Categoria: La Buona Novella del Coaching

Categoria: La Buona Novella del Coaching

La Buona Novella del Coaching

 

Genesi

Ho sempre professato la mia fede cristiana con convinzione, verificando sul campo una ricaduta positiva sul mio agire; la stessa decisione di frequentare un corso di coaching è nata con l’intento di rivolgere uno sguardo “alto” verso l’altro. Ho così riscontrato un’analogia tra alcuni strumenti e competenze richieste nel servizio di coaching professionale e diversi episodi descritti nel Nuovo Testamento della Bibbia, una sorta di slalom parallelo che mi conduce al traguardo con una nuova consapevolezza rafforzativa del mio credo religioso.

Vorrei partire dal principio, ossia dalle prime parole della Bibbia (Gen 1, 1-2) che ci descrivono la terra come una massa informe.

Risalendo al greco, si parla di caos; secondo Platone e Aristotele, chaos significa “mescolanza, disordine” e si oppone a cosmos con cui si intende ciò che ha un ordine.

Il Coachee in crisi di autogoverno, si presenta all’inizio del percorso di coaching con un insieme disordinato di risorse proprie senza consapevolezza alcuna delle potenzialità in possesso; ogni singola sessione di coaching può invece diventare lo spazio da investigare, da conoscere, da abitare per dar voce e forma a ciò che voce e forma ancora non ha.

Dal canto suo, il Coach potrà soltanto illuminare questo spazio buio del Coachee, lasciando a lui il compito di decidere la strada da percorrere, passando gradualmente dal caos al cosmo; e luce fu!

 

La relazione facilitante

Nel percorso di coaching, è indispensabile creare una relazione di autenticità; in mancanza di quest’ultima, il Coachee percepirà una sorta di ambiguità, perdendo così fiducia e desiderio di apertura e mettendo invece in atto tutta una serie di meccanismi di difesa e di chiusura, a suo discapito e a discapito dell’intero percorso.

Vi è un passo del Vangelo (Luca 10,38-42) emblematico riguardo al tema della gestione del tempo di sessione.

Gesù e il suo “entourage” vengono invitati a casa di due sorelle: Marta e Maria.

Mentre la prima era affaccendata nel far si che tutto fosse in ordine, la seconda rimaneva in ascolto di Gesù senza muovere un dito. Marta fa le sue rimostranze a Gesù, che le risponde in maniera sorprendente: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta!”

Molto spesso siamo noi Marta, presi e affogati dalle tante cose da fare. Certamente lo facciamo con buone intenzioni ma arriva un momento in cui persino la più lodevole delle attività, la compiamo in maniera disumana perdendo di vista il vero senso, il vero bene di quella cosa.

Maria non perde di vista l’essenziale della realtà, Marta invece pensa a tutto tranne che all’essenziale. Gesù rappresenta l’essenziale, il motivo per cui quella giornata era straordinariamente bella, il punto di riferimento ove volgere lo sguardo.

La relazione facilitante si nutre dello sguardo del Coach sul Coachee, non deraglia verso il problema da risolvere, e neppure verso la soluzione da scovare. Marta, come erroneamente potrebbe fare un Coach, interpreta il tempo come Chronos, ovvero un tempo misurabile, quantificabile. La consapevolezza

Maria, come correttamente dovrebbe fare un Coach, interpreta il tempo come Kairòs: il tempo propizio, il tempo opportuno, quel tempo di una sessione di coaching che allena la responsabilità del Coachee.

Mi soffermo ora sul famigerato episodio dell’adultera (Giovanni 8,3-11), ove una donna condannata alla lapidazione viene salvata dalla solerzia giustizialista degli scribi, semplicemente con una frase di Gesù: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”.

Il piano della coscienza interiore qui si sposta dalla condanna sull’altrui comportamento al giudizio rivolto verso di sé.

L’abitudine nel giudicare aspramente l’altro conduce spesso al severo giudizio personale, e in questo caso si esplicita col lasciar cadere per terra le pietre pronte al lancio.

Rifacendoci alle posizioni relazionali della teoria dell’Analisi Transazionale di Eric Berne, una relazione di coaching è efficace quando il Coach, sia con sé stesso che nei confronti del Coachee, si pone nella modalità IO SONO OK (mi apprezzo, mi riconosco valore, mi sento adeguato, apprezzo me stesso così come sono) – TU SEI OK (ti apprezzo, ti riconosco valore, ti ritengo adeguato, ti accetto così come sei).

È indubbio che un Coach che si trovi in modalità IO NON SONO OK (come uno degli scribi che lascia cadere la pietra) non riuscirà a portare avanti il suo lavoro, in quanto presupposto di una relazione di paura o, peggio rincarando la dose, di dolore; lo sguardo giudicante verso il Coachee (sempre lo scriba che posa gli occhi sull’adultera) è ascrivibile alla posizione TU NON SEI OK, presupposto per la relazione di rabbia o di dolore.

La vera relazione facilitante intrisa di positività, IO SONO OK – TU SEI OK, la instaura Gesù quando posa lo sguardo misericordioso sull’adultera; ella è consapevole del suo errore, ma altresì comprende di essere accettata così com’è da Gesù stesso; e riparte fiduciosa accompagnata dallo Suo sguardo benevolo, prova della posizione TU SEI OK.

 

La consapevolezza

È uno dei concetti chiave di un percorso di coaching: in estrema sintesi, non ci può essere sviluppo personale senza una concreta e autentica presa di consapevolezza di ciò che siamo e di quelle che sono le nostre potenzialità.

Gesù amava porre domande, molto più che dare risposte. Questa attitudine è peculiare nell’attività di coaching: sono le domande, piuttosto che le istruzioni o i consigli, a generare nel Coachee la presa di coscienza e responsabilità.

Ad esempio, nell’episodio del cieco di Gerico (Marco 10,46-51), vi è un uomo che urla disperato chiedendo aiuto a Gesù. I presenti tentano di calmarlo, quasi a non voler disturbare il Messia. Gesù si ferma e interroga costui chiedendogli che cosa vuole da lui. Bartimèo il cieco, gli risponde: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».

Viene qui evidenziato l’aspetto cardine sul quale poggia questa pagina di Vangelo, ossia la domanda che Gesù pone al cieco: che richiesta potrà mai fare Bartimèo al Figlio di Davide se non quella di riacquistare la vista?

Quel che infondo chiede Gesù è una presa di coscienza della cecità, vera e propria interferenza che impatta negativamente sul risultato.

Infatti, secondo Timothy Gallwey, la prestazione è ottenuta dall’interazione tra l’utilizzo del potenziale disponibile con l’azione limitante delle interferenze interne.

Se poi si aggiunge la fiducia incondizionata tra Coach e Coachee resa tangibile, nel brano in questione, dalle urla del cieco in mezzo alla folla, non si può che giungere all’epilogo scontato. E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato».

Vi è poi tutta una sezione di Vangelo relativa alle parabole del Regno, uno stratagemma narrativo usato da Gesù per profetizzare, con immagini prese in prestito dal mondo contadino ben interpretabili dagli uomini del suo tempo, quello che dovrebbe essere il futuro desiderato per il popolo eletto. La mobilità

Tra queste vorrei porre l’attenzione su quella del granellino di senape (Marco 4,30-32), un qualcosa di infinitamente piccolo; tuttavia quella infinita piccolezza seminata fa venir fuori non una semplice pianta, ma un albero.

Basta anche un solo dettaglio piccolissimo, ma vero, autentico, fedele, costante, per cambiare completamente la nostra vita.

Il Coachee, nello spostarsi in sessione dalla crisi di autogoverno del presente percepito al sogno di un futuro desiderato ipotizzato realtà, può acquisire consapevolezza di quel dettaglio, in apparenza insignificante, che possa consentirgli davvero di sollevare il velo sul proprio potenziale e metterlo, di conseguenza, in azione.

Nella sua teoria della ghianda, James Hillman sostiene che ciascun individuo viene al mondo con un’immagine innata che lo definisce, una forma unica e irripetibile che chiede di essere realizzata per portare felicità ed equilibrio nella propria vita; proprio come la ghianda prima o poi diventerà una quercia con caratteristiche proprie, così l’individuo è destinato a realizzare la sua unica e vera natura, il suo daimon, presente ancor prima di essere vissuto.

Analogamente alla ghianda, il granello di senape è potenzialmente un albero capace di ospitare fra i suoi rami gli uccelli del cielo.

Altro giro, altra corsa: la pesca miracolosa (Giovanni 21,3-6).

L’episodio narrato si svolge dopo la resurrezione di Gesù, evento ancora non manifesto agli apostoli; infatti costoro, inconsapevoli di ciò e delusi dell’epilogo della vicenda di Colui che avevano creduto fosse il Messia, tornano mestamente alla loro quotidianità per sbarcare il lunario. Salpano di notte come di consuetudine per una battuta di pesca che risulterà del tutto infruttuosa.

Al rientro all’alba, con le reti vuote, incontrano quest’uomo che dalla riva impartisce loro un comando del tutto insolito per dei pescatori che nulla avevano da imparare da uno straniero; gettare le reti quando si è prossimi alla riva, all’alba e non in notturna, non è un’azione con grosse prospettive di riuscita.

In particolare, codesto straniero, che non è altro che Gesù non riconosciuto dai propri discepoli, consiglia di… “gettare la rete sulla destra…”. Cosa implicherebbe ciò?

A mio avviso, essa rappresenta una metafora legata alla creatività.

Quando sembra che non si riesca a trovare una via d’uscita, quando si gira a vuoto, quando lo sconforto prende il sopravvento in piena crisi di autogoverno, è proprio quello il momento di abbandonare il pensiero logico-razionale per spostarsi verso la sfera emozionale e creativa. L’emisfero destro del cervello è quello deputato alla creatività, all’estro e all’innovazione. Edward De Bono ha costruito un approccio pragmatico alla creatività (il famoso “pensiero laterale”) basato sull’osservazione del problema da diverse angolazioni, contrapposta alla tradizionale modalità che prevede concentrazione su una soluzione diretta al problema. Gettare le reti all’alba, in acqua bassa, e per giunta sulla parte destra dell’imbarcazione facendo forza con la mano sinistra (i mancini all’epoca erano praticamente inesistenti) è quanto di più illogico potessero fare dei pescatori esperti.

La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci.

 

La mobilità

Gallwey descrive la mobilità come l’abilità a muoversi in una direzione desiderata senza autolimitazioni, ovvero quel movimento intenzionale orientato verso una meta definita e raggiungibile in un tempo prestabilito ed in maniera gratificante.

In soldoni, la mobilità è il potenziale che sta agendo, il nostro innato desiderio a determinare le nostre vite, estendere ed ampliare le nostre capacità e a vivere una vita con uno scopo.

Nella parabola dei talenti (Matteo 25,14-18) si ha un esempio plastico del potenziale in azione: si narra di un uomo che parte per un viaggio e affida i suoi beni ai suoi servi. Apocalisse

A un servo affida cinque talenti, a un secondo due talenti e al terzo un solo talento. I primi due, sfruttando la somma ricevuta, riescono a raddoppiarne l’importo; il terzo invece va a nascondere il talento ricevuto, sotterrandolo.

L’obiettivo di un percorso di coaching è proprio quello di far emergere il talento del Coachee per poterlo poi mettere in circolo e renderlo fruttuoso. La consapevolezza di questo grande dono è il presupposto per essere, fare e ottenere ciò che si vuole raggiungere e, soprattutto, è il viatico per concorrere a creare valore aggiunto per sé e per le persone che ci circondano, cosa che non fa il terzo servo che ha nascosto e sprecato il suo talento.

La questione non è fare la conta dei nostri talenti, ma decidere che ne vogliamo fare.

Il rischio è di trascorrere la vita a invidiarci l’un l’altro, o a ragionare con la paura senza mai investire su ciò che siamo e su ciò che abbiamo.

Abraham Maslow, psicologo americano, afferma come l’autorealizzazione sia la tendenza a diventare tutto ciò che si è capaci di diventare, stigmatizzando in tal modo il comportamento del terzo servo, controproducente e controcorrente.

Questa pagina di Vangelo ci ricorda che la felicità non la si raggiunge guadagnando di più, ma gettando il cuore oltre l’ostacolo col coraggio di rischiare ciò che si ha.

Mettersi in gioco è credere nel talento stesso che racchiude forza, energia, e potenza.

Viene così stimolata l’autoefficacia del Coachee, concetto espresso da Bandura come la capacità generativa di orientare le singole abilità cognitive, sociali, emozionali e comportamentali in maniera efficiente per assolvere a scopi specifici.

Non importa il numero assoluto di quante abilità si abbia a disposizione, ma il fattore moltiplicativo che incide sulla prestazione utilizzando proattivamente le singole abilità.

 

Apocalisse

La parola “apocalisse” deriva dal greco e significa “rivelazione”, mentre erroneamente viene associata alla “fine del mondo”.

Infatti, giunto al traguardo di questo slalom parallelo tra pagine del Vangelo e strumenti di coaching, posso senza dubbio affermare di aver acquisito una nuova consapevolezza sul mio futuro: una rivelazione, appunto!

Durante la prima ondata pandemica, quella che poteva benissimo essere intesa come una prova generale della fine del mondo, è emersa in me in maniera dirompente quest’esigenza di rendere la vita più significativa (Seligman), nella quale vecchie e nuove capacità individuali e buon uso di esse si fondono per raggiungere grandi obiettivi.

Nell’Apocalisse capitolo 21 primi versetti, viene citata la Gerusalemme Celeste come il risultato ultimo al quale fa capo il piano di Dio, il pieno adempimento delle divine promesse.

Non so quanto questa esperienza possa essere un tassello del piano d’azione divino portato a compimento!

Di certo c’è che Gesù, prescindendo dalla sua natura divina, si è immerso totalmente nella nostra umanità; e la trattazione fin qui condotta ne è prova provata.

Sono confidente del fatto che l’approccio pragmatico del coaching possa consentirmi, molto più prosaicamente, di sporcarmi le mani nella quotidianità, con la consapevolezza, l’autodeterminazione e la responsabilità di mettere in atto un piano d’azione per raggiungere l’obiettivo di dare senso alla mia vita, puntando dritto verso l’eudaimonia, la felicità di un nuovo cielo e una nuova terra.

 

Raffaele Nappi
ICT Senior Consultant
Milano
raffaele.nappi@gmail.com

 

 

 

 

 

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