Il fascino della scoperta
Il primo giorno del corso di Coaching tra i riferimenti culturali e i personaggi che possono condurre alle origini del Coaching, a proposito dell’importanza data alla posizione centrale del Cliente, è stata nominata Maria Montessori e la sua pedagogia incentrata sul Bambino.
Avendo un’esperienza da pedagogista con approccio montessoriano, le mie antenne hanno cominciato a vibrare e a far risuonare in me il metodo che andavo a conoscere nelle successive lezioni.
Cosa significa una pedagogia, o nel caso del Coaching, un metodo incentrato sul Bambino o sul Cliente?
Nella seconda competenza ICF “Esprime il Coaching mindset” troviamo questa definizione: avere una mentalità aperta, curiosa e flessibile verso il Cliente.
Trovo che questa competenza sia fondamentale anche in un insegnante/maestro, formato con un approccio montessoriano.
Approfondendo le caratteristiche del Coaching mindset continuo ad accostare i due approcci:
- “Riconosce che i Clienti sono responsabili delle proprie scelte”;
- Saper riconoscere innanzitutto la capacità dei nostri interlocutori, di essere responsabili, dell’apprendimento nei Bambini, delle proprie scelte nei Clienti.
Fondamentale nell’insegnamento di Maria Montessori è la capacità di lasciare che il Bambino inizi e porti avanti un lavoro di apprendimento nel momento per lui idoneo e con i suoi tempi; il Bambino viene considerato come soggetto autonomo e unico.
Altro elemento importante nella pedagogia montessoriana è impegnarsi costantemente ad apprendere, non solamente riferendosi ad uno studio teorico con i libri, ma ad un apprendimento continuo attraverso i Bambini che sono la fonte inesauribile di conoscenza, passando dalle esperienze dirette ad una riflessione interiore, per migliorare la nostra capacità di essere maestri.
Ed ecco che l’ICF scrive: “Si impegna nell’apprendimento e nello sviluppo continuo come Coach” e “Sviluppa una pratica riflessiva e continua per migliorare la propria capacità di essere Coach”.
E ancora: avere una consapevolezza dell’influenza del contesto e della cultura su di noi e sui Bambini.
Quest’ultimo aspetto, tanto importante nel periodo di azione di Maria Montessori, dove i pregiudizi sullo stato sociale e di provenienza creavano grandi disparità di trattamento e di aspettative da parte dei maestri, a tal punto da pregiudicare spesso la possibilità di sviluppo dei bambini disagiati, resta un elemento importante anche ora, sia nella scuola sia nel Coaching.
In questa predisposizione di una mente libera, un’accoglienza senza giudizi e senza preconcetti, può sviluppare quella alleanza fra la Maestra e il Bambino e fra il Coach e il Coachee.
L’ICF scrive a proposito: “Resta consapevole e aperto all’influenza del contesto e della cultura su se stesso e sugli altri”.
Anche la competenza quattro di ICF, “Coltiva fiducia e sicurezza” rientra nelle competenze di entrambi gli approcci: fondamentale sia nel percorso dello studente, sia in quello del coachee, è trovare un maestro/coach che “Collabora con il cliente per creare un ambiente sicuro e di supporto che consenta al cliente di condividere liberamente. Mantiene un rapporto di reciproco rispetto e fiducia” (Definizione ICF).
Essere capaci di gestire le proprie emozioni, preparandosi emotivamente e mentalmente per gli incontri con i Bambini come per le sessioni, sono altri fattori comuni che ho ritrovato nelle specifiche delle definizioni della seconda competenza.
I punti fino a qui esposti evidenziano quanto i due approcci, Montessoriano e di Coaching, siano veramente in linea sulla necessità di essere orientati e centrati sul Bambino, come sul Cliente.
Andando avanti con l’approfondimento del Coaching, ho trovato altri importanti punti di incontro tra la pedagogia montessoriana e il metodo di Coaching, ma quello su cui più mi voglio soffermare è il ruolo del maestro e del Coach.
Avendo visto quanto è importante avere un “mindset” appropriato per la costruzione di una relazione facilitante nell’insegnamento e nel Coaching, concetto spesso poco conosciuto da molti insegnanti non montessoriani, il punto focale dei due approcci, che veramente mi entusiasma, è il ruolo e la responsabilità che i maestri e i Coaches hanno nel percorso: sono responsabili gli uni del processo che sosterrà il Bambino alla scoperta di sé e del mondo esterno, per crescere e vivere; gli altri del processo che sosterrà la scoperta delle potenzialità e lo sviluppo della consapevolezza del Coachee, per crescere e affrontare la vita.
Trovo questi ruoli veramente potenti e affascinanti, pensare di poter facilitare, essendo uno “strumento” e un osservatore dei talenti di ogni Bambino e di ogni persona, nella loro unicità, a creare il proprio cammino, rappresenta per me la più grande aspirazione.
Alla base di questi ruoli troneggia il concetto di maieutica, l’eredità lasciata da Socrate nel lontano V secolo a.C.!
Maria Montessori con i suoi studi e con l’applicazione sul campo ha dimostrato quanto i Bambini fossero portati ad imparare dall’esperienza, guidati da una forza interiore, e quanto il ruolo del maestro fosse “solo” di accompagnamento nel viaggio dell’apprendimento.
Vediamo come il rapporto tra maestro e allievo viene ribaltato, non è una trasmissione di sapere dal docente al discente, ma una scoperta di quest’ultimo, facilitata dalla presenza dell’insegnante.
Maria Montessori scrive: ”Questa è la nostra missione: gettare un raggio di luce e passare oltre” (Maria Montessori, “La scoperta del bambino” 1948); al corso un formatore ha raccontato con queste parole il ruolo del Coach: seduto accanto al Coachee che guida l’auto, il coach si limita ad accendere le luci.
La funzione della maestra e del Coach, è illuminare, solo il Bambino e il Coachee potranno vedere, cogliere e utilizzare ciò che gli sarà utile.
Nell’utilizzare la maieutica, il maestro e il Coach, usano il silenzio definito ne “L’essenza del Coaching” di Alessandro Pannitti e Franco Rossi, “un silenzio attivo, ed è anche uno strumento volto all’ascolto del Coachee, allo stimolare il pensiero lasciandogli lo spazio personale e temporale di riflessione”.
Maria Montessori attribuiva all’osservazione del bambino e al silenzio fonte della sua crescita interiore, un ruolo altrettanto centrale, un silenzio capace di gestire un momento, tanto importante quanto delicato, di espansione e di crescita che in nessun caso doveva essere interrotto.
Per concludere, quando mi sono iscritta al corso di Incoaching, non avevo una reale idea di cosa stessi andando ad apprendere, ed è stato veramente bello scoprire quanta affinità ci fosse tra il mio sentire e il percorso che ho intrapreso con questo corso, che mi ha consentito di scoprire un nuovo metodo, razionalizzando e approfondendo concetti a me noti e cari.
Renata Ferrandes
Insegnante / Life Coach
Roma
renataferrandes@yahoo.it
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