasi situazione si presenti e quando in nostri ritmi interni ed esterni sono allineati, le nostre azioni sono naturalmente facili e scorrono senza sforzo. Il principio è quello di accettare l’esito del processo.
6.Accettazione:
Nella tradizione buddhista il sovraccarico da sofferenza viene definito “seconda freccia”: se un guerriero soffre perché è stato ferito dalla freccia, non è possibile rimuovere immediatamente il dolore.
Se una volta ferito, comincia ad agitarsi pensando:
- perché proprio a me?
- Perché mi è successa una cosa del genere?
- Mi fa un male terribile e morirò dissanguato…
- Avrei dovuto aspettarmelo…
- Sono un incapace
dà vita ad una seconda ondata di dolore, che lo paralizza e non gli consente di fare la cosa più utile: chiedere aiuto. La reazione al dolore è diventata una seconda freccia con cui il guerriero si è auto-trafitto.
Possiamo quindi scegliere se fare resistenza ed infliggerci da soli la nostra seconda freccia oppure avere il coraggio di accettare ciò che ci è successo.
Accettare la realtà è il primo passo da cui partire, e la condizione necessaria per fare il passo successivo.
Accettare significa smettere di combattere e di dirsi cose come: non doveva succedere, non sono capace, mi vergogno, sono un fallimento, sono un debole.
Significa cessare di mettere in atto comportamenti per stordirsi ed allontanare il dolore, come bere alcolici, fumare o fare uso di sostanze, consapevoli che, se non ci fermiamo a guardare in faccia la nostra esperienza, non potremo mai essere veramente felici.
Inoltre un aspetto molto interessante dell’accettazione è l’estrema onestà con cui ci permette di guardare dentro noi stessi.
Ogni buon cambiamento parte dall’accettazione.
7.Lasciar andare:
Diciamoci la verità, alzi la mano chi non hai mai rimuginato su qualcosa che ha fatto o su un avvenimento che gli è accaduto. Credo quasi nessuno…
Uno degli aspetti che si impara con la meditazione è proprio l’imparare a lasciar andare i nostri pensieri e concentrarci sull’attimo presente. Un esempio che mi è stato molto utile per imparare a rimanere focalizzati sull’attimo presente e rimuginare sempre meno sui pensieri che affiorano nella mente è stato questo:
i pensieri sono come dei treni mentre noi siamo in stazione:
noi dobbiamo lasciare che ci passino davanti senza che si fermino in stazione.
Un altro motivo per cui continuiamo a pensare ad esperienze che abbiamo vissuto anni fa e perché non abbiamo ancora fatto consapevolezza su quella stessa esperienza.
2: SORRIDI CON GLI OCCHI
Il nostro sorriso è la nostra porta di apertura verso gli altri, che comunica “Sono Accessibile”.
Il sorriso è un invito all’avvicinamento, l’espressione della disponibilità della persona all’approccio e all’avvio di una relazione sociale. Il sorriso è contagioso, è uno strumento relazionale potente a nostra disposizione ed è anche un segno di disponibilità verso l’altro. Sorridere permette di aprirsi agli altri e di abbattere le barriere interpersonali, è un toccasana per mente e corpo, inoltre facilita la formazione di una relazione paritetica e collaborativa.
Un sorriso ci fa stare bene.
Nell’atto di sorridere inoltre il corpo rilascia endorfine e serotonina nel flusso sanguigno, riducendo in tal modo i dolori e migliorando il sistema immunitario, quindi le nostre difese.
Endorfine:
Le endorfine (dette anche ormoni del benessere) sono polipeptidi prodotte dal cervello caratterizzati da una potente attività analgesica ed eccitante. La loro azione è simile alla morfina e ad altre sostanze oppiacee senza procurarne gli effetti collaterali. Nonostante questo (le endorfine) assomigliano molto agli oppiacei per il tipo di analgesia indotta.
Queste sostanze hanno la capacità di regalare piacere, gratificazione e felicità aiutando a sopportare meglio lo stress. Riduzione di ansia, arrabbiature e controllo dell’appetito sono ulteriori proprietà benefiche delle endorfine che hanno tra l’altro anche un potente effetto analgesico implicato nella ridotta percezione del dolore. La scienza ha confermato che l’interazione di queste sostanze con altri ormoni e neurotrasmettitori è alla base di numerosi aspetti della sfera psicologica e sessuale dell’uomo.
Le endorfine sono importanti regolatrici dell’umore. Durante situazioni particolarmente stressanti il nostro organismo cerca di difendersi rilasciando endorfine che da un lato aiutano a sopportare meglio il dolore e dall’altro influiscono positivamente sullo stato emotivo.
Il rilascio delle endorfine in circolo avviene in particolari circostanze come ad esempio l’attività fisica.
Serotonina:
La serotonina è ormone presente in molti tessuti tra cui il cervello, il tratto gastrointestinale, i polmoni, i reni e le piastrine, viene sintetizzata per il 95% nelle cellule della parete gastrointestinale e nel 5% nei neuroni serotoninergici cerebrali e deve la sua fama di ormone del buon umore al fatto che i suoi livelli cerebrali sono implicati nella regolazione di importanti funzioni come: umore, sonno, appetito, emozioni.
L’aumento della disponibilità cerebrale di serotonina porta buon umore, riduce l’ansia, l’aggressività ed allevia il mal di testa; Uno sano stile di vita permette di aumentare i livelli di serotonina: dieta ed esercizio fisico, soprattutto all’aperto possono infatti aumentarli.
Fu Guglielme Duchenne (2006) che scoprì la differenza fisica tra un sorriso spontaneo (di gioia) e uno forzato (falso). Quando si sorride in modo genuino avviene la contrazione combinata e involontaria di alcuni muscoli facciali: il muscolo orbicularis oculi e lo zigomatico maggiore. Quando si esprime un sorriso falso, il muscolo orbicularis oculi non viene attivato in quanto non si può stimolare volontariamente (ibidem).
In riferimento a ciò, è stato studiato che quando si stimola l’orbicularis oculi a livello cerebrale si attiva l’aerea coinvolta all’autentico piacere cosa che, non avviene nel caso in cui il muscolo non sia suscitato.
L’effetto generale del riso è quello di attivare e rilassare l’apparato respiratorio, muscolare, cardiovascolare e il sistema centrale, periferico ed endocrino.
3: COMPASSIONE
Nei secoli, la parola compassione prende forma sul concetto di pietà – una pietà che è quasi disprezzo. Eppure la sua radice, il significato originale dei suoi componenti è tanto più nobile, di respiro tanto più ampio.
La compassione è la partecipazione alla sofferenza dell’altro.
È la manifestazione di un tipo di amore incondizionato che strutturalmente non può chiedere niente in cambio.
Non un sentimento di pena che va dall’alto in basso. Si parla di una comunione intima e difficilissima con un dolore che non nasce come proprio, ma che se percorsa porta ad un’unità ben più profonda e pura di ogni altro sentimento che leghi gli umani.
La compassione è la testa di ponte per una comunione autentica non solo di sofferenza, ma anche – e soprattutto – di gioia vitale e di entusiasmo, è amore per qualcuno anche nel caso in cui compia errori, soprattutto in vista di un miglioramento e di un ravvedimento.
La compassione è la connessione con Dio, sorgente Creatrice e con lo Spirito che ci darà una benevolenza matura e comprensione di tutto ciò che è intorno a noi. La connessione con lo Spirito ci connette alla nostra anima e permetterà la benevolenza.
La compassione è il catalizzatore di tutto e ci permetterà di percepire l’amore ed i bisogni della persona per riequilibrarla. La compassione non è pietà, non è essere dispiaciuti per qualcuno, è quando simuliamo di essere lì con la risposta, e quindi siamo noi al loro posto ma non sentendo per forza ciò che sentono loro.
La migliore compassione è lasciar parlare le persone, stare lì ed amarli.
La compassione è essere al servizio degli altri quando gli altri ce lo richiedono.
La compassione è non essere coinvolti emotivamente da quello che accade.
Io sono al tuo servizio ogni volta che me lo chiedi. Questo non significa fregarcene degli altri. È lasciare alla persona la scelta di chiedere il nostro aiuto. Dare tutto il proprio appoggio, amore, presenza alla persona solo quando viene richiesta.
La compassione non è essere dispiaciuto per non stessi o per gli altri, è vedere con un cuore aperto e benevolente: ho compassione per quest’anima che superato queste cose come vincitore e non come vittima.
Imparare ad amarci ed amare l’altro per ciò che abbiamo ed hanno attraversato.
Credo fermamente che non ci sia cosa più bella di far sentire una persona accolta per quella che è, e quando ci si sente accolti non si può fare nient’latro che aprirsi a chi ci sta di fronte.
Il coaching rappresenta uno strumento fantastico, non solo perché permette alle persone di sbloccarsi, ridare fiducia e speranza alle persone ma anche per i principi che vi stanno alla base.
Federica Dondoni
Infermiera & Coach Professionista
Garlasco
dondofe@gmail.com
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