Categoria: Integrity Coaching: allenare la responsabilità sociale

Categoria: Integrity Coaching: allenare la responsabilità sociale

Integrity Coaching: allenare la responsabilità sociale

Cosa c’entra la responsabilità sociale (o Corporate Social Responsibility – C.S.R.) con il Coaching? Cosa c’entra quella che sempre più si sta trasformando da dimensione buonista e benefattrice del business a modo di fare impresa con il coaching, un metodo di sviluppo del potenziale attraverso la consapevolezza? Come si vedrà con la presente suggestione, ci sono punti di contatto e aree di influenza che mettono la relazione di Coaching al servizio dell’agire responsabile delle imprese.

Quando si parla di Responsabilità sociale in azienda ci si riferisce a qualcosa che ormai è ineluttabile che la Commissione Europea definisce come “la responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società (…) le quali dovrebbero dotarsi di un processo per integrare le questioni sociali, ambientali, etiche, i diritti umani e le sollecitazioni dei consumatori nelle loro operazioni commerciali e nella loro strategia di base…” (1). È quindi acquisito che ogni azienda ha un inevitabile impatto sul contesto sociale e ambientale ed è dunque responsabilità aziendale agire sia in funzione del profitto sia per creare valore per tutti i soggetti con i quali entra in relazione, i cd. “stakeholder”: i clienti, i collaboratori, i fornitori, l’ambiente, la collettività, ecc.

Per far questo sono necessari valori, principi, elementi che troviamo di solito nei Codici Etici, quegli assi cardinali in grado di orientare le azioni di un’azienda. Un’impresa socialmente responsabile è insomma anche un’impresa avvincente (2) cioè in grado di creare valore nel tempo attraverso tre solide direttrici: quella economico finanziaria, quella sociale e quella ambientale. E perché tutto questo possa accadere è necessario che le persone dell’azienda siano ingaggiate, coinvolte. Si sottolinea “persona” laddove ormai si usano termini come manager, collaboratori, vertici, dipendenti. Ma è la “persona”, indipendentemente dal ruolo, che agisce e interagisce in azienda e che è al tempo stesso stakeholder e protagonista delle relazioni con tutti gli stakeholder. ente. E’ il viaggiatore del percorso di miglioramento continuo che contraddistingue la CSR.

Cosa c’è in gioco? La reputazione, l’instaurazione di un circuito virtuoso di riconoscibilità e coerenza interna ed esterna, il mantenimento del senso e dell’orgoglio di appartenenza delle persone.

Il Coaching interviene in una doppia chiave: come competenza e come processo in quanto metodo di sviluppo della persona o di un gruppo di persone (pensiamo a un’organizzazione d’impresa) attraverso una relazione e tappe di consapevolezza in vista di determinati obiettivi. Un primo punto di contatto è questo: sia il Coaching sia la C.S.R. si occupano dei modi, dei processi, sono espressione di un’attenzione al “come” e non al “quanto”. L’attività responsabile di un’impresa si focalizza non tanto a quanto profitto si ottiene ma si concentra sui modi in cui quel profitto si realizza Un focus sul processo e che si serve della relazione con gli interlocutori. Il Coaching, dal canto suo, identifica un complesso di attività che attraverso una relazione facilitante è in grado di allenare le caratteristiche potenziali di un soggetto (o di un’organizzazione) per produrre azioni verso i risultati desiderati dal soggetto o dai soggetti stessi. Per coinvolgere le persone verso comportamenti coerenti a valori e principi di norma si ricorre alla formazione ma laddove ci si fermi a un mero apprendimento cosa si porterà a casa dopo aver ‘imparato’ un valore, un principio? Non si sta parlando di obblighi o divieti ma di impegni ossia ci si trova non tanto nel mondo della prescrittività ma quanto in quello della coerenza, della volontarietà. Per esercitare questa coerenza nell’operatività quotidiana, basta apprendere un valore? La realtà mostra che l’obbligo a adeguarsi spesso non è sufficiente a realizzare quanto dichiarato perché alla responsabilità “sociale” va affiancata la responsabilità di ognuno, una dimensione/obiettivo su cui lavorare. La “suggestione” che qui si propone in qualche modo amplia il concetto stesso di sostenibilità aziendale intendendo affiancare alla C.S.R. il Coaching per contribuire ad aggiungere un senso pratico all’esercizio della sostenibilità, passando proprio dagli unici attori che possono apportare un cambiamento: le persone.

Viene in aiuto l’assunto secondo cui il Coaching, pur nascendo in un terreno di apprendimento, vive in realtà in un terreno di allenamento e ha forti relazioni con l’azione, con l’agire (3). Queste affermazioni sono chiavi interessanti per far evolvere la possibilità di integrare l’agire delle persone con un contributo coerente e conforme ai principi di responsabilità sociale dell’impresa nella quale operano. Infatti, laddove la sola dimensione della conoscenza, dell’apprendimento è inefficace, vanno ricercate modalità di funzionamento dell’impresa in grado di favorire lo sviluppo di una cultura organizzativa come obiettivo orientato alla responsabilizzazione delle persone o almeno un incremento dell’azione responsabile senza cui la responsabilità d’impresa rimane un fatto teorico e auto-riferito: la cultura, quindi, come obiettivo di un’organizzazione.
1Sostenere nel tempo l’adozione di determinati comportamenti coerenti ai valori dell’impresa, significa lavorare su un’altra dimensione oltre quella dell’apprendimento/conoscenza: la dimensione della consapevolezza/allenamento. Si tratta di favorire un processo che consenta alla persona di raggiungere tappe progressivamente congruenti e orientate verso azioni concrete che la persona, il collaboratore, nel tempo, può autodeterminare, interpretando in chiave autentica e integrata gli stessi valori aziendali.

Se si volesse rappresentare questa relazione di dimensioni, si otterrebbe la seguente rappresentazione che contiene elementi molto cari sia al Coaching sia alla C.S.R.

Si trova infatti la conferma di una familiarità con una logica di processo anziché di risultato. Gli obiettivi di responsabilità sociale sono collocati in un percorso, come si è detto, di miglioramento continuo. La relazione di Coaching, secondo l’approccio “Evidence Based” e il metodo C.A.R.E. (3) è ugualmente al servizio di un processo, basato appunto su Consapevolezza, Autodeterminazione, Responsabilità e Eudaumonìa quale autodeterminazione nella soddisfazione, nell’appagamento dei bisogni individuali e collettivi verso il perseguimento di un bene comune. Rispetto a una visione d’impresa questa tensione è assolutamente riscontrabile negli obiettivi di responsabilità sociale.

Tornando all’immagine, dove sono prevalenti gli aspetti definiti per convenzione di conoscenza / apprendimento rispetto a regole e principi, si possono attendere tutt’al più azioni ispirate dalla necessità di conformarsi ad essi, quella che un po’ provocatoriamente è stata indicata come obbedienza. Si sta parlando di quei comportamenti dove prevalgono le cosiddette “competenze fredde” caratterizzate da motivazioni estrinseche parte non tanto dei propri convincimenti quanto dei doveri; l’azione, se c’è, è influenzata da un esercizio prestazionale, stressato verso un risultato o comunque verso aspetti quantitativi della prestazione stessa. In questi casi, quello che accade in termini di comportamenti è poco allineato alle qualità, al potenziale della persona che, sovente, si confronterà invece con un’esperienza faticosa e frustrante, quella di agire perché si deve anziché perché si crede. L’integrazione con la dimensione della consapevolezza / allenamento ha più a che fare con l’esercizio delle cd. “competenze calde” le quali, aggiungendosi e contemperando quelle “fredde”, fanno emergere senso e motivazione più a un livello personale, intrinseco. L’attività si sviluppa più su un piano intenzionale che meramente prestazionale verso una gratificazione e un appagamento della persona coinvolta nel processo. E’ quando si fa appello a quel complesso di abilità e comportamenti con l’attivazione del potenziale che si pongono le condizioni di un’auto-realizzazione.

Si ipotizza che, quando queste condizioni si verificano, si realizzino al contempo i presupposti che l’auto-realizzazione (della persona) sia facilitante per la realizzazione degli obiettivi C.S.R.; in sostanza, da presupposto diventa meta-requisito per realizzare azioni di responsabilità individuale e sociale; per agire responsabilmente a livello sociale, infatti, non si può prescindere dalla responsabilità individuale. Laddove cresce l’interazione tra le due dimensioni (conoscenza/apprendimento e consapevolezza/allenamento) si pongono le condizioni per attivare una capacità di porre in essere azioni caratterizzate da coerenza valoriale in quanto sentite e allenate, come manifestazione non solo degli obiettivi aziendali ma anche di sé stessi, della persona.

La sostenibilità, in un certo qual modo, è rappresentabile come una qualità potenziale, una situazione in potenza suscettibile di essere attivata e allenata e in qualche modo integrata anziché rimanere estranea o astratta. Ma come tutto questo può accadere nella pratica?

Per allenare in azienda anche le qualità interiori verso l’obiettivo di un agire responsabile, si può prevedere il ricorso al Coaching attraverso due chiavi di intervento: quella della relazione propriamente detta e quella dell’attivazione delle competenze tipiche del coach che possano facilitare questo percorso. Da un lato, quindi, l’attivazione di sessioni di Coaching vere e proprie verso specifiche figure aziendali in grado di diventare aggregatori e/o influenzatori di consapevolezza. Dall’altro, acquisire e sperimentare una parte delle competenze del coach a partire dalle capacità di relazione e di ascolto: l’agire responsabile richiede, infatti, di stare in relazione e di tessere un dialogo continuo con i propri interlocutori. Ancora una volta è la persona, al centro della relazione, che può agire – con agentività, per dirla con termine caro al Coaching scientifico – verso obiettivi integrati con quelli d’impresa. Si pone l’accento all’agentività e all’eudamonìa perché nella relazione di Coaching c’è la richiesta di un movimento, di un cambiamento il quale, se raggiunto, non rappresenta solo uno spostamento dal punto di partenza (o la negazione della crisi di auto-governo) ma anche il raggiungimento di un benessere complessivo della persona e delle organizzazioni. E il cambiamento è un connotato sempre più caratteristico di uno scenario fluido, veloce che può essere correttamente osservato soprattutto dal punto di vista della complessità anziché della complicazione come solitamente accade. Cogliendo le suggestioni di A. F. De Toni (4), si coglie una distinzione interessante rispetto alla situazione di cambiamento, perlopiù percepita come sfida, problematicità quando nasce il desiderio di Coaching: quando ossia nasce la richiesta di allenare il proprio potenziale attraverso tappe di consapevolezza per muoversi da un punto presente a un punto futuro dove riuscire a realizzare i propri obiettivi. Una situazione di questo tipo (“problematica”) può essere complicata o complessa: le due fattispecie sono piuttosto diverse fra loro e con differenti implicazioni e modi di essere affrontate.

Se una situazione è complicata – cum/plicum, con pieghe – è come se ci trovassimo di fronte a un foglio di carta, appunto, piegato più volte; quindi per affrontare questo tipo di situazione, il problema va “spiegato” proprio come si “spiega” un foglio, attraverso un lavoro analitico: a un numero di pieghe corrisponde un altrettanto numero di spieghe. Per immaginare un problema complesso – cum/plexum, con nodi – si può pensare ai fili di un tessuto; una volta sciolti, presi uno per uno, cioè affrontati secondo un approccio analitico, non darebbero l’idea del tessuto che erano; se si affronta una situazione complessa come se fosse semplicemente complicata, si perde, quindi, la vista d’insieme e delle possibilità. Si perde il senso, il significato. Per una situazione complessa bisogna fare un salto di piano e comprenderlo come un sistema nodale, di relazioni secondo un approccio sintetico e in una vista sistemica. La situazione nel mondo delle imprese e del lavoro (ma non solo) è perlopiù caratterizzata da complessità laddove la condivisione di obiettivi specie di responsabilità sociale richiede una vista d’insieme, sistemica e, soprattutto, una ricerca di senso e di significato per l’azienda. Nel Coaching, la ricerca di senso e di significato sono fondamentali, in quanto percorso che trova proprio origine nella consapevolezza dei propri mezzi, del proprio potenziale e di come queste ricontattate risorse si possono allenare e usare in concrete azioni. Il Coach può essere quindi visto, in una suggestione non così tanto azzardata, uno stimolatore e/o attivatore dell’approccio sistemico della complessità in chiave creativa. Si tratta di un parallelismo interessante tra un percorso che interessa il perseguimento degli obiettivi aziendali e un percorso di consapevolezza (individuale e organizzativa): la sfida, come si è visto, è far sì che queste strade si incontrino verso una prospettiva integrata e finalizzata a un agire maggiormente responsabile come prospettiva di futuro desiderato usando un termine “scientifico”. E questo, è contribuito ulteriore alla solidità del metodo “evidence based” del Coaching.

Si parla di futuro e quindi della possibilità di evocarlo, anzi di raccontarlo, di immaginarlo; e il futuro ha molto a che fare col desiderio. A livello del singolo, il futuro desiderato coincide col sogno perché il sogno è l’immaginario di una persona; Martin Luther King non disse “Ho un piano!” ma “I have a dream!”. Le società ricorrono invece ai miti e alle grandi narrazioni per dare significato e accompagnare il cambiamento, il quale comporta sempre paure e difficoltà. Miti, sogni e visioni sono accomunati da un aspetto: tutti necessitano di essere raccontati, di diventare veri nella parola e di poter “viaggiare”. E qui si ritrova un’altra significativa ispirazione rispetto al Coaching. Tra gli strumenti del Coach ci sono, infatti, le domande finalizzate a creare nel cliente (nella persona, nell’accezione sinora usata) la consapevolezza della situazione sia attuale sia desiderata. Questo si estrinseca in una narrazione che, nel succedersi di feedback, di rimandi e di domande, si trasforma in una costruttiva co-narrazione insieme al Coach. La sola portata etimologica del verbo “immaginare” già in sé porta a tutta la forza dell’autodeterminazione; essa nasce da quattro parole distinte, le quali unendosi formano una frase: dal latino ‘in me mago agere’: ‘agire il mago che è in me’.

Ecco, tornando alla responsabilità sociale d’impresa,, incontriamo un’altra opportunità che il Coaching offre sia in chiave di competenza che in chiave di relazione. Si tratta di attivare e coltivare l’immaginazione e la visione: sono queste qualità a compattare l’azione delle persone verso una meta comune, l’agire responsabile e sono anche il volto del cambiamento. Questo è insito nelle qualità e nel processo della relazione di Coaching in svariate opportunità perché insieme al desiderio richiede che l’obiettivo sia definito per dare senso al livello di aspirazione e quindi dare forma e sostanza al futuro desiderato stesso. E il senso porta alla mente, tra le altre, in particolare una delle 7 caratteristiche che l’obiettivo deve avere: la caratteristica ecologica, ossia la coerenza con valori e identità della persona e dell’organizzazione a cui si riferisce. Una sorta di compatibilità quindi con un ambiente complessivo e con un mondo interiore, i perché della persona (6). La visione deve infatti essere realistica perché possa portare a un’azione concreta, perché è il fare che connota lo stato qualificante del processo di consapevolezza, la trasformazione in agentività; cioè, per tornare al tema della C.S.R., a rendere la responsabilità sentita e agita.

A questo punto, è necessario un focus conclusivo su come la presente suggestione possa proseguire per diventare, da tesi di discussione, una sperimentazione concreta del Coaching come strumento per lo sviluppo della C.S.R. in azienda; e con questo anche evidenziare, di fianco agli entusiasmi, anche i possibili fattori ostacolanti. Innanzitutto, sarà necessario verificare il presupposto relativo alla “volontà” del coachee a mettersi in discussione, come conditio sine qua non per realizzare, attraverso il coaching, un cambiamento nella direzione dei propri obiettivi. E qui ci si riferisce in primis all’azienda stessa, che dichiari non solo un proprio intento (quello di perseguire la sostenibilità d’impresa) ma anche che, nella realtà, l’impegno a che si realizzi attraverso l’azione ed il comportamento dei soggetti che la compongono, i propri dipendenti. Si sta parlando di committment e di investimento conseguente. Lo stesso presupposto va verificato nei confronti delle persone stesse e/o dei gruppi di persone che “sottoscrivono” un codice etico e sono invitati a comportamenti “sostenibili” per esprimere un agire d’impresa: la loro convinzione non può darsi per scontata; ma questa è una criticità/obiettivo di grande ispirazione. Il Coaching potrebbe funzionare da coadiuvante e da catalizzatore nei gruppi e nelle persone che condividono almeno in parte i valori e gli intenti del codice etico e che hanno consapevolezza dell’impatto sociale dei comportamenti della azienda in cui lavorano. Questo potrebbe essere sufficientemente fertile per la “ghianda” per usare una metafora cara ai Coach. Andrebbero pertanto definiti in chiave di approfondimento la committenza, se di questo si tratta; l’eventualità di formare dei Coach all’interno per acquisire le competenze di relazione e attivare sessioni tra colleghi; gli indicatori per monitorare gli stati di avanzamento del processo di consapevolezza che si vuole attivare attraverso azioni misurabili.

La strada per un Integrity Coaching è ricca di sfide; ma, come qualcuno ha già detto, se si vuole qualcosa che non si è mai avuto, bisogna essere pronti a far qualcosa che non si è mai fatto.

Note
(1) Comunicazione del 25 ottobre 2011 (n. 681) della Commissione Europea.
(2) ALTIS, Alta Scuola Impresa e Società (Univ. Cattolica Milano)
(3) A. Pannitti, F. Rossi – L’essenza del Coaching – Franco Angeli Ed., 2012
(4) Alberto F. De Toni, Luca Comello – Viaggio nella complessità – Marsilio Ed. 2007
(5) Carl Sandburg, The Complete Poems, Harcourt ed. 1970
(6) Le 7 caratteristiche dell’obiettivo sono identificate dall’acronimo S.M.A.R.T.E.R. = Specifico – Misurabile – Attuabile – Rilevante – Temporale – Ecologico – Registrato (A. Pannitti, F. Rossi – L’essenza del Coaching – Franco Angeli Ed., 2012)


Michele Rocco
Coach professionista specializzato in ambito Life & Executive
Milano
mikiro@gmail.com

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