Categoria: Coaching e matematica: qualche semplice quanto azzardato punto di incontro

Categoria: Coaching e matematica: qualche semplice quanto azzardato punto di incontro

Coaching e matematica: qualche semplice quanto azzardato punto di incontro

Dall’inizio del percorso di training sul Coaching Evolutivo sono rimasto affascinato da una serie di particolari, cui se ne sono via via aggiunti di nuovi, che mi hanno portato a trovare delle analogie tra un argomento come il coaching, così profondamente legato a fattori quali emozioni, sentimenti, sensibilità e human touch e un ambito a me molto caro e di grande interesse quale la matematica, così fondato su assiomi, teoremi e leggi tanto inconfutabili quanto lontani anni luce dalla sfera emotiva.

 

Non che un matematico non si emozioni di fronte alla bellezza dei ragionamenti che portano, per esempio, ad alcune potenti dimostrazioni, ma di sicuro non è dalle emozioni che in quest’ambito si possono ricavare gli elementi che portano ad accompagnare l’individuo, passo per passo, da una solida ipotesi ad una inconfutabile tesi.

 

Eppure, quando mi sono trovato di fronte alla struttura della sessione evolutiva non ho potuto fare a meno di osservarne la somiglianza con un algoritmo. Lo stesso processo del percorso di coaching assomiglia ad un algoritmo nel quale ogni sessione può essere interpretata come una subroutine.

 

All’interno della sessione, ogni fase è propedeutica alla fase successiva. E così l’Esplorazione è condizione necessaria per lo svolgersi dell’Elaborazione che, a sua volta, lo è per l’Esecuzione. Più precisamente, all’interno delle singole fasi, ogni step è strettamente necessario allo svolgimento del successivo.

 

In ottica di logica matematica, la struttura di sessione, di fatto, è (o può essere velocemente ricondotta a) un diagramma di flusso in cui l’output di un blocco rappresenta l’input del successivo. Le varie fasi (nonché alcuni loro step) si possono identificare con i blocchi.

 

In Esplorazione è infatti facilmente intuibile e logico come sia necessario, per il coachee, descrivere l’argomento della sessione per potersi poi soffermare e focalizzare sull’obiettivo che sarà il suo punto d’arrivo nella sessione stessa. La serie di domande che il coach pone per verificare la consistenza dell’obiettivo (SMRT) rappresentano una fase iterativa dell’algoritmo in cui si ricicla sul soggetto in questione (obiettivo) per rifinirlo e sfrondarlo dalle parti che non sono utili al processo mantenendo solo ciò che serve strettamente e lo rende concreto e consistente.

 

Stesso ragionamento vale, in Elaborazione, per Presente Percepito e Futuro Desiderato. Nel Presente Percepito, Il coach reitera il processo con domande che esplorano il più possibile tutti gli aspetti che possano aiutare il coachee a lavorare sul proprio potenziale fino a che il coach, quando ritiene sia il momento giusto, non “accompagna” il coachee ad “uscire dal loop” proiettandolo nel Futuro Desiderato.

 

Ancora, l’elaborazione del Futuro Desiderato terminerà nel momento in cui il coach riterrà di innescare l’exit point che porterà all’ingresso nel successivo step di ulteriore elaborazione delle risorse consapevolizzate, rendendo possibile un assessment preciso della mobilità di sessione.

 

Il “pacchetto” di informazioni con cui, grazie all’allenamento del coach, il coachee si appresta ad essere trasportato nella fase di Esecuzione non è altro che l’output della fase di Elaborazione. La definizione dell’obiettivo di extra-sessione, la formulazione del piano d’azione, ostacoli e facilitatori e verifiche di monitoraggio sono altri piccoli loop dai quali il coach fa uscire il coachee nel momento in cui reputa che quest’ultimo sia pronto.

 

Con estremo azzardo si può quindi paragonare il coach alla pseudo-codifica che costituisce l’algoritmo e il coachee all’esecuzione dello stesso all’interno di un processo che si chiama “Sessione di coaching”, senza dimenticare che la chiave di uscita dai loop è determinata dall’esperienza e sensibilità del coach e non dal raggiungimento di soglie numeriche o bivi meramente logici.

 

Di seguito un (perfezionabile) tentativo di riconduzione ad un vero e proprio diagramma di flusso (che non è altro che la pseudo-codifica di un algoritmo):

Un altro aspetto che ha catturato la mia attenzione è la ricorrenza delle analogie di alcuni passaggi del processo di coaching con la teoria delle probabilità.

 

Molto spesso, per non dire sempre, ad un certo punto il coachee deve decidere cosa fare. La decisione in sé ha, di fatto, anche una natura probabilistica. Raramente una decisione è certa al 100%. Spesso decidere implica valutare rischi e opportunità in un contesto per lo più incerto per ciascuno di noi (anche se in modo differente).

 

La teoria delle probabilità insegna che ogni decisione può essere vista come una scelta tra diverse opzioni, ognuna delle quali porta con sé una certa probabilità di successo o di fallimento.

 

Ecco che nel modello di Coaching Evolutivo, il coach accompagna il coachee nella esplorazione di quante più strade possibili, spingendolo a valutare secondo i propri criteri i benefici e i rischi associati a ciascuna strada, ad elaborare, a confrontare ed esaminare su più piani (cognitivo, emotivo, agentivo…) ciascuna situazione. Mettendo in moto il proprio potenziale, il coachee, spesso senza accorgersene, associa una probabilità di successo o fallimento ad ogni strada, dandosi la possibilità di fare una scelta consapevole e responsabile e di elaborare infine dei piani di azione. Questi ultimi si saranno comunque generati in presenza di una certa dose di incertezza che inizialmente interferiva con la propria capacità di muoversi verso l’obiettivo desiderato.

 

Ecco un altro passaggio che ha stimolato un ulteriore collegamento con la matematica: il Coaching Evolutivo si sofferma ad analizzare come alcuni tipi di interferenze come le convinzioni limitanti, le interferenze interne e i blocchi del pensiero possano diventare per il coachee delle resistenze alla mobilità.

 

Rimanendo nella sfera della teoria delle probabilità, si può dire che le interferenze in qualche modo distorcano la percezione della realtà e quindi della probabilità.

 

Nel tentativo di conseguire un obiettivo, una semplice e comune convinzione (limitante) come il ritenersi troppo vecchio non fa altro che sovrastimare enormemente il rischio di fallimento a sfavore della probabilità di successo, talmente tanto da far si che il coachee non provi nemmeno a considerare determinate strade in quanto convinto a priori di non poterle perseguire.

 

Analogamente, ma al contrario, alcune convinzioni dettate da un eccessivo ottimismo, come per esempio l’idea di conoscere una lingua alla perfezione (quando in realtà non è così), portano ad una pericolosa sottovalutazione del fallimento a favore di un’esagerata certezza di successo.

 

L’abilità del coach di generare consapevolezza nel coachee e riuscire a fargli vedere la realtà da prospettive diverse tenderà a sanare la distorsione della probabilità generata dall’interferenza restituendo al coachee la capacità di valutare rischi e opportunità nel modo più equilibrato e quindi la facoltà di potersi avvalere (anche se inconsciamente) della Teoria delle probabilità in maniera proficua.

 

Per continuare con altri piccoli spunti, come non soffermarsi sulla geometria dell’interazione tra coach e coachee. Non a caso viene visivamente rappresentata con un triangolo equilatero, figura stabile che non si può deformare senza che se ne alterino le lunghezze dei lati. Associare la simmetria dell’interazione, la complementarietà dei due ruoli distinti e l’asimmetria del contenuto del coachee ai tre lati del triangolo rende perfettamente l’idea di come la geometria (e quindi la relazione) non possa stare in piedi se uno dei tre lati si “deforma”, con un inevitabile venir meno della relazione. Il fatto che sia equilatero poi sottolinea quanto le tre componenti siano pariteticamente indispensabili. Ad un osservatore che apprezzi le proprietà geometriche del triangolo non può sfuggire l’associazione che, in qualche modo, ne facilita la comprensione.

 

Da ultimo, non potevo non approfondire l’unica formula che fin dai primissimi passi nella conoscenza del coaching Evolutivo mi è comparsa innanzi e che, da subito, ha catturato la mia attenzione per l’evidenza che fornisce descrivendo in modo semplice ma efficace il miglioramento che il coach può favorire nel coachee, aiutandolo a riconoscere ciò che ostacola il pieno utilizzo delle proprie risorse.

 

Sto ovviamente parlando della formula di Gallwey: Performance = Potenziale – Interferenze

 

P = p – i

 

In matematica, individuando la Performance come funzione del potenziale e considerando l’interferenza una costante (grande o piccola a piacere), la formula descrive un cosiddetto fascio di rette parallele, come rappresentato in figura:

 

P = p – i

Dato il punto (0,0) come origine del sistema di assi cartesiani, si vede velocemente come al crescere del potenziale (stimolo da parte del coach e consapevolizzazione da parte del coachee) la performance aumenti.

 

Se identifichiamo una performance soddisfacente come avente valore positivo, è evidente che maggiore è l’interferenza (retta f, valore ipotetico 2, retta h, valore ipotetico 3), più grande dovrà essere lo sforzo del coachee quale responsabile dell’obiettivo (ma anche del coach come allenatore) per risalire la china ed arrivare alla prestazione desiderata.

 

Per concludere, volendo osare un tantino, potremmo anche legare la formula di Gallwey alla geometria della relazione: se la relazione tra coach e coachee è armoniosa, quest’ultimo sarà in grado di esprimere il proprio potenziale in modo più efficace. La simmetria della relazione, infatti, consentirà al coachee di esplorare liberamente le proprie risorse senza interferenze che si originano dalla relazione stessa. Se invece il triangolo della relazione è squilibrato, ad esempio con un coach che domina troppo la conversazione, il coachee potrebbe percepire interferenze che rallentano o bloccano il processo.

 

Ovviamente, nulla di quanto sopra vuole essere più di quanto non sia effettivamente e cioè un dare voce a osservazioni e curiosità più o meno concrete che, durante il percorso di apprendimento, mi hanno portato, divertendomi, a fare dei collegamenti del tutto estemporanei.

 

 

Bruno Genovese

HR Manager | Veneto

genovese_bruno@fastwebnet.it

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