Categoria: Kaizen e Coaching, un denominatore comune: l’unicità della persona

Categoria: Kaizen e Coaching, un denominatore comune: l’unicità della persona

Kaizen e Coaching, un denominatore comune: l’unicità della persona

Ognuno di noi, dentro di sé, ha una serratura che scatta con la chiave giusta.

E cosa scatta?
Scatta la voglia di cambiare, di progredire, di fare un passo in avanti.

Nella vita di tutti i giorni ci relazioniamo con due mondi: quello lavorativo e quello privato.

Le realtà possono sembrare differenti ma in verità hanno in comune un aspetto vitale: la voglia di farcela, di emergere e di crescere come sinonimo di MIGLIORARE.

Quando scatta questo desiderio però non sempre siamo pronti a decifrarlo nella maniera corretta, a volte sentiamo un bisogno ma non capiamo realmente cosa sia e come concretizzarlo.

Il Coaching è una delle risposte possibili.

Accostandomi a questo metodo ho scoperto come il focus sia la persona e il suo sviluppo evolutivo.

L’individuo, detto Coachee, preso da una crisi di autogoverno dove non ha ancora in mano le risposte ai dubbi e i mezzi per raggiungere i propri obiettivi, scava nel profondo di sè per far emergere quelle potenzialità e risorse che lo condurranno alla realizzazione e ad una più alta valorizzazione di sé.

Si inizia un percorso di coaching non sapendo come si risolverà la “questione” ma sapendo di volerla cambiare, di voler compiere cioè quel passo in più che domani ci farà dire ‘sto facendo qualcosa per me e per il mio benessere’.

Figura essenziale in questo percorso è il Coach.
L’alleato ideale che con rispetto e fiducia accompagna il Coachee in un percorso di scoperta personale, di maggior consapevolezza e di sviluppo del proprio potenziale.

Nell’azienda dove lavoro, da qualche anno, si è intrapreso un percorso chiamato KAIZEN, una metodologia trasformatasi in una vera filosofia di vita con l’obiettivo di migliorare a 360° l’organizzazione aziendale estendendosi alla vita della persona stessa.

Ricopro il ruolo di Kaizen Coach e credo mi calzi a pennello. Il mio obiettivo è quello di ricercare in ogni processo aziendale ogni possibile cambiamento e miglioramento.

Credo che le cose non capitino sempre a caso, perché la mia professione non si discosta da quello che sono anche fuori dal mio ambito lavorativo: una persona che tende costantemente al miglioramento e che crede fortemente nel valore delle persone.

In generale, chi ha questa attitudine cerca di crescere in ogni ambito che lo attornia influenzando di conseguenza sia l’ambito lavorativo che le persone che ne fanno parte.

Della metodologia Kaizen mi è sempre piaciuta la parte dedicata alla cura della persona, che poi è il cuore della filosofia stessa.

Senza persone non esistono processi e senza di esse non si può tendere a un rinnovamento costante, composto di piccoli passi, che permette alla fine di raggiungere grandi e duraturi obiettivi.

L’azienda quindi, nell’ottica di ampliare le soft skill ricercando costantemente il valore in ogni dipendente, ha intrapreso un percorso di crescita per noi Kaizen Coach.

Studiando prima la metodologia Kaizen e poi il Coaching ho potuto trovare parecchi punti in comune ma un trait d’union forte e lampante: la persona e la sua unicità al centro di tutto.

Ma come si concretizza il concetto di “porre la persona al centro”?

Ricercando e valorizzando il senso di responsabilità che ognuno di noi ha, creando collegamenti concreti tra le azioni personali e quelle aziendali, creando team di coinvolgimento attivo con l’obiettivo di sostenere nel tempo azioni di miglioramento rendendole visibili e oggettive.

Il metodo principe per raggruppare le attività e dargli seguito: nel Kaizen il PDCA, nel Coaching il Piano d’Azione.
Due parole differenti ma aventi lo stesso significato.

La persona è portata a mettere nero su bianco le azioni che vorrà intraprendere per raggiungere gli obiettivi personali o di team.

Ma ciò potrebbe non bastare.

In azienda, come nella vita di tutti i giorni, siamo immersi in una molteplicità di variabili sulle quali non abbiamo potere diretto.

Come facciamo allora ad azionare la chiave?
Come facciamo a far accadere le cose?

Mediante un percorso di consapevolezza personale attraverso il quale capiamo il nostro posto all’interno dell’azienda, del progetto stesso e la modalità per far accadere e cambiare le cose secondo il piano d’azione definito.

In primis dobbiamo credere che questo cambiamento sia possibile. Non si parla di stravolgimento, si parla di un piccolo passo alla volta fatto con coscienza e responsabilità.

Il mio ruolo è quello di far vedere queste possibilità di crescita e di miglioramento allenando le persone a non arrendersi al primo ostacolo, a non arrendersi davanti alle molteplici variabili, talvolta umane, che si incontreranno nel percorso.

Si deve insistere.

E si può essere perseveranti in ciò che si crede solo se si hanno a fuoco le capacità e le potenzialità personali da mettere in campo anche a favore del team.

All’interno di un progetto scopriamo che ci sono tanti aspetti da valutare ma uno da non sottovalutare è come lavora il team per raggiungere quel determinato obiettivo.

Se ci caliamo nel vivo di questo aspetto scopriremo che anche le relazioni all’interno di un team di lavoro non sono così ovvie.

Riprendendo il concetto cardine comune alle due metodologie in riferimento all’unicità della persona, capiamo che il Coach deve sempre tenerlo a mente. Non solo, il Coach ha il ruolo di facilitatore.

Deve quindi riuscire a far emergere da ogni persona il proprio potenziale per metterlo a servizio del gruppo di lavoro, stimolare l’interazione e l’inclusione di ogni partecipante.

Il Coach allena il team come gruppo e come singoli. Stimola la compartecipazione, facilita l’inclusione, la motivazione e la valorizzazione dei contributi di ogni singolo componente del team.

Nel contesto aziendale non possiamo però dimenticarci che è anche orientato all’obiettivo. Quando il team o il singolo definisce il proprio piano d’azione il Kaizen Coach mette in campo tutto quello che serve per farglielo raggiungere.

Nel concreto ce lo possiamo immaginare come un elenco di attività, chi fa cosa e quando. Sembra banale ma dentro navighiamo in un oceano: di idee, riflessioni, step intermedi, criticità, stop e riprese, incomprensioni.
Per esperienza, la maggior parte delle criticità emerge perché le persone non si parlano, non stabiliscono cioè quella connessione di fiducia.

Di quale fiducia parliamo?

Della fiducia nelle proprie capacità e del prossimo, del collega che ci siede accanto, del team, del responsabile ed infine dell’azienda stessa.

Se partiamo sfiduciati non otterremmo risultati, in nessun campo.
Dobbiamo credere che il risultato sia raggiungibile.
Dobbiamo metterci in gioco anche con le nostre paure, mancanze, diffidenze e con l’accompagnatore giusto le cose inizieranno a prender forma e l’obiettivo si concretizzerà.

Il mio ruolo di Coach quindi è fondamentale nella riuscita dei progetti e nella continua sfida al cambiamento aziendale. Cambiamenti che prima di tutto devono nascere in noi stessi.

Riprendo un passo del libro “L’Essenza del Coaching” di A. Pannitti e F. Rossi sulla cura di sé nella quale mi sono pienamente riconosciuta.

Un Coach non può prendersi cura del proprio Coachee e quindi creare una relazione autentica ed efficace se prima di tutto non ha cura di sè. Viene meno quindi tutto il rapporto se in primis il Coach non ha compiuto un cammino di profonda conoscenza di sé.

Esiste anche un detto “predicare bene e razzolare male”.
Un’espressione che indica l’atteggiamento di una persona che sembra giusta e onesta nel parlare ma si comporta in modo ben diverso, mostrando un’evidente dissonanza “fra il dire e il fare”.
Sono pienamente convinta che, come nella vita sia importante ricercare la coerenza tra il dire il fare, ancor di più non debba mancare questo requisito in un percorso di Coaching o Kaizen.

Se un Coach non si pone come obiettivi personali la cura di sé, la crescita personale e l’autorealizzazione come può accompagnare un Coachee o un team in un percorso evolutivo?

La domanda è retorica, non può.

Sono grata quindi di aver potuto intraprendere questo percorso di Coaching perché mi ha fornito nuovi strumenti, nuove abilità e una chiave nuova che ha fatto scattare in me la voglia di prendersi maggiormente cura degli altri e di me stessa nell’ottica del miglioramento continuo sia aziendale che personale.

Apporterò sicuramente delle modifiche al mio modo di agire, sia nella vita privata che in quelle lavorativa tenendo sempre a mente l’unicità della persona, cercando il miglior modo quindi di far “accadere le cose” creando connessioni tra il metodo Kaizen e il Coaching.

 

 

Rita Bruno 

Kaizen Coach presso Acqua Minerale San Benedetto S.P.A.
Mirano (VE)
rita.bruno@sanbenedetto.it

 

 

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