
La Dieta fa ingrassare !
Pensieri e Riflessioni – dalla dietetica postmoderna al neorealismo dietetico
Il cambiamento possibile: stile di vita Flow
La parabola di chi si affida a una cura dimagrante – specie gli obesi – sembra tracciata da una mano beffarda: nelle prime settimane si perdono chili, in alcuni casi anche il dieci per cento del peso complessivo. I risultati sembrano premiare gli sforzi, addirittura illudere che dimagrire sia facile e non richieda nemmeno troppo tempo. La batosta arriva più tardi.
Nel lungo periodo ogni sforzo è vanificato: a due anni dall’inizio della dieta per un paziente su quattro l’effetto benefico è già interamente svanito, e la situazione è addirittura peggiorata. (La Stampa 28/03/2008)
Molti studi nazionali ed internazionali testimoniano, da svariati anni, la desolante realtà sopra descritta, è risaputo: la dieta, tradizionalmente concepita, non funziona anzi peggiora la situazione iniziale.
Chiunque oggi operi in questo ambito e sia dotato di un minimo spirito critico che rimanda ad un primigenio ippocratico monito, non può non percepire una condizione stagnante in cui è venuta meno la promessa della relazione terapeutica.
Il pensiero analitico-deduttivo del mondo occidentale ha generato una medicina che, in virtù del suo metodo di ricerca dall’universale al particolare, ha ampliato sempre più le proprie conoscenze e nel corso della sua storia tende a diventare sempre più settoriale e specialistica .
Il pensiero analogico-simbolico dell’estremo oriente , considera l’essere umano come un’entità complessa, che non può essere divisa e analizzata singolarmente nelle sue varie componenti, ma compresa solo nella sua inscindibile globalità. Inoltre l’uomo (microcosmo) fa parte di un sistema molto più vasto (macrocosmo), nel quale è inserito e di cui condivide le leggi.
E’ a questa visione unitaria dell’uomo che la medicina cinese si è ispirata fin dalle sue origini per “curare il malato e non la malattia”.
La medicina occidentale ha recentemente compreso i limiti del proprio ragionamento lineare: la medicina psicosomatica è stato un primo tentativo di sintesi della prima suddivisione tra psiche e soma; un secondo ma più complesso tentativo è dato dalla PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia) che si fonda sul presupposto che esistono dei fenomeni di sovrapposizione, integrazione e sinergia tra i sistemi psichico, neurologico, endocrino e immunitario, i quali utilizzano il dialogo incessante che avviene attraverso vari linguaggi: molecolare, elettrico, chimico e fisico.
L’organismo umano funziona come un network, come una rete integrata che unisce i vari organi e sistemi, quindi i modelli terapeutici dovranno tenerne conto.
Come ci suggeriscono le Neuroscienze, ogni fenomeno psichico induce una modificazione biologica oggettivabile nel cervello e al tempo stesso ogni modificazione del cervello , strutturale o funzionale, genera modificazioni nel comportamento, nei vissuti emozionali e nei modi in cui, nella nostra testa, elaboriamo l’esperienza vissuta.
Ecco perché per capire le convinzioni, gli atteggiamenti e i comportamenti delle persone non può essere sufficiente conoscere il solo substrato biologico o fisico.
La Cultura dell’Alimentazione è patrimonio di ogni civiltà, è il prodotto della storia locale, degli apporti di altre culture, dei cambiamenti economici e geografici, rappresenta un nucleo originale e per molti aspetti irripetibile di sapere. I principi di una sana alimentazione sviluppati in ogni cultura sono il risultato di esperienze millenarie dell’uomo e dei modelli culturali di ogni civiltà, in questo senso hanno in comune numerose regole di saggezza.
La Scienza dell’Alimentazione, termine con il quale si definisce l’approccio biomedico e razionalistico all’alimentazione, è al contrario un prodotto molto recente della civiltà occidentale. L’impalcatura su cui si sviluppa è quella dell’osservazione scientifica e della verifica sperimentale. Il substrato culturale è quello razionalistico e positivista.
In virtù della nuova realtà che si sta materializzando abbiamo bisogno di tracciare modalità innovative come superamento delle prassi di riferimento nelle professioni della cura.
Il punto di partenza è che non si può parlare di cambiamento senza la “comprensione dell’individuo”.
La rivoluzione culturale a cui faccio riferimento necessita di un completo ribaltamento delle prospettive attribuendo una vera centralità al paziente sano o malato, attraverso l’ascolto attivo e la comprensione del suo vissuto profondo e della sua prospettiva, capace di trasformare la narrazione del paziente e del suo linguaggio non verbale in una realtà unica e non riproducibile.La letteratura degli ultimi decenni ha dedicato molte energie allo studio delle leggi che regolano il cambiamento e l’apprendimento di nuovi comportamenti, in relazione all’indiscusso impatto sulla salute individuale del comportamento stesso e del contesto in cui tale comportamento viene messo in atto.
Tutte queste teorie hanno contribuito a creare un clima in cui l’indeterminazione, la frammentazione e la delegittimazione regnano sovrane: le ambiguità, i controsensi e le rotture alimentano le nostre incertezze e le nostre indecisioni.
L’infinita pluralità di modelli dimagranti sconnette, scollega l’individuo allontanandolo da qualunque forma di sintesi sociale, epistemica o culturale.
Il senso del sé è mancante. Non ci sono aspetti di profondità, la sostanza cede il posto alla superficialità, il contenuto alla forma. La forma (intesa come metodo) è tutto, è tutto lì, in superficie.
Nascono “forme dietetiche” promiscue ed equivoche, si osserva una confusione di stili, sacro e profano, empirico e improvvisato si mescolano in un ibrida parodia.
La dieta come nuovo costruzionismo, contribuisce a creare la realtà dell’individuo stesso sotto forma di finzioni espressive . La dieta espande se stessa in un sistema comunicativo immanente.
La dietetica postmoderna ha contribuito a legittimare l’idea di un approccio nutrizionale socialmente costruito ed infinitamente manipolabile , lasciando credere che non esistono certezze ma semplici interpretazioni di metodo in cui qualsiasi principio pseudoscientifico è in grado di soppiantare l’oggettività e la certezza come unici principi di conoscenza e di comprensione della realtà.
Siamo ormai giunti ad un “populismo dietetico”, la verità e l’oggettività sembrano diventate nozioni inutili.
Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è uno sguardo alla realtà contingente fatta di persone vere che agiscono in contesti reali , individui portatori di saperi, di potenzialità che necessitano di organizzarsi in una geometria del fare.
Ciò di cui non abbiamo bisogno è di un ulteriore paradigma postulato su un uomo astratto che vive in condizioni ideali , privo di conoscenze e di emozioni.
Nella realtà, dal punto di vista pratico, nell’ambito dell’educazione alla salute e nello specifico nel poliedrico mondo della dietologia, esistono, come abbiamo visto, diverse correnti di pensiero più o meno scientifiche volte a definire un corretto stile di vita, tutte con una forte propensione oggettiva, svincolata cioè da variabili individuali.
“Stile di vita” è l’espressione coniata da Alfred Adler per definire …….”l’impronta unica e irripetibile di ogni individuo, costituita dalla risultante di tratti comportamentali, orientamento del pensiero, sentimenti ed emozioni, posti al servizio del fine ultimo perseguito”.
Unicità e irripetibilità sono identificate dai progetti e dagli scopi prevalenti che l’individuo elabora per se stesso, elementi che vanno correlati alle capacità personali e ai fattori ambientali.
La salute si raggiunge allorché gli individui sviluppano e mobilitano al meglio le proprie risorse, in modo da soddisfare prerogative sia personali(fisiche e mentali) sia esterne (sociali e materiali). Salute e malattia non sono pertanto condizioni che si escludono a vicenda, bensì punti terminali di una comune continuità.
Risulta evidente il riconoscimento della soggettività e dello stato di equilibrio: il modo di percepire la realtà da parte del soggetto influisce sul suo stato di salute, e lo stato di salute rappresenta una condizione dinamica di equilibrio fondata sulla capacità del soggetto di interagire con l’ambiente in modo positivo, pur nel continuo modificarsi della realtà circostante.
Essere a dieta oggi, significa vivere un’esperienza epica: l’individuo viene studiato, analizzato, classificato, viene spogliato della propria personalità per assumere una nuova identità, quella più conveniente al proprio carnefice demandato. Da quel momento ogni decisione, azione, pensiero, emozione saranno regolamentati esclusivamente da lei, la malattia, sarà lei il nemico da combattere e sarà lei e sempre solo lei a scandire i dove, i come, i quando, i quanto e i perché dello sfortunato trasgressore, inetto, avido, irresponsabile e inesorabilmente malato.
Senso di colpa, sacrificio, privazione, smarrimento, fallimento, insoddisfazione, inadeguatezza, paura di sbagliare, giudizio, imbarazzo, vergogna, perdita di controllo, impotenza, rabbia, apatia, preoccupazione, noia, stress accompagneranno ogni istante, ogni respiro di colui che, al di là di ogni ragionevole dubbio, verrà salvato dalla magnanime scienza della nutrizione. L’eroe salvifico, colui che nel suo nome porta l’ossimoro ingannevole del proprio agire, il Nutrizionista, colui che nutre, non si lascerà distrarre da quell’enormità di emozioni inespresse e così tragicamente manifeste, resterà concentrato sulla corporeità specifica della patologia, e in questo mancato riconoscimento potrà esprimere tutto il proprio potere nel costruire quel circolo vizioso in cui all’evidenza della smisuratezza del proprio corpo e all’assoluta incapacità di tirarsene fuori, il paziente – malato risponderà con un’attenzione e una preoccupazione sempre più focalizzata sulla propria fisicità.
E’ urgente una rivoluzione cognitiva, si percepisce il bisogno di un riassetto della conoscenza che ne muti il punto di vista fondamentale e i suoi percorsi di riorganizzazione. La metacognizione va perseguita come nuovo criterio che permette di imparare ad apprendere, piuttosto che imparare contenuti e padroneggiare conoscenze specifiche.
In quest’ottica, è possibile pensare alla dieta come ad un viaggio che consente di recuperare le categorie necessarie alla comprensione della propria realtà quali la processualità, la progettualità, il senso del divenire, la consapevolezza dell’evolversi? Il cambiamento possibile passa attraverso la potenzialità riconosciuta a ciascun individuo di decodificare ogni linguaggio (interno e esterno), di interpretarlo e di inserirlo in un quadro di significati autodeterminati e soggettivamente declinati.
In questa rappresentazione metaforica del viaggio, la dieta si palesa come quello spostamento da un punto iniziale ad una meta finale e del suo svolgersi consapevole come l’ esperienza ottimale, autonoma, responsabile e creativa del singolo, all’interno di una relazione facilitante in cui accoglienza, ascolto, alleanza e autenticità nutrono la narrazione del racconto che progressivamente si autoalimenta di nuovi significati ed emozioni e progredisce verso gli obiettivi di miglioramento e di cambiamento.
Nella terapia dietetica tradizionale la relazione terapeutica è di tipo triadica, terapeuta-paziente-malattia, è di tipo asimmetrico nell’interazione, il paziente viene sempre giudicato inesperto ( la sua condizione testimonia la propria incapacità), è sbilanciata nella distribuzione dei poteri, la parte vulnerabile è il paziente, il quale è dipendente dalla competenza del professionista, è una relazione in cui viene negato il principio di autonomia, è il professionista che agisce, omette, prescrive in virtù di una visione paternalistica che lo incorona unico competente e quindi il solo in grado di decidere in favore o per conto del beneficiario.
Secondo l’accreditatissimo Modello Educativo Cognitivo il paziente inesperto per affrontare il suo problema viene educato, formato, addestrato, riabilitato (8 lezioni che sviluppano 157 tecniche secondo i principi base del Behavior!!!), ossia viene reso esperto e consapevole al fine di costruire una relazione professionista-paziente -malattia idonea al Management Multidimensionale. Il tutto sotto l’occhio vigile di un sistema di controllo esercitato dal professionista e dal laboratorio analisi.
Tutto ciò è preistoria!
Immaginiamo, nel qui ed ora, una relazione terapeutica regolamentata da un contratto nel quale entrambe le parti si impegnano, ognuno nel proprio ruolo, a rispettare determinati accordi basati sulla fiducia e sul riconoscimento reciproco. Un impegno in cui gli obiettivi autodeterminati si sviluppano all’interno di competenze specifiche individuali, mediante un coinvolgimento attivo del paziente nelle decisioni terapeutiche, in cui non trovano spazio pressioni esterne, avvertimenti o seducenti persuasioni.
Un’alleanza terapeutica che permetta al paziente: di fronteggiare e gestire autonomamente stimoli esterni, pensieri, credenze personali, emozioni; di sviluppare in piena autonomia quelle abilità relazionali e potenzialità che spingono il paziente ad imparare a fare e quindi a fare concretamente; di sentire di poter compiere azioni efficaci per il raggiungimento di un obiettivo e di percepire l’influenza delle proprie azioni sugli eventi; di implementare la propria autostima e di interpretare i propri insuccessi anche come momenti di crescita. In questo ambito il terapeuta diventa un accompagnatore del paziente per condividere le decisioni, stimolare l’autonomia e il senso di responsabilità, individuare i bisogni e favorire la crescita personale.
Una condizione ottimale in cui la persona-paziente percepisce le opportunità di azione e le richieste esterne in equilibrio con le proprie capacità interne, una situazione in cui desidera rimanere perché pienamente appagante in cui sente crescere il proprio senso di motivazione intrinseca e di autodeterminazione.
Una situazione in cui :gli stimoli minori perdono di importanza per restare concentrati sul compito che si sta svolgendo, il senso del tempo risulta alterato e non rappresenta più un elemento giudicante del proprio operato, una percezione tra il sé e l’ambiente di consapevole armonia e fusione, un sentirsi parte di un progetto pensato, voluto, elaborato, ma soprattutto nessun controllo esterno bensì un feed back immediato come risultante di un controllo automatico libero da paradigmi cognitivi e libero da paure di perdita di controllo, l’io non giudica è parte integrante dell’azione.
Una vera e propria rivoluzione culturale: la dieta come esperienza di Flow capace di farci sentire di avere il pieno dominio delle nostre azioni, in cui passione e creatività, e non la bilancia, il “ conosci te stesso” e non il manuale delle calorie rappresentano efficaci strumenti di lavoro.
Sandra Catarsi
Dietista & Nutrition Coach
La Spezia
sandracatarsi@micso.net
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