Categoria: La Via che ti mostra la Via

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La Via che ti mostra la Via

“L’aiutare a partorire la verità rappresenta il rapporto più grande che si può instaurare fra uomo e uomo.” – (Reale)

Penso di esserci nata con questo tarlo. Ricordo che non andavo ancora a scuola e già era un’ossessione: volevo essere felice.
Per la precisione volevo essere MOLTO PIU’ felice da grande di quanto lo fossero tutti gli adulti attorno a me.
Ai miei occhi di bambina il modo convulso dei “grandi” di affrontare la vita era un mistero che dovevo assolutamente risolvere in qualche modo, pena la mia sopravvivenza.
Ma si sa, i sogni dei bambini sono “solo sogni”, che vanno rettificati e raddrizzati perché diventino più consoni alla “realtà”.
A scuola chi è laterale e creativo è oggetto di continui rimproveri. Le informazioni da acquisire devono seguire un preciso e verticale percorso di apprendimento che toglie spontaneità e aumenta la rigidità.
Almeno così è successo a me: da grande sognatrice appassionata di animo umano avevo finito per diventare squadrato e sofferto ingegnere, senza più sogni e con un grosso buco dentro che reclamava per essere riempito.
Le crisi di autogoverno – in allora non avevo idea si chiamassero così – erano all’ordine delle mie giornate.
Confusa, frastornata, insoddisfatta continuavo a girare per librerie e web alla ricerca di risposte al mio malessere. Avrei voluto cambiare vita, ma non avevo idea della direzione in cui rivolgermi.

 

Alla ricerca di aiuto

Non sapere cosa vuoi fare della tua vita non è uno scherzo. E’ doloroso essere senza direzione.
Ci sono tantissimi libri e corsi in giro che dicono che per vincere e avere successo devi ottenere ciò che vuoi e quindi ti dicono cosa dovresti fare per diventare un vincente.
Ma se uno non sa cosa vuole ? Come fa a diventare un vincente, a raggiungere ciò che vuole se NON SA COSA VUOLE?
Questa era la mia condizione. Mi ero così tanto allontanata da me stessa in tutti gli anni della scuola che alla fine non solo non mi piaceva quello che facevo ma proprio non riuscivo neanche più a capire che cosa io volessi fare di diverso.
Nel mio lungo e tormentato cammino alla ricerca di risposte mi accorgevo che il mio problema era molto più diffuso di quanto credessi.
Sempre più oggi, infatti, sono le persone che percepiscono un “senso interno di potenziale non realizzato”, persone che vorrebbero o hanno bisogno di più dalla vita ma non riescono ad ottenerlo.
E se un tempo, in epoche sociali ed economiche diverse, scoprire il proprio pieno potenziale, auto realizzarsi, trovare lo scopo della propria vita erano quasi un vezzo superfluo, oggi, essere la miglior versione di se stessi è diventata un’esigenza primaria, la differenza competitiva indispensabile per vivere e non semplicemente sopravvivere.
Ma come fare dunque?

 

Il gioco è cambiato

Siamo stati addestrati a cercare le risposte fuori di noi. Quando arriva la crisi, di qualunque tipo si tratti, la prima reazione spontanea è quella di cercare qualcuno in grado di aiutarci, una figura genitoriale sostitutiva che ci dica cosa fare per smettere di soffrire e tornare a stare bene. Il consulente, il formatore cavalcano in buona fede questa abitudine e si impegnano a fornire risposte funzionali alla “persona portatrice di problema” che hanno di fronte, dimenticando invece di entrare in relazione con la “persona in quanto tale”.
Nel passato, quando ancora la realtà era facilmente rappresentabile con spiegazioni lineari di causa effetto – la mela cade, tutte le mele cadono, tutti i corpi pesanti cadono dunque esiste una forza che li fa cadere – questo modo di procedere poteva essere soddisfacente. Il numero di problemi che una persona nella propria vita poteva incontrare ricadeva in un range finito e limitato che si poteva facilmente riassumere nel “farsi assumere, farsi sposare, procreare, portare a casa la pagnotta, stare fuori dai guai”.
Dalla comparsa di internet nelle nostre vite la situazione, invece, è drasticamente cambiata. E’ stato stimato che una persona oggi è sottoposta in una sola giornata al numero di informazioni e scelte a cui una persona del secolo scorso non era sottoposta nell’arco della sua intera vita.
Oggi è la rappresentazione quantistica non lineare della realtà a governare le nostre vite, quella in cui Heisenberg ci dice che un elettrone “oggettivamente”, da solo, non esiste: la sua esistenza, il suo esistere come onda o come particella dipende da noi che lo osserviamo!
E se consideriamo per un solo istante che tutti noi siamo fatti di elettroni… chi ci sta facendo esistere in questo momento? Chi è in grado di determinare quale sia la miglior risposta per il nostro problema, se nel solo guardare quel problema la sua natura è già cambiata?
Non c’è da stupirsi che i casi di “ordinaria follia” siano in netto aumento in questi anni. Semplicemente i vecchi sistemi per spiegare e interpretare la realtà, per trovare soluzione ai nostri problemi valevano nel vecchio gioco, nel vecchio mondo. Ora tutto è cambiato.

 

Centro di Gravità permanente

Al centro dei vortici persino del più potente tornado tutto è immobile. Alla base di qualsiasi vorticosa complessità – dice la scienza – c’è sempre una basilare semplicità.
Questo è quello che, per me, ha rappresentato il coaching. La scoperta che l’unico modo per trovare risposte era smettere di cercarle fuori di me. Smettere di aspettarmi che ci fosse qualcuno in grado di dirmi cosa fare, dove andare, come vivere e assumermi tutta la piena responsabilità della mia vita. Non solo, accettare che ogni volta che qualcosa non va nel verso giusto è solo perché non me ne sto prendendo la piena responsabilità. E’ un percorso in salita ma la sua potenza può essere deflagrante.
Non si capirebbe come, diversamente, dopo più di vent’anni passati a girare come un topolino impazzito in un labirinto apparentemente senza formaggio, alla ricerca dello scopo della mia vita, in soli quattro mesi di corso di coaching sia apparso il più grande deposito di Nuovissimo Formaggio mai visto. Era da poco superata la prima metà del corso e, come un miracolo, è finalmente apparsa nella mia vita la concretizzazione professionale perfetta, la realizzazione di quello che, ormai disperavo esistesse, ho sentito essere il mio Unico, Vero, Grande Scopo.

 

Sarà un caso

Penso che quando Einstein si è visto a cavallo del raggio di luce e ha intuito la famosa legge di Relatività, abbia avuto un momento di dubbio feroce, data la radicale e sostanziale novità rispetto a qualsiasi conoscenza mai esistita e sperimentata prima. Altrettanto, devo dire, è successo a me.
“Sarà un caso”, ho pensato. “Dopo anni a cercare risposte invano, è ragionevole e plausibile che la soluzione arrivi casualmente in questo momento. Si sarà trattato di un miracolo.”
“O forse no”, ho ripensato. E da bravo ingegnere ho subito deciso di fare qualche prova.

 

L’adolescenza è servita

Chiunque abbia esperienza di essere genitore di un figlio adolescente non faticherà un secondo a immedesimarsi nella disperazione del giorno in cui ti accorgi che tuo figlio è entrato nella fase in cui è completamente sordo alle tue parole.
Vorresti che studiasse ma si trascina svogliato. Vorresti che parlasse ma a stento alza gli occhi dal piatto. Vorresti aiutarlo ma leggi nei suoi occhi il vuoto più completo.
Così un giorno, mi sono seduta sul tappeto, per terra, per sottolineare il concetto che rispetto alla nostra relazione genitoriale e dunque ovviamente asimmetrica, stavo facendo qualcosa di diverso.
Interiormente ho fatto tutto il meglio che potevo per predispormi ad ascoltare senza giudizio, con apertura, con totale accettazione, empatia, accoglienza, liberando la mia mente da ogni aspettativa. Mi sono disciplinata ad applicare con il massimo dello zelo possibile la spirale dell’ascolto attivo. Mi sono legata la lingua per non dire nulla più che domande rispondenti alla coaching-definizione di “domande efficaci”.
Mi sono messa i più sfavillanti occhiali da coaching di cui potessi disporre, determinata solo a vedere il meglio del potenziale dentro a quello che, fino a quel momento altro non avevo visto se non come un confuso e reticente tredicenne.
E il miracolo, ancora una volta è successo in meno di un’ora. Dalla confusione è emersa, come una nitida perla di consapevolezza, quello che per nostro figlio era la massima aspirazione della sua vita, un faro che da quel momento è diventato lo strumento che con spontaneità mi permette di fargli riorientare, in autonomia e autodeterminazione, le correzioni di rotta che una volta avvenivano solo con forzature. Oggi lui sa cosa vuole fare da grande, coltiva il suo futuro desiderato ogni giorno e supera le difficoltà della vita scolastica orientando la sua attenzione verso quel futuro desiderato, accettando di “allenarsi” anche quando la motivazione non è forte né “calda”.

 

Non c’è due senza tre

“Bene, con i tredicenni funziona, con gli ingegneri in cerca di uno scopo anche, ma potrà funzionare anche con qualcuno che non ha mai fatto praticamente nessun lavoro di auto scoperta o crescita personale?”
E’ stata questa la domanda che mi è sorta spontanea nella mente il giorno in cui la vita mi ha presentato una coachee inaspettata: una persona di famiglia, in crisi di autogoverno perché “le cose ora sono cambiate, so che voglio cambiare ma non ho idea di cosa mi piaccia davvero”.
La tentazione di uscire dalla geometria della relazione di coaching era altissima. Dare consigli, suggerire ipotesi, consolare e raccontare la mia esperienza erano le armi che avrei usato in passato con abbondanza ma che, quel giorno, mi disciplinai a bandire con rigore. A rischio di sembrare poco interessata seguii ancora una volta alla lettera tutti gli insegnamenti appresi: presente percepito, futuro desiderato, ascolto attivo, silenzi presenti, cronos bandito, occhiali da coach e domande efficaci per illuminare il potenziale della mia coachee.
E ancora una volta, addirittura in meno di mezz’ora, un altro miracolo. La luce si accende, il buio che circondava la vita di quella persona sparisce e lascia posto ad una nuova, inedita, inaspettata ma pienamente soddisfacente consapevolezza: “Non ci posso credere! Ho capito cosa voglio fare davvero nella mia vita. Non so come mai non ci avevo pensato prima!”

 

Per due punti passa una retta

E per tre passa un’autostrada! Questo almeno è quello che ho pensato io mettendo assieme, stupita, i pezzi del puzzle di questi ultimi quattro intensi mesi.
“Il Coaching risponde ad un contesto economico sempre più competitivo e complesso che richiede una maggiore flessibilità nelle competenze e nei comportamenti: le riorganizzazioni, l’internazionalizzazione, l’evoluzione delle tecniche di management e di valutazione, la nascita di nuove tecnologie, sono solo alcuni dei fenomeni che chiamano in causa cambiamenti sempre più frequenti e una maggiore capacità di adattamento” (Angel, Amar, 2008).
Tutto sta diventando più chiaro: non ero stata vittima di un brutto scherzo del destino a non sentirmi soddisfatta nel lavoro che avevo svolto dopo aver scelto una facoltà nel range finito e limitato delle possibilità che la scuola può proporre. Non lo ero io e non lo erano tutti gli avvocati, i geometri, i ragionieri, gli ingegneri insoddisfatti delle loro professioni, che avevo conosciuto e con quel buco dentro che diceva “Non sono felice, ci deve essere di meglio ma non so dove trovarlo”.
Semplicemente i tempi sono cambiati. Nel nuovo mondo di infinite possibilità e variabili non sono più minimamente sufficienti le limitate e finite possibilità di scelta da cui possiamo pescare nel sistema scolastico tradizionale. Bisogna essere creativi, resilienti, conoscere il proprio potenziale , saperlo alimentare, valorizzare e presentare al meglio.
Non è più sufficiente oggi fare di più, sforzarsi per fare meglio, è indispensabile imparare a fare diverso e l’unico modo possibile per riuscirci con certezza è imparare a fare se stessi.
Il punto è che per fare se stessi non esiste nessuna mappa predefinita, nessuna certezza preconfezionata. Gli antichi greci lo sapevano con chiarezza, forti del monito dell’Oracolo di Delfi:
“Se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi, non potrai trovarlo nemmeno fuori.”
Invece, al giorno d’oggi, cresciuti sotto le regole pressanti di una socializzazione scolastica le cui radici posano, anziché negli illuminati concetti dei nostri antenati greci, nelle esigenze militari dell’impero prussiano, cresciamo irreggimentati dentro risposte duali, dovendo scegliere fra solchi predefiniti il nostro destino, obbligati ad allinearci ad una mediocrità controllabile. Quel tipo di mediocrità in cui salute significa assenza di malattia, felicità significa assenza di problemi.

 

Sarebbe questa la famosa “felicità”?

Mi stavo accorgendo che, nella mia ricerca della Felicità per quasi tutto il tempo mi ero accanita a lavorare su me stessa – e suggerito agli altri di fare altrettanto – con l’intento di alleviare la sofferenza, estirpando le erbacce del malumore e di tutte le condizioni disabilitanti dell’esistenza. Lavorare sul presente percepito ma ancora di più sui traumi del passato che hanno reso dolorosamente tale il proprio presente, sembrava essere la principale – quando non l’unica – soluzione proposta dalla maggioranza dei sistemi di auto aiuto nonché della terapia psicologica “classica”.
D’altronde, come anche solo pensare diversamente? Da Freud in avanti, tutto lo sforzo della psicologia è stato rivolto ad analizzare e rimuovere le condizioni disabilitanti per la persona, con l’aspettativa di vederla poi ritornare ad uno stato privo di patologie o disagi. I comportamentisti nella prima metà del XX secolo erano certi che, eliminando le condizioni disabilitanti dell’esistenza, la vita dell’uomo avrebbe subito un conseguente inevitabile netto miglioramento. E questo è quanto viene insegnato nelle nostre scuole, prevalentemente.
Eppure, cominciavo a scoprire, le cose non stanno in questo modo, anzi. Come dice M. Seligman “buona parte della psicoterapia (e dei farmaci) ha un effetto solo cosmetico: allevia i sintomi per un breve periodo di tempo per poi ributtarci tristemente nella solita debilitante condizione. “
Essere felici, evidentemente, doveva essere più che rimuovere le cause di malessere e di disagio presenti nella propria vita.
E doveva essere anche più che avere una vita da sogno, piena di tutto ciò che un uomo o una donna potrebbe desiderare. Diversamente non si potrebbe spiegare come mai tanti personaggi famosi, invidiati e osannati dal mondo intero, sembrino trovare pace solo ponendo tragica fine ai loro giorni terreni.

 

Querce e Ghiande Corazzate

Maslow, iniziatore della psicologia umanistica, dice è che in ognuno di noi è presente un “seme”, un potenziale, un principio di autorealizzazione che dev’essere espresso in quanto è la nostra essenza personale autentica, unica e irripetibile.
L’autorealizzazione, dice Maslow, è l’appagamento ultimo e nel contempo la spinta primaria e la ragion d’essere della specie umana: il bisogno di esprimere la propria unica e irripetibile verità e i propri talenti in un’opera creativa che lasci il segno del proprio passaggio su questa Terra. Si parla di missione e di vocazione come espressione di un diritto irrinunciabile alla felicità e al compimento del proprio destino. Una vocazione ostacolata può spezzare il cuore, può distruggere una vita. Si tratta del bisogno di creatività, di libertà di espressione profonda del proprio sé; è l’accettazione profonda di se stessi, realizzata personalmente ed espressa e riconosciuta dagli altri.
Felicità, significato, flusso, amore, gratitudine, realizzazione, crescita, rapporti migliori costituiscono un insieme definito da Martin Seligman, padre della psicologia positiva, il “flourishing” dell’uomo, il suo fiorire.
Hillman sostiene che: “Ci sono più cose nella vita di ogni uomo di quante ne ammettano le nostre teorie su di essa. Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada. Il paradigma oggi dominante per interpretare le vite umane individuali, e cioè il gioco reciproco tra genetica e ambiente, omette una cosa essenziale: quella particolarità che dentro di noi chiamiamo “me”.”
Come dire, se continui a cercare di diventare una Ghianda sempre più corazzata e resistente, non riuscirai comunque mai a realizzare il tuo vero Scopo: diventare una maestosa Quercia.
Dunque non era solo una mia impressione…
La Felicità vera esiste e si trova laddove si riesce finalmente a contattare, mettere a frutto e realizzare il proprio senso di Unicità e di Scopo.
Allora non era vero che i Sogni sono cosa da bambini.
Non era vero neanche che per avere successo si devono mettere i sogni nel cassetto e mettere gli scarponi pesanti della realtà!
Anzi, scoprivo in questi intensi quattro mesi, esistono fior fiore di scienziati che hanno sostenuto esattamente il contrario: che solo chi si decide a tirare fuori i propri sogni dal cassetto può avere successo e per di più accedere anche a Felicità duratura.
Certo, non è sufficiente sognare per avere risultati, il coaching insegna benissimo anche questo: l’agentività positiva al servizio di obiettivi chiari in un piano d’azione intelligenterrimo (per provare ad italianizzare il più efficace acronimo inglese S.M.A.R.T.E.R.) è uno degli elementi fondamentali del potenziale individuale che va risvegliato all’interno del percorso di coaching.

 

Conclusioni

Nel profondo sono sempre stata profondamente convinta del fatto che, se avessi trovato il mio scopo, il mio unico, vero motivo per cui sono nata, sarei automaticamente stata felice.
Per anni ho rischiato di finire per rassegnarmi a credere il contrario, talmente grande era la frustrazione nel non trovare nulla nonostante gli sforzi e le ricerche.
Oggi so invece con certezza, grazie al coaching, che non solo è proprio questo l’ordine delle cose – trova il tuo scopo e sarai naturalmente felice in ogni momento e in ogni condizione – ma anche che esiste un metodo preciso e replicabile per rendere tale ordine una meravigliosa realtà nella vita di chiunque ne senta l’esigenza.
I sistemi tradizionali di natura “formativa”, la psicologia classica, la consulenza, possono al massimo permettere alle persone di aumentare le loro prestazioni, di aumentare le loro performance, ne faranno delle “Ghiande Corazzate”, ghiande cioè particolarmente potenti ed efficaci. Ma non potranno mai riuscire in quello che, solo il coaching può fare: rendere una persona definitivamente, liberamente, consapevolmente Quercia!

 

Erica Zuanon
Life e Career Coach – Diplomata @InCoaching
e.zuanon@gmail.com

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