
Elaborato Emozionale di fine Corso (in pillole)
“Quelle come me cercano un senso all’esistere e quando lo trovano, tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo.
…
Quelle come me inseguono un sogno: quello di essere amate per ciò che sono e non per ciò che si vorrebbe fossero”
Alda Merini
“Volo ut sis“
Sant’Agostino
Il metodo del coaching appreso in questo corso è stato trasferito a noi partecipanti in maniera dettagliata ed arricchita da sessioni che in differenti modalità hanno consentito di apprendere e comprendere gli strumenti a nostra disposizione per fare coaching.
Come ogni metodo, composto da regole e processi da seguire, non è negoziabile e ciò determina sicurezza nel neofita che si accinge a studiare per diventare coach in quanto sa che entrerà in possesso di una metodologia pragmatica e scientifica.
Con questo elaborato intendo riflettere sull’impatto che il corso di coaching ha avuto nella mia vita e nel farlo intendo ripercorrere le tappe del percorso formativo che si sta concludendo.
La mia prima osservazione nasce dalla esigenza di condividere il senso di smarrimento che ho provato fin dalla prima lezione, nella quale ho appreso che per imparare ed applicare efficacemente il metodo del coaching occorre mettere da parte temporaneamente il proprio vissuto con tutte le interferenze culturali ed ambientali.
Pertanto: da un lato la base sicura del metodo dall’altra l’indispensabile lavoro di ristrutturazione personale che deve fare il futuro coach.
Occorre quindi, destrutturarsi? In parte sì, la difficoltà dipende da quale punto di consapevolezza si parte.
“Ricordarsi di dimenticarsi..” (cit. coach professionista FR)
Nella relazione di coaching, il coach innanzitutto deve riconoscere la propria unicità e con la consapevolezza di essere il risultato di tutte le scelte fatte e delle esperienze vissute, deve essere in grado di fare silenzio, saper ascoltare e soprattutto mettersi da parte.
Dal confronto con i colleghi del corso ho compreso l’automatismo che si aziona quando si è in sessione. Ognuno di noi a seconda dell’argomento trattato dal coachee ha inizialmente riscontrato notevole difficoltà nel trattenersi nel dare consigli.
Inoltre, se l’argomento trattato è di dominio del coach, il rischio di intervento inopportuno è molto alto nonché la partecipazione emotiva ed empatica che mina l’equilibrio tra i due ruoli nella relazione.
La parabola del filosofo che si presenta dal maestro Zen, mostra come quest’ultimo, per insegnare la disciplina buddista, chiede di fare spazio nella mente del discente e lo esplicita con l’esempio della tazza di thè.
Il maestro infatti, nel versare del thè nella tazza prosegue con il versare la bevanda anche quando il recipiente è pieno ed inizia a traboccare.
Solo se si svuota il recipiente è possibile riempirlo, e così metaforicamente nel coaching, solo se si è in grado di mettersi da parte si può accogliere autenticamente il coachee.
E’ necessario? E’ indispensabile!La relazione di coaching pone le sue fondamenta nella fiducia reciproca che si manifesta attraverso atteggiamenti non giudicanti e riconoscendo l’unicità dell’altro.
“L’antidoto del giudizio è la fiducia” (Cit. coach professionista FR)
Il coach ascolta in modo attivo, si allea nel processo di ricerca del potenziale e nello sviluppo, è autentico nella relazione in quanto è sinceramente interessato al suo coachee ed accoglie senza giudizio tutto ciò che emerge nella relazione. La fiducia nella relazione e nelle potenzialità proprie e del coachee nonché nel metodo C.A.R.E.® consentono al coach di avviare una sana collaborazione mediante la quale individuare ed allenare il potenziale del coachee.
Ma agli inizi… come vive la sessione il futuro coach?
Potendo paragonare l’utilizzo del coaching alla pratica di guida di un neopatentato che osserva mani e piedi durante la guida, si potrebbe ammettere che nei primi tempi il coach durante le sessioni è concentrato nel tenere a mente le regole del metodo, attento a non interrompere il flusso di parole del coachee, osserva la comunicazione paraverbale e non verbale, ripassa le domande da porre, ripensa al GPS del Coaching, mette a tacere i consigli che spontaneamente vorrebbe dare, anticipa con il pensiero le prossime azioni da attuare.
Come il neopatentato un pochino di tensione la vive ma la soluzione è semplicemente quella di allenarsi e continuare a fare sessioni.
Sembra infatti, gli esperti lo assicurano, che solo con l’applicazione del metodo e la pratica costante si possa raggiungere la completa padronanza del metodo che, come la pratica della guida, diventa spontaneo e di più facile utilizzo.
Utilizzando la metafora della scuola guida, emersa durante una delle giornate del corso, il coach non ha i doppi comandi pertanto sarà compito del coachee evitare gli incidenti e gestirli qualora si verificassero. Il coach non si fa male.
Affianca il coachee nel percorso, gli illumina la strada ma non direziona in alcun modo e non prende i comandi in nessuna situazione.
Tutta la responsabilità del viaggio è in capo al coachee ed anche il merito della buona riuscita.
“Il coaching è un viaggio che si attiva dal momento in cui si è consapevoli su cosa si vuole lavorare e che inizia quando si compie la prima azione” (una probabile futura coach? NB)
“Il momento migliore del coaching è quando il coachee ammette di non avere più bisogno del coach” (cit. coach professionista SM)
Il coaching allena il potenziale e rende indipendenti.
Non produce dipendenza ma alimenta un profondo stato di senso di efficacia alla quale si unisce la volontà di attivare un percorso di cambiamento che deve comunque possedere un significato per il coachee.
“Trovare il senso, perché da’ la direzione” (cit. coach professionista NB)
Il senso inteso come significato intimo e profondo per la persona è la parte più delicata del percorso di sviluppo perché solo quando si individua il senso che si trova alla base della richiesta di sessione si può iniziare a dare una direzione al percorso di sviluppo.
Ciò che apprezzo del coaching è il potere che racchiude in sé e ciò che potenzialmente può innescare.
Si parte dall’ascolto e dalla formulazione di una richiesta e mediante l’osservazione e la guida del pensiero del coachee fino al punto in cui intende arrivare. Impegno, esercitazioni da fare, responsabilità nel lavorare seriamente al proprio obiettivo mediante azioni mirate e definite.
Personalmente dà sicurezza possedere un metodo in grado di far compiere un percorso che se svolto con impegno condurrà il coachee con i piedi per terra e con il suo obiettivo raggiunto.
Durante le sessioni e nella parte formativa ho maturato la consapevolezza di essermi avvicinata ad un metodo che basa la sua essenza nel profondo rispetto dell’altro e nella intenzione di mettere in atto azioni mirate alla ricerca del potenziale umano per dargli il giusto spazio.
Il coaching è una delle poche discipline che mette l’individuo al centro del suo mondo e nel modo in cui meglio intende esserci.
Trovo un profondo senso etico nel accompagnare un individuo verso un percorso di sviluppo che mette in atto con le sole forze di cui dispone e nella maniera che consapevolmente sceglie.
Credo che non esista più grande forma di rispetto come quella di desiderare che una persona sia autenticamente soddisfatta di sé e che senta di essere accettata incondizionatamente.
Per me il coaching è anche questo.
Novella Bellucci
Account Manager Risorse Umane
Personal Coach
Jesi (AN)
nbellucci2@gmail.com
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