
Dall’esperienza al successo: testimonianze da Coach e risultati ottenuti dai clienti
Voci dall’esperienza di un Coach
Sentire la vita ci espone a una tensione perpetua e vivace.
Ne consegue che prestare attenzione, acquisire consapevolezza, saper discernere per confronto e per contrasto, sono passi necessari per aiutarci a vivere nel tempo del qui ed ora.
In quest’ottica, può capitare di confondersi e di perdersi all’interno di certi ambiti di conversazione che solleciti alla nostra pigrizia mentale sono inclini a farci saltare il grado della verità confutata e degli approfondimenti critici.
Tra questi luoghi di scambio delle idee vive spensierato il senso comune che poi è lo spirito di una semplificazione delle variabili del mondo. Il senso comune piace al nostro bisogno di sicurezza e di stabile conoscenza. Metterlo in discussione è già un esercizio volitivo, incline a chi si apre alla possibilità di nuovi confini di pensiero e di azione.
Proprio al senso comune piace parlare di talento nella misura in cui siamo attratti più dalla specialità e dal genio che dalla meraviglia di un ordinario.
E così, ascoltando il flatus vocis e le teorie ingenue delle coscienze sociali può emergere quanto segue: il talento è innato, presente per natura e per destino, ereditato dalla genetica, donato per grazia superiore, è ciò che ti è facile fare e mantenere.
Genio e talento però non sono la stessa cosa.
Andando oltre le generalizzazioni e i cliché che tendono a banalizzarne il peso umano, tra i molteplici aspetti che entrano in gioco parlando di talento e di tesori personali inespressi con i Coachee, mi sono spesso ritrovata a chiarificare, anche per me stessa, i seguenti dilemmi:
1) Il talento è dotazione o attitudine?
2) Si può perdere il talento?
3) Agiamo il talento o ne siamo agiti?
4) Con il talento abbiamo la libertà di essere ciò che vogliamo?
5) Dilemma da pluri-potenziale: quale talento scegliere e valorizzare?
Una cosa emerge chiara dalle storie dei Coachee che ho incontrato: accogliere il proprio talento, dopo averlo riconosciuto e legittimato, implica aver deciso coraggiosamente di aprirsi alla possibilità di lasciarsi cambiare e di guardare verso una nuova prospettiva.
In questo senso il Coaching può vantare l’etica di un metodo che è già educazione all’incontro con sé stessi.
Il processo di lettura del proprio talento avviene dunque per piccoli passi rivelatori che propriamente il Coaching induce a tessere, dando vita alla rivelazione del proprio sé più autentico.
Ciò che sempre mi restituisce il senso di un processo lento di trasformazione di sé, grazie ai Coachee con cui lavoro, è la rivelazione di un segno, la figurazione di una nuova possibilità che li porta al gioco di scoperta, di esplorazione, di dubbio e di domanda e che infine li conduce alla sperimentazione di una nuova trama della loro vita.
Il peso più grande
Mettersi dall’altro lato non è scontato, né casuale, né prevedibile.
È piuttosto il segno che ogni soggetto può mostrare di sé quando ricerca sé stesso oltre la propria natura difensiva.
Il battito che lo caratterizza è tutta una questione di spinta interrogativa: ogni volta che un soggetto esplora all’interno di un processo di Coaching il proprio carattere nomadico, è portato ad andare oltre le certezze convenzionate e le sintesi definitive delle sue credenze.
In questo modo accede ad un nuovo livello di fiducia ed è propriamente all’interno di questa cornice riflessiva che normalmente si accende il talento.
Basta solo lasciarsi sedurre dal segno che un dialogo di Coaching è in grado di elevare e rendere più visibile al nostro intimo sentire.
Se vuoi approfondire l’argomento continua, dunque, a seguirci sul nostro blog.
In esclusiva per INCOACHING®, testo di Simona Rebecchi – Coach professionista diplomata INCOACHING®
No Comments