
Dante: guida e ispirazione nel viaggio del Coaching personale
Premessa
Nel mondo della letteratura, pochi racconti hanno catturato l’immaginazione umana come la “Divina Commedia” di Dante Alighieri.
Questo capolavoro epico del XIV secolo ci porta in un viaggio attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso, raffigurando la straordinaria odissea spirituale dell’autore. Ma cosa può insegnarci Dante Alighieri, l’uomo del Medioevo, su una pratica moderna come il Coaching?
La risposta sta nell’esplorazione delle cantiche e dei principi che sottostanno a questo affascinante viaggio e soprattutto nell’ultima Cantica, il Paradiso, dove Dante sembra anticipare la psicologia positiva moderna di Seligman e i principi del Coaching per lo sviluppo delle proprie competenze.
Ma come sappiamo, il suo viaggio può giungere al Paradiso solo se riesce a superare Inferno e Purgatorio.
Per prima cosa occorre svincolarsi dall’ottica teologico-cristiana e considerare che il percorso di Dante per arrivare a vedere Dio, in chiave moderna non è altro che riuscire a diventare ciò che si é.
In questo percorso ho riconosciuto il coaching e l’Opera come rappresentazione del viaggio alla riscoperta della propria originalità.
Inferno: Confrontarsi con le Ombre del Passato
La prima cantica, “Inferno”, rappresenta il viaggio di Dante nell’Inferno, un mondo di sofferenza e peccato.
Nel primo canto Dante si ritrova nel mezzo di una selva oscura, simboleggiante la confusione e l’oscurità della sua vita spirituale. Questa è una situazione comune tra molte persone che cercano il coaching.
Possono sentirsi smarrite, incapaci di vedere una via d’uscita dalle loro circostanze attuali o dalle abitudini limitanti.
Questo è simile all’incontro di Dante con Virgilio, la sua guida, che lo aiuta a superare le prove dell’Inferno. Il coach agisce come guida, incoraggiando l’autoriflessione e aiutando l’individuo a porre obiettivi e un piano d’azione in un percorso di valorizzazione delle proprie risorse. Questo è il primo passo fondamentale verso la crescita personale. Come nel coaching anche Dante si pone un obiettivo, potremmo dire l’obiettivo di tutto il percorso, vedere Dio (nel Paradiso), ovvero accedere al più alto livello di conoscenza, quello della conoscenza di sé.
Dante lo fa dire molto bene ad Ulisse nel canto XXVI:
“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”. 120
Nell’inferno è come se ci trovassimo ancora in un una fase pre-coaching.
Virgilio, possiamo considerarlo in una relazione di coaching?
Sicuramente Virgilio mette in atto con Dante la Maieutica ovvero la relazione che mette in grado l’allievo, attraverso il dialogo di acquisire progressiva consapevolezza della verità che è dentro di lui.
Nelle 4A di relazione del coaching, Accoglienza, Ascolto, Alleanza, Autenticità, Virgilio non sempre sembra essere accogliente con Dante.
Spesso anticipa i suoi pensieri giudicandolo in un rapporto Io SONO OK (Virgilio) tu NON SEI OK (Dante) mancando quindi di uno dei presupposti fondamentali della relazione di coaching.
I ruoli sono certamente complementari e il contenuto asimmetrico, ma risulta asimmetrica anche l’interazione, quindi non egualitaria.
In questo rapporto Dante si sente giudicato e si giudica.
Il percorso di Dante sarà quindi ancora lungo perché possa davvero trovare chi è veramente. Dovrà necessariamente, dopo aver guardato in faccia alle proprie ombre, avviare un percorso di purificazione. Lo rappresenta bene Dante attraverso la montagna del Purgatorio, metafora della fatica di abbandonare e superare le proprie debolezze e i propri limiti e concentrarsi finalmente con i propri talenti.
Purgatorio: Il Cammino di Crescita e Purificazione
Nel Purgatorio di Dante, la guida cambia, questa volta è Beatrice che si sostituisce a Virgilio non senza dolore da parte di Dante che quando non lo vedrà più scoppierà in un pianto disperato. Si sentirà solo. Se Virgilio-Guida non sempre si è posto in una relazione facilitante, Beatrice rincara persino la dose sgridando e punendo Dante in maniera molto severa. Come spesso avviene nell’Opera Dante cade e sviene, e questa caduta, è la metafora dei limiti dell’essere umano sopraffatto dagli eventi.
Durante la salita al Purgatorio Dante si leva le 7P, ovvero i 7 peccati capitali, rappresentazioni di tutti gli ostacoli, interferenze alla propria realizzazione, zavorre che impediscono come al Coachee, di salire in leggerezza verso il raggiungimento dei propri obiettivi.
Ma è con l’arrivo in Paradiso che Dante sembra essere finalmente pronto per il percorso di coaching.
Paradiso: La Realizzazione dell’Obiettivo e dell’Anima
Nella terza cantica, “Paradiso”, Dante raggiunge il culmine del suo viaggio, entrando nel Paradiso. Questo simboleggia il raggiungimento dell’obiettivo finale, la realizzazione dell’anima e la connessione con il divino. In modo simile, potremmo definire il Paradiso come il termine ideale di un percorso di coaching in qui la trasformazione dei sogni in realtà si realizza, guidando le persone attraverso le fasi del cambiamento e dell’auto-miglioramento. Come Beatrice prima e San Bernardo poi guida Dante attraverso il Paradiso, un Coach può essere il mentore che ispira, sfida e supporta il proprio cliente (Coachee) nel raggiungimento della sua visione di successo e realizzazione.
Nel I Canto Dante fa spoiler di quello che vedrà. È come un Coachee che pone il suo obiettivo di
percorso.
“Nel ciel che più de la sua luce prende
fu’ io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende; 6
perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire.” 9
Ci svela sin dal principio che vedrà Dio (vedremo poi chi è veramente Dio) e nello specifico racconta che più ci avviciniamo all’oggetto del nostro desiderio (focalizziamo cioè un obiettivo S specifico, M misurabile, A realizzabile, R rilevante e in T relazione al tempo) più il nostro intelletto si addentra nelle sue profondità.
Ma qual’è il presupposto per Dante per poter salire nei vari Cieli e vedere Dio? E qual’è il presupposto per un Coachee per intraprendere un percorso di coaching?
“Trasumanar significar per verba
non si poria; però l’essemplo basti
a cui esperienza grazia serba.” 72
Dante si inventa allora un neologismo (uno dei tanti); “Trasumanare” che significa andare di là dai limiti della natura umana, trapassandola, trasformandola fino a superarla per aderire a una natura più alta, alla natura divina. Deve cioè modificare la sua forma fisica per poter ascendere nei cieli. Rappresenta per noi, in questa analisi la coachability del Coachee, ovvero la predisposizione al cambiamento, la volontà di sfidare le proprie convinzioni.
Posiamo definirla come la capacità di prendere-forma, una forma nuova, come quella di Dante, una sorta appunto di Trasumanazione. Dante come un bravo Coachee si pone nell’ottica di superare i propri limiti (nel suo caso anche fisici) e sviluppare i propri talenti.
Ma il concetto di coachability lo ritroviamo anche nel successivo canto, il II.
“Metter potete ben per l’alto sale
vostro navigio, servando mio solco.” 15
Dante usa una metafora, quella dei lettori su una piccola barca, desiderosi di ascoltare, che seguono la scia di una nave. Potete inoltrarvi cioè in alto mare solo se siete disposti a prendere in mano il comando della barca.
La coachability la troviamo ancora nel Canto XXIX quando Dante esprime il concetto di grazia che si può ricevere solo per merito e commisurata alla volontà di ottenerla.
“E non voglio che dubbi, ma sia certo,
che ricever la grazia è meritorio
secondo che l’affetto l’è aperto.” 66
Nel suo viaggio, a differenza delle due Cantiche precedenti, permeate di sofferenza e fatica, nel V Canto Dante pone forse le basi della psicologia positiva (Eudaimonia), invitando il lettore a pensare positivo!
“Io veggio ben sì come già resplende
ne l’intelletto tuo l’etterna luce,
che, vista, sola e sempre amore accende;” 9
Per rinforzare la sua visione positiva, si esorta ad alzare lo sguardo al cielo e ad accettare il proprio talento e lo fa con delle terzine straordinarie, quelle del canto X, quando non a caso si trova nel quarto Cielo del Sole.
“Leva dunque, lettore, a l’alte rote
meco la vista, dritto a quella parte
dove l’un moto e l’altro si percuote; 9
[…]
Perch’io lo ‘ngegno e l’arte e l’uso chiami,
sì nol direi che mai s’imaginasse;
ma creder puossi e di veder si brami. 45
E se le fantasie nostre son basse
a tanta altezza, non è maraviglia;
ché sopra ‘l sol non fu occhio ch’andasse.” 48
Un percorso di coaching ha durate che variano a seconda dei Coachee, perché solo i Coachee decidono la sua durata. Può capitare che si possa perdere l’entusiasmo perché entrano in gioco interferenze. Nel Canto XIII Dante esorta a darsi il tempo e prima o poi si sboccerà. Il coaching richiede tempo, pazienza, ascolto e la dimensione del καιρός.
“Non sien le genti, ancor, troppo sicure
a giudicar, sì come quei che stima
le biade in campo pria che sien mature; 132
ch’i’ ho veduto tutto ‘l verno prima
lo prun mostrarsi rigido e feroce;
poscia portar la rosa in su la cima; 135
e legno vidi già dritto e veloce
correr lo mar per tutto suo cammino,
perire al fine a l’intrar de la foce.” 138
Prosegue il viaggio e Dante esorta con il Canto XVII a porsi continuamente degli obiettivi. Manifestare cioè il proprio desiderio così che esso sia espresso secondo i propri pensieri, non perché non ci sia il bisogno delle parole per conoscerlo, ma affinché ci si abitui a manifestare i desideri in modo che essi siano esauditi.
Non è forse quello che avviene in sessione? Esprimersi con le parole, i silenzi, il corpo ed esplorare pensieri, elaborare concetti e idee per costruire un piano d’azione concreto.
“Manda fuor la vampa
del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella esca
segnata bene de la interna stampa; 9
non perché nostra conoscenza cresca
per tuo parlare, ma perché t’ausi
a dir la sete, sì che l’uom ti mesca.” 12
Più il Coachee si esprime e si allinea con sé stesso meglio si sentirà, Dante esprime questo concetto con le terzine del Canto XVIII.
“E come, per sentir più dilettanza
bene operando, l’uom di giorno in giorno
s’accorge che la sua virtute avanza, 60
sì m’accors’io che ‘l mio girare intorno
col cielo insieme avea cresciuto l’arco,
veggendo quel miracol più addorno.” 63
Dante descrive l’uomo che sente maggior gioia nel fare il bene e di giorno in giorno sente di accrescere la propria virtù e nel canto XXII addirittura ci chiede di celebrare la nostra bellezza non prima di aver realizzato il percorso fatto.
“Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante; 135
e quel consiglio per migliore approbo
che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
chiamar si puote veramente probo.” 138
In queste terzine Dante sembra fare l’Elaborazione della Mobilità, attraverso la metafora dello sguardo in basso verso i pianeti, come ad avere lucidità del percorso fatto. In questo momento dove pensi di trovarti? Sembra chiederci. E soprattuto ci domanda: cosa è cambiato rispetto a prima?
E un’altra Elaborazione della Mobilità la troviamo nel Canto XXXI
“E ‘l santo sene: «Acciò che tu assommi
perfettamente», disse, «il tuo cammino,
a che priego e amor santo mandommi, 96
vola con li occhi per questo giardino;
ché veder lui t’acconcerà lo sguardo
più al montar per lo raggio divino.” 99
Affinché tu porti a compimento nel modo dovuto il tuo viaggio, spingi il tuo sguardo lungo la rosa (dove si trovano i Beati) infatti il vederla preparerà il tuo sguardo ad affrontare la visione di Dio.
Nella fase di Esecuzione, dopo aver definito l’obiettivo di extra sessione e il piano d’azione il Coach chiede quali possono essere gli ostacoli e quali i facilitatori.
Nel Paradiso Dante pone questa domanda con la bellissima metafora del bambino che tende le braccia verso la mamma dopo essere stato allattato, per il suo affetto che si manifesta anche nei gesti esteriori, così come i beati che in quel momento si protendevano verso l’alto in direzione di Maria. Chi può facilitarti in questa impresa? Nel caso del Canto, la madre, Maria.
“E come fantolin che ‘nver’ la mamma
tende le braccia, poi che ‘l latte prese,
per l’animo che ‘nfin di fuor s’infiamma; 123
ciascun di quei candori in sù si stese
con la sua cima, sì che l’alto affetto
ch’elli avieno a Maria mi fu palese. 126
Indi rimaser lì nel mio cospetto,
‘Regina celi’ cantando sì dolce,
che mai da me non si partì ‘l diletto.” 129
E solo quando Dante porta a termine il suo viaggio e termina quindi il suo “percorso di coaching”, riesce a
vedere Dio.
“Ma chi è Dio? Ce lo dice lui stesso nel Canto XXXIII
Ne la profonda e chiara sussistenza
de l’alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d’una contenenza; 117
e l’un da l’altro come iri da iri
parea reflesso, e ‘l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri.” 120
Dio appare come tre cerchi luminosi in cui il primo era il Padre, il secondo il Figlio come riflesso di un arcobaleno e il terzo, lo Spirito Santo che sembrava una fiamma che si irradia da entrambi. Dante è al suo culmine, la volontà di superare i suoi limiti è al suo punto massimo. Ha il massimo livello di coachability.
“E io ch’al fine di tutt’i disii
appropinquava, sì com’io dovea,
l’ardor del desiderio in me finii.” 48
Non distoglie lo sguardo da quella luce (sé stesso), ma continua a guardarla.
“Io credo, per l’acume ch’io soffersi
del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi. 78
E più la guarda, più si sente realizzato, allineato con sé stesso e sempre più felice.
La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.” 93
È felice perché vede finalmente Dio. Ma chi è Dio? Ritrova nella sua immagine l’immagine stessa dell’umanità, ritrova finalmente sé stesso in questo atto di rispecchiamento. Viene appagato della “fatica” in questo viaggio che compie.
Dante ha fatto un viaggio per noi. Un viaggio immaginario ma così concreto e tangibile. Ha attraversato l’inferno, visto e patito le pene dei dannati, e arrampicandosi sulle gambe di Lucifero è arrivato nel Purgatorio, montagna di terra creata con la sua caduta dal cielo.
Salendo si è purificato e si è levato le 7 P, I peccati capitali dalla fronte e dalla mente. Ma è col Paradiso che salvando se stesso ha salvato l’umanità intera. Non è scappato dalla luce divina (da sé stesso) e come ogni essere umano si è posto nel suo limite e nella sua finitezza superando il verbo incapace di descrivere l’amore di Dio.
Salendo i cieli (in un percorso di coaching) del Paradiso ha saputo elevarsi, superare i propri limiti umani e terreni.
Come lui ci riconosciamo nella necessità di trovare la nostra originalità, cioè tornare alle origini e guardandoci allo specchio scoprire chi siamo davvero (diventare ciò che si è).
Diventare ciò che si è in questo assurdo mestiere che è l’amore, d’una sola contenenza.
Igor Loddo
Attore, regista, formatore, Life & Actor Coach
Milano
igor.loddo@gmail.com
iononparlo@gmail.com
No Comments