Categoria: Il Coaching e il pensiero di Einstein

Categoria: Il Coaching e il pensiero di Einstein

Il Coaching e il pensiero di Einstein

Negli ultimi tempi, si parla molto di coaching. Sono diversi gli articoli su quotidiani, giornali nazionali e su riviste specialistiche, che parlano della diffusione del metodo e della sua efficace applicazione.
Da una recente ricerca dell’ ICF Italia, il fatturato sviluppato da questa professione si aggira intorno ai dieci-quindici milioni di Euro e conta circa mille professionisti concentrati soprattutto tra la Lombardia (36,6%) e il Lazio (19,5%).
E’ evidente che le statistiche ci vengono in aiuto per affermare con ragionevole certezza, che il ricorso ad un percorso di coaching è sempre più frequente e quello che il Wall Street Journal nel 1996 aveva definito una “moda passeggera”, si è in realtà rivelato una vera e propria risorsa del sistema economico e sociale del nostro Paese.
Viene da chiedersi in prima battuta, il perché di un simile successo. In realtà questa che sembra una domanda spontanea e diretta, risulta avere una risposta altrettanto immediata e scontata: il coaching ha successo perché pone al centro la PERSONA ! Perché considera unico ogni essere umano e soprattutto lo considera detentore di risorse e potenzialità irrepetibili, che aspettano solo di essere scoperte e di essere messe al servizio degli obiettivi della persona stessa. Il coaching è efficace ed è ritenuto valido, perché permette di soddisfare il bisogno di autorealizzazione degli individui, determinando in questo modo un accrescimento del benessere individuale e (di converso) del benessere del gruppo o dell’organizzazione a cui si appartiene.

Un rimando importante, a sostegno della precedente considerazione, è inevitabilmente associato alla teoria di Maslow.
Maslow riteneva che accanto al concetto di “bisogno”, si potesse affiancare quasi come complementare, il termine “motivazione”, giacché ogni individuo, nella ricerca della soddisfazione del bisogno che avverte, è stimolato dalla motivazione intrinseca al raggiungimento dell’appagamento di quell’esigenza.

L’accostamento del coaching al pensiero di Einstein è scaturito dall’aver individuato in diversi testi e biografie, alcune espressioni celeberrime che richiamano fortemente ai presupposti e ai principi del coaching.

Einstein infatti, non è stato solo un grande fisico e matematico, ma anche un grande pensatore, alcuni lo definiscono addirittura un filosofo.
Proveremo allora a ricercare queste possibili connessioni, seguendo la traccia che deriva dalla definizione di coaching:

“Il coaching è un metodo di sviluppo di una persona, di un gruppo o di un’organizzazione, che si svolge all’interno di una relazione facilitante, basato sull’individuazione e l’utilizzo delle potenzialità per il raggiungimento di obiettivi di miglioramento/cambiamento autodeterminati e realizzati attraverso un piano d’azione”.

 

La relazione facilitante

Come abbiamo avuto modo di constatare (dalla precedente definizione di coaching), il metodo del coaching può applicarsi solo se è basato su un presupposto fondamentale: l’esistenza di una relazione facilitante tra coach e coachee. Potremmo quasi dire, che il coaching è come “un tempio basato su tre colonne portanti, la prima di queste è la relazione facilitante”. Non ci può essere coaching se non c’è una relazione facilitante !
Non è sufficiente quindi, solo che ci sia una buona interazione tra coach e coachee, ma è fondamentale che la relazione si qualifichi con una connotazione particolare, che consenta al coachee di ricercare dentro sé la consapevolezza, di autodeterminare i propri obiettivi, di essere responsabile del proprio comportamento e di tendere in questo modo all’eudamonia. In sostanza, la relazione si dice facilitante, solo se permette al coachee di essere il protagonista, solo se il coachee riesce ad innescare i due circoli virtuosi, che gli consentono di superare la crisi di autogoverno.

E’ compito del coach avere la sensibilità, l’intelligenza e il rigoroso rispetto del metodo, affinché il coachee si senta libero di manifestare nella sessione di coaching i propri pensieri, i propri desideri, i propri dubbi e soprattutto di tendere verso una mobilità che gli consenta di risolvere la propria empasse raggiungendo i propri obiettivi.
Alla luce di queste considerazioni, comprendiamo come tutti gli aspetti, che intervengono quando due persone entrano in contatto, sono di cruciale importanza e nulla può essere lasciato al caso.

Ecco allora che è fondamentale la prima condizione: IO SONO OK – TU SEI OK.
In un simile contesto la relazione di coaching può davvero basarsi su quattro aspetti fondamentali:

  • Accoglienza
  • Ascolto
  • Alleanza
  • Autenticità

Cogliamo l’occasione, tornando sul concetto di Ascolto per elencare gli “strumenti”, i “mezzi” che un coach può usare al fine di agevolare lo sviluppo del racconto del coachee. Essi sono:

  • il silenzio
  • il feedback d’ascolto
  • le domande

Su quest’ultimo punto in particolare, non possiamo non citare l’ illustre pensatore Einstein, il quale affermò:

“Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso”.

 

Albert Einstein e la relazione facilitante

Se Einstein non fosse stato “appassionatamente curioso”, probabilmente non sarebbe riuscito ad elaborare la teoria della relatività. Ciò che tuttavia riteniamo essere cruciale è l’atteggiamento, il metodo, la passione, la fiducia che Einstein ha messo al servizio dei suoi studi e della sua vita.

Le domande sono sempre state, per Einstein, delle alleate nella risoluzione delle questioni che gli si presentavano. Un giorno, proprio mentre era seduto all’Ufficio Brevetti di Berna, gli venne in mente questo pensiero: “perché se una persona cade liberamente non avverte il proprio peso”?. Questa domanda che lo fece “sobbalzare” (come lui stesso affermò) diede luogo all’inizio delle sue ricerche per elaborare la famosa equazione sulla relatività.

Le domande sono, quindi, importanti sia per Einstein che per il coaching. Infatti, sia per lo scienziato che per il metodo, la domanda è volta alla RICERCA, nel primo caso di una soluzione ad un problema, nel secondo di una risposta interiore del coachee. La domanda assume quindi quasi l’aspetto di un vettore che si muove, scava, disequilibra, penetra e non si accontenta di ciò che già si conosce ma ha sete di approfondire e svelare.

Lo stesso Einstein, nei suoi scritti, relativi alla sua personale opinione sui metodi di insegnamento adottati nelle scuole dell’epoca, affermava: “la maggior parte degli insegnanti perdono tempo a fare domande che mirano a scoprire ciò che l’alunno non sa, mentre la vera arte del fare domande mira a scoprire ciò che l’alunno sa o che è capace di sapere”.
Una tale affermazione ci riporta subito al metodo del coaching, dove il coach “sa di non sapere” e quindi egli non può mai avere l’aspettativa di una determinata risposta, non può avere la presunzione di conoscere già i contenuti, che verranno esposti dal coachee. In caso contrario, verrebbe meno il vero ascolto della persona e il coach non sarebbe più soltanto co-narratore, ma diventerebbe egli stesso il protagonista. Invece, il coachee così come gli alunni (secondo Einstein) devono avere la possibilità di esprimere le loro conoscenze, di frugare nella loro mente e di fare tesoro della loro esperienza e della loro creatività.

Einstein aveva un grande rispetto e una grande considerazione dei propri collaboratori, dei propri illustri amici, dei propri familiari. Nonostante la sua fama e la stima che tutti gli riservavano, egli non rinunciava alla sua semplicità e ascoltava i suoi interlocutori con grande attenzione. Questo perché egli riteneva che “agire con intelligenza nelle questioni umane è possibile solo se si tenta di comprendere i pensieri, le motivazioni e le apprensioni dei propri oppositori in modo così totale da arrivare a vedere il mondo attraverso i loro occhi”.
E’ evidente quindi che l’uomo, secondo Einstein, non possa prescindere dalle relazioni con gli altri esseri umani. L’individuo infatti, “è capace di pensare, di sentire, di lottare e di lavorare da solo; ma dipende a tal punto dalla società, per la sua esistenza fisica, intellettiva ed emotiva, che è impossibile concepirlo, o comprenderlo, fuori dal contesto della società”.

La relazione facilitante più importante che Einstein ha avuto, è stata con il suo collega ed amico Max Planck. Nella memoria che Einstein ha scritto in seguito alla dipartita di Planck, possiamo cogliere l’importanza che questo rapporto ha avuto nella sua vita. Egli, infatti, scrive che l’amico scomparso era una delle persone migliori che avesse conosciuto. Riteneva fosse un collega che incarnava con “rara compiutezza” la ricerca ideale della verità. Il loro rapporto epistolare evidenziava sì una stima reciproca, ma senza che né l’uno né l’altro fosse succube dell’ influenza dell’amico. Entrambi, continuarono a conservare la loro personale opinione, ma le loro conversazioni permettevano di alimentare il desiderio di perseverare nelle loro ricerche professionali.
Vi è assoluta convinzione che Einstein si relazionava con il suo amico Max, ma in generale con tutti, in completa assenza di giudizio. Il profondo rispetto che aveva per l’”altro” lo portò a dire che: “diffido del noi” ed ecco il perché: nessuno può dire: “l’altro è me”.
Riteniamo che questa espressione sia emblematica su come il genio Einstein avesse considerazione per gli altri. Il fatto di rinunciare al “noi” era semplicemente suggerito dal presupposto che nessuno può fondersi con l’altro, ma ognuno è un individuo con una propria personalità, con delle proprie idee, con una propria creatività unica ed irripetibile.

 

Einstein e le potenzialità

“Per essere contenti gli uomini dovrebbero avere anche la possibilità di sviluppare liberamente le proprie facoltà intellettuali e artistiche, nella misura consentita dalle particolari caratteristiche e abilità di ciascuno”.
La precedente affermazione, contenuta negli scritti di Einstein riguardanti il concetto di “libertà”, ci permette di introdurre l’argomento relativo alle potenzialità.
Abbiamo più volte fatto riferimento al pensiero di Einstein rispetto le facoltà e le abilità degli alunni e in generale dell’individuo. Egli contestava in modo assoluto, i metodi di insegnamento dell’epoca che si preoccupavano di impartire conoscenze, senza permettere all’allievo di sviluppare un proprio pensiero indipendente e soprattutto di usare le proprie capacità per comprendere ed analizzare con senso critico gli argomenti oggetto di studio.
Appare evidente quindi, che Einstein, così come il coaching, ritiene che ognuno possa attingere ad un proprio “scrigno” di potenzialità. Esse sono risorse innate che “aspettano solo di essere liberate”.
L’aspetto sorprendente di questo concetto è che ognuno di noi nasce con una sorta di “vocazione” la cui scoperta e il cui sviluppo permettono ad ogni persona di dare risalto alla propria unicità. Secondo molti studiosi, la felicità dell’essere umano è insita proprio in questo passaggio.
Come diceva Einstein “non si può insegnare a un gatto a non cacciare gli uccellini”.

 

Einstein e il piano d’azione

Come abbiamo avuto modo già di anticipare una delle espressioni più conosciute di Einstein è proprio relativa gli obiettivi e di conseguenza alle azioni.

“Se vuoi una vita felice, devi dedicarla a un obiettivo, non a delle persone o a delle cose”
“La personalità non si forma con quello che si sente e si dice, ma con l’applicazione e l’azione”.

Da entrambe le espressioni, si percepisce che Einstein era un uomo profondamente concreto. Una volta fissato il suo obiettivo, perseverava per la realizzazione dello stesso, sfidando i propri oppositori, ma d’altro canto potendo contare sui propri sostenitori.
Se pensiamo ai suoi risultati, inauditi per l’epoca in cui egli era inserito, comprendiamo come Einstein sia stato estremamente determinato. Egli nei suoi discorsi, esortava, soprattutto le giovani generazioni a perseguire i propri obiettivi senza rinunciare alla loro individualità. Esortava inoltre a non arrendersi di fronte alle difficoltà, perché riteneva che ognuno dovesse affrontare le proprie.
L’espressione che più stimola all’azione e al cambiamento per migliorare la propria vita è sicuramente la seguente:
“Folle chi pensa che facendo le stesse cose possa ottenere risultati differenti”.
E’ un inno all’azione, al cambiamento, alla rivisitazione di ciò che non produce il benessere dell’individuo.
E’ un inno a cambiare “angolazione”, “prospettiva”, a distaccarci dalle abitudini che non ci permettono di evolvere verso un miglioramento della nostra condizione.

 

Conclusioni

Al termine di questa ricerca sulle possibili correlazioni tra il coaching e il pensiero di Einstein, possiamo sicuramente ritenere che ci siano molteplici collegamenti.
Albert Einstein mirava ad essere un “uomo di valore” non un uomo di successo e sicuramente rimarrà nella storia per la sua spiccata semplicità ed arguta intelligenza.
Il coaching ha potuto contare, in questo elaborato, di un valido alleato, anche se la sua effettiva nascita si è avuta su un campo da tennis americano.
Circa vent’anni dopo la morte di Einstein (1955), Timothy Gallwey elaborò con la sua teoria un’equazione matematica

Performance = Potenzialità – Interferenze

che diede l’inizio allo sviluppo ed elaborazione del metodo, in tutto il mondo.
Riteniamo con assoluta certezza che se il Professore tedesco di Fisica e il Professore americano di Havard si fossero incontrati, avrebbero chiacchierato moltissimo sugli aspetti del coaching.
Non escludiamo anche, che ci sarebbe stata una simpatica discussione su quale tra l’equazione della relatività e l’equazione del coaching sia stata la più rivoluzionaria !

 

Milena D’Antonio
Responsabile Controllo di Gestione
Pescara
milenadantonio@libero.it

 

Bibliografia e webgrafia:

http://www.crescita-personale.it/coaching/1812/coaching-in-italia/608/a
http://www.coachingtime.it/competenze-del-coach/articoli/?id=501&titoloil-coaching-e-una-moda-le-domande-di-teri-e-belf-e-la-voce-dei-coach
Albert Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Traduzione di Lucio Angelici, Newton Compton Editori, 2015
Alessandro Panniti, Franco Rossi, L’essenza del coaching, FrancoAngeli, 2014
Archivio Einstein 59-215, Lettera a Carl Feeling, 11 marzo 1952.
Archivio Einstein, Conferenza di Kyoto, 1922
Moszkowski, Conversations with Einstein, pag. 65
Archivio Einstein 21-300; pubblicato in Letters to Solvine, pag 149
John Whitmore, Coaching, Sperling & Kupfer, Milano, 2006
Albert Einstein, Lettera a Florence Schneller, 9 marzo 1936

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