
Gesù Coach
La gestione della delega.
Voglio parlare di Gesù perché insegno religione e mi sono appassionato molto alla figura di questo profeta ebreo controcorrente. Ho anche studiato abbastanza bene la Bibbia su cui ho maturato buone competenze. Negli anni ho masticato i versetti della Bibbia, mentalmente, e ho cercato di comprendere le parole per coglierne il senso più profondo.
C’è il Gesù Cristo della fede che rappresenta il figlio stesso di Dio, per i credenti cristiani. Nel Vangelo, inizialmente, Gesù appare come un uomo tra gli uomini. E’ solo dopo la sua morte che si diffonde l’immagine di Gesù come figlio di Dio e si formalizzano i dogmi cristologici nei secoli successivi. A me interessa la figura di Gesù nella sua parte umana, puramente umana. Un’umanità ispirata, un’umanità portata, a mio avviso, al suo grado massimo di umanizzazione e di dignità.
Come mai accostare Gesù al coaching? L’accostamento mi viene spontaneo. Gesù spesso non risponde direttamente alle domande che gli vengono poste ma risponde con altre modalità. Gesù adotta una specie di gestione della delega, reindirizzando la domanda al destinatario. Il coach non da risposte ma pone domande, stimola il coachee a trovare dentro di lui le risposte. Così fa anche Gesù verso gli uomini e le donne che incontra.
Prima di Gesù, già Socrate aveva usato questo metodo innovativo, come abbiamo visto anche nel corso di Coaching, nelle prime giornate. In realtà era veramente un metodo innovativo, un cambio di paradigma epocale. Gli ebrei avevano 613 regole che indicavano esattamente il comportamento da tenere in ogni situazione di vita. Il maestro rabbino era quello che aveva le risposte a tutto. Gesù non ha risposte preconfezionate pronte all’uso! Gesù stimola il suo interlocutore ad interrogarsi, lo stimola a guardarsi dentro. Siamo anche oggi, come civiltà, molto carenti di introspezione e di conoscenza di noi stessi. Al tempo di Gesù, però, guardarsi dentro era un atto proprio rivoluzionario.
In questo articolo voglio concentrarmi particolarmente su un aspetto di Gesù come coach: la gestione della delega. A volte il coachee può chiedere al coach di rispondere ad una domanda per lui. In questo caso il coachee non si assume la responsabilità della scelta ed il coach non deve mai rispondere in modo diretto, ma reindirizzare la risposta al coachee. Voglio scrivere di come Gesù risponde alle domande che gli vengono fatte dai suoi interlocutori.
Questo lavoro può essere utile, credo, sia per il coach che può apprendere da Gesù alcune modalità innovative e sia per comprendere meglio l’efficacia del messaggio di Gesù stesso. Penso che Gesù sia un grande maestro che ha sempre da insegnare all’uomo di ogni tempo. Quindi è possibile che Gesù può aiutarci, come coach, a cogliere alcuni aspetti importanti e forse anche vitali per diventare coach. In Pnl parlerebbero di modellare Gesù. A livello spirituale si può addirittura entrare in connessione profonda con Gesù. Credo che come esseri umani siamo tutti connessi a livello spirituale, ad un livello profondo, con Qualcosa che ci accomuna tutti e ci supera. C’è chi lo chiama Dio, chi lo chiama Universo, Energia. Qualsiasi cosa sia io ci credo e credo che come uomini possiamo accedere a questa forma di Coscienza Superiore attraverso il nostro Spirito. Siamo abilitati per connetterci con lo Spirito dell’Universo, perché siamo noi stessi parte di questo Spirito universale.
Gesù è un maestro di spiritualità e quindi può aprirci ad un’orizzonte di senso più grande rispetto a quello quotidiano. Mi ha colpito la ricerca fatta da Robet Dilts, uno dei principali studiosi e co-cofondatori della Pnl, sui livelli logici. E’ famosa la frase di Einstein in cui afferma che non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato. Dilts afferma che non si può risolvere un problema nemmeno con lo stesso livello logico che l’ha generato. Ogni problema ha vari livelli che lo influenzano. Ci sono livelli primari che influenzano tutti gli altri livelli e poi ci sono livelli secondari che non influenzano i livelli precedenti. A livello base c’è il livello dell’ambiente, poi il comportamento, poi le capacità, le credenze e valori e l’identità. Cambiare il paradigma dell’identità va a cambiare anche tutti gli altri livelli logici inferiori. Al contrario, cambiare solo l’ambiente non va a cambiare necessariamente i livelli superiori. Dopo anni di ricerca, Dilts è approdato a comprendere che in cima alla piramide dei livelli logici, c’è un altro livello fondamentale. Questo livello è stato denominato livello spirituale e può essere definito come una sorta di campo relazionale che comprende identità multiple, dando così un senso di appartenenza ad un sistema più grande rispetto alla specifica identità individuale. Io credo che Gesù era molto in contatto con questo campo relazionale spirituale ed ha potuto trasmettere agli uomini informazioni spirituali importanti e vitali per tutta l’umanità. Anche il coaching evolutivo, con le sue domande a spirale, aiuta il coachee ad entrare in questi livelli logici dei suoi problemi e a riformulare una nuova visione di sé stesso.
Gesù ha alcuni aspetti del coach, ma non è solo questo. Gesù è anche un formatore, maestro, mentore, amico, guida. Gesù soprattutto insegna con il suo comportamento e con le sue azioni.
Un giorno chiedono a Gesù se è proprio lui il profeta che gli ebrei stanno aspettando (Lc 7,18-23). Gesù in quel momento guarisce molti da spiriti cattivi, infermità, cecità e dona la vista a molti ciechi. La risposta di Gesù invita a guardare i frutti che Gesù stesso porta. “Un albero buono fa buoni frutti. Nessun albero cattivo può fare buoni frutti”. Aveva detto Gesù. Il coach che dubita di sé stesso, o del metodo, può osservare i frutti del suo lavoro. Anche i coachee possono essere liberati da pensieri di rimurginio, ruminazione che gli sottraggono energie. Una domanda evolutiva può far vedere al coachee orizzonti nuovi su sé stesso e il mondo, e dargli vista. Qui l’insegnamento di Gesù a restare pragmatici, a vedere il frutto delle azioni.
In un altro episodio un dottore della Legge tenta di mettere alla prova Gesù e gli chiede cosa bisogna fare per ereditare la vita eterna. Gesù risponde con una domanda: “cosa sta scritto nella Legge?”. Il dottore della legge rispose “amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso”. E Gesù disse “fa questo e vivrai” (Luca 10, 25-28).
Anche in questo caso Gesù non risponde direttamente all’avversario, ma rigira una domanda. Gesù conduce sé stesso e gli altri a cercare la risposta nelle Scritture, nella Parola di Dio. Per un coach, invece, usare la Bibbia, o Corano o altri testi sacri, non sarebbe un metodo molto rigoroso a norma Uni. A parte le battute, il Coach, però, può rimandare il coachee a sé stesso, alla verità delle sue sensazioni, delle sue emozioni. La mente spesso e volentieri mente! Ma il corpo non mente mai! Il corpo e le emozioni indicano qualcosa che la persona sta provando. Una persona che ha paura non lo fa per ingannarsi ma perché ha una paura reale. Non si può né si deve, a mio parere, giudicare un’emozione. L’emozione va accolta senza giudizio. E’ lo spirito del coachee che ha le risposte, che conosce la direzione ed è ad esso che il coach riporta continuamente il coachee. In quest’ottica è fondamentale la presenza di sé, la consapevolezza. Il coach, quindi, può riportare il coachee sempre al suo corpo. “come senti questo nel corpo? È caldo, freddo?”. In questo modo la mente viene ancorata ad una sensazione reale e riportata alla realtà. Si evita il vagabondaggio mentale, attività preferita dalla mente e, chiaramente, molto improduttiva per il coachee. In quest’ottica il respiro è un potentissimo ancoraggio che ci riporta al momento presente. Oltretutto il respiro è uno dei pochi accessi dell’uomo al sistema nervoso autonomo. Si può regolare il sistema nervoso autonomo proprio dal respiro. Come un timone indirizza la nave, padroneggiare il respiro significa padroneggiare il battito del cuore e rilassare il sistema nervoso autonomo vago. La mente, con tutto il suo superpotere, non ha un potere diretto sul sistema nervoso autonomo anche se può calmarlo attraverso credenze più razionali. Il problema è che è proprio il sistema nervoso autonomo vago responsabile delle emozioni più profonde ed alla base dei pensieri stessi.
C’è una terza modalità in cui Gesù risponde alle domande. Nella risposta di Gesù al dottore della Legge, vista in precedenza, c’è un seguito. Il dottore della Legge vuole ancora mettere alla prova Gesù chiedendogli chi è il prossimo da amare. Gesù risponde con una storia, poi diventata celebre in tutto il mondo: la parabola del buon samaritano. Nella parabola Gesù racconta una storia con personaggi fittizzi. L’ascoltatore è portato ad indentificarsi con uno dei personaggi raccontati. Solo a fine parabola si capisce se i personaggi sono buoni o cattivi. Il coach non può raccontare direttamente una parabola. Però il coach può chiedere al coachee di immaginare una storia che può raffigurare la sua situazione attuale, o di disegnare un’immagine. Visualizzare un’immagine, magari chiudendo gli occhi, può diventare uno strumento molto potente nelle mani del coach. La mente inconscia, tanto cara a Timoty Gallwey, agisce per immagini, che evocano emozioni. Saper visualizzare immagini e saperle anche modificare, almeno nella fantasia, cambia le emozioni interne della persona e la sua prospettiva. Sembra una magia ma oggi la scienza sta sempre di più confermando la potenza del lavoro sulle emozioni. Una delle scoperte incredibili che sono state fatte solo di recente riguarda il fatto che le emozioni, quando sono intense, entrano in una fase di instabilità. In questa fase di instabilità le emozioni possono essere modificate e riscritte con la visualizzazione. E’ possibile, quindi, modificare un ricordo ed un’emozione anche molto intensa e negativa, attraverso un processo mentale di riscrittura del ricordo. Tutto questo lavoro di riscrittura, però, richiede anche la presenza di un esperto psicoterapeuta, quando si tratta di lavorare su traumi importanti. Per il coach può essere molto utile conoscere il potere della visualizzazione e soprattutto di visualizzare una scena mentale in presenza e sicurezza. Non a caso la procedura del coaching evolutivo ha proprio nella visualizzazione del futuro desiderato uno dei suoi punti di forza. E’ proprio in un futuro desiderato, in cui il coachee ha risolto il problema, che il coachee può ragionare con emozioni e sensazioni positive, di sicurezza. In questo stato mentale il coachee può accedere a risorse interiori nuove ed anche trovare soluzioni a cui, prima di questo momento, non aveva un accesso mentale.
Negli anni Ottanta, i coach che parlavano di queste cose erano visti come personaggi strani, o mezzi stregoni, alla stregua di sciamani. Mi viene in mente Richard Bandler, uno dei fondatori della Pnl, in cui faceva visualizzare le immagini mentali ai suoi clienti, facendole ridurre alla dimensione di una televisione, e poi modulando il volume, o cambiando il tono di voce. Erano esperimenti mentali che cambiavano la percezione del ricordo e quindi le emozioni. In quegli anni questi metodi erano considerati molto naif, mentre oggi la scienza ha smesso di ridere su questi fatti e gli sta abbracciando molto seriamente.
Il coach può dare dei work-in al coachee, può fargli fare qualcosa. Un aspetto interessante dei Vangeli è che Gesù non fa mai un miracolo in modo diretto. Il miracolo, il segno, è sempre qualcosa che passa attraverso un’azione umana. Quando Gesù guarisce una persona, prima di guarirla, gli chiede se crede che lui potrà guarirla. Se la persona ha fede, crede, allora Gesù può guarire. Il coach deve credere che il metodo di coaching funziona. Mi ha colpito una frase di Giulio in classe a Bologna, mentre ci spiegava la lezione. Qualcuno ha posto una domanda in cui si parlava del caso in cui il coachee non facesse progressi, in cui il metodo sembrava non funzionare. Giulio ha risposto in modo deciso “il metodo funziona! Qualcosa accade! “. Mi ha molto colpito questo aspetto. Anche noi come coach dobbiamo avere una fiducia nel metodo che utilizziamo. Ci sono persone prima di noi che hanno testato il metodo ed hanno visto i frutti. A noi spetta di applicare il metodo in modo corretto, con passione, mantenendo la struttura.
Tornando a Gesù, per ogni miracolo è richiesto l’intervento umano. Per moltiplicare i pani e i pesci Gesù ha chiesto di portargli qualche pane a pesce. I discepoli gli dissero che avevano solo cinque pani e due pesci. Gesù non crea ma moltiplica. Il coach non crea dal nulla, ma lo aiuta a moltiplicare i talenti del coachee. Vedere i propri talenti, fino ad un attimo prima non visti, è già un moltiplicare. Il famoso potenziale presente nel coachee e di cui lui stesso spesso ignora l’esistenza. La fase di elaborazione della mobilità, aiuta proprio il coachee a prendere coscienza di queste sue risorse che sono emerse alla coscienza durante la sessione. Con le nuove risorse consapevolizzate allora il coachee può comportarsi in modo diverso e trovare nuove soluzioni ai suoi problemi ed obiettivi. Ci sarebbero tanti altri aspetti da vedere e considerare su Gesù e il coaching. Per quello che riguarda questo articolo mi fermo qua.
In questo breve articolo su Gesù e il coaching ho voluto vedere la figura del coach con le lenti e lo sguardo di Gesù. Questa modalità mi ha permesso di comprendere meglio alcune caratteristiche del coach. Il coach è un uomo o donna profondamente umano, con i suoi limiti e difetti. Il coach non da una risposta immediata al coachee ma lo aiuta a cercare dentro di sé le risposte. Il coach aiuta il coachee a stare radicato ai fatti e non solo ai suoi pensieri, al suo corpo e non solo alla sua mente. Il coach aiuta il coachee a crescere come persona in ogni suo aspetto incluso quello spirituale. Aiuta il coachee a diventare quella pianta già presente in potenza nel seme. Il coach aiuta il coachee a guardare le cose da varie angolazioni e non fossilizzarsi su un’unica prospettiva, spesso diventata ormai sterile.
Il coach allena il coachee ma poi il lavoro concreto è proprio il coachee a doverlo fare. Infine credo che un coach sia una persona che si ama profondamente ed ama anche profondamente il coachee. Creare un ambiente di amore consente di creare una sicurezza da cui il coachee può pensare in modo nuovo e trovare nuove soluzioni. Un ringraziamento speciale ad Incoaching per tutto ciò che ci ha trasmesso e fatto vivere. Grazie a Franco, ad Alessandro, a Giulio, a Matteo, a Silvia e a Giorgia.
Grazie infinitamente. Grazie anche a tutti i compagni di corso con cui abbiamo condiviso, vissuto, masticato ed assaporato questa nuova visione del mondo che il Coach offre. Un abbraccio caloroso e riconoscente a tutti, veramente. A presto.
Francesco Violini
Docente di Religione e Filosofia – Coach Professionista | Marche
violinifrancesco@libero.it
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