Categoria: Che cosa fa di un Coach uno strumento di bene?

Categoria: Che cosa fa di un Coach uno strumento di bene?

diventare strumento di bene

Che cosa fa di un Coach uno strumento di bene?

“CUM”

“La vita chiama la vita in un lavoro infinito di costruzione del comune. È la mistica del vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di partecipare a questa marea che ci trasforma in una esperienza di fraternità…”
(parole della scrittrice Szymborska)

Ciò che queste parole veicolano sopra sé stesse è l’importanza della relazione e specificatamente nel Coaching, il ruolo cardine che assume la costruzione di una relazione facilitante.
È a partire da questo primo punto che divenire Coach implica farsi strumento di bene per l’altro (il Coachee).

 

Questione di capitale relazionale

Nel Coaching vige una equazione narrativa: contribuire a sviluppare il potenziale del soggetto (trasformando un capitale latente e virtuoso in risorsa consapevole e agita) equivale alla capacità di tessere una relazione che è anzitutto dialogo (maieutico), incline a muovere il soggetto dialogante (Coachee) nello spazio e nel tempo proattivo, conducendolo ogni volta al punto di un nuovo inizio e facendolo così progredire verso un passo concreto.

 

Nell’analizzare l’espressione si evince:

  • L’importanza del dialogo maieutico: ben più che un semplice conversare declina una comunicazione efficace e una metodologia narrativa capace di accompagnare il Coachee sopra le proprie credenze e resistenze, per poi condurlo a svelare la verità di sé nel dire, nel pensare e nell’ agire. Ogni dialogo maieutico ha la facoltà di immergere simultaneamente il Coachee all’interno di uno spazio e di un tempo personale (Kairos) decostruttivo e costruttivo, dinamico e ricorsivo per profondità e intensità. Non si tratta di rendere il dialogo un mero contenitore di informazioni; si tratta piuttosto di configurarlo fattivamente come un processo che, attraverso l’articolazione di domande efficaci, si definisce e si ridefinisce in funzione degli obiettivi del Coachee, conducendolo passo a passo verso una multiscalarità di consapevolezze sempre più avanzate.
  • La costruzione dei sistemi di fiducia reciproca: un dialogo, affinché possa essere significativamente efficace, deve potersi reggere sopra una dinamica concreta di processi di fiducia, così declinati: fiducia in sé del Coach; fiducia nel Coachee e nel suo potenziale; fiducia nella relazione frutto della centratura “IO sono OK, TU sei OK”; fiducia nel metodo del Coaching quale strumento utile ad attivare la mobilità del Coachee.
  • L’educazione alle 4 “A” facilitanti: affinché un dialogo e quindi una relazione possa essere di qualità e di profondità rivelatrice per un Coachee, un Coach ne diviene responsabile quando sceglie di accogliere in sé le pratiche di Accoglienza, Ascolto, Alleanza, Autenticità. Ciascuna di esse presuppone una specifica modalità del Coach di porsi in relazione con l’altro, rendendo quest’ultimo più aperto e suscettibile alla progettazione di sé e alla sua realizzazione.

 

Di finale…

Come scrive Hannah Arendt in Vita Activa: “Siamo nati per incominciare. Ognuno di noi, nella sua unicità e irripetibilità ha in sé un principio di natalità che si traduce nella possibilità di dare i natali a qualcosa di nuovo.”

 A ben vedere, diventare strumento di bene attraverso la costruzione di una relazione facilitante non è cosa che può condurre un Coach verso una logica prevedibile e convenzionale. Ogni volta diviene imprescindibile saper gestire e organizzare gli elementi di una relazione all’interno di una combinazione originale e inedita, tale per cui l’individuo progressivamente si rivela, si declina, si diversifica e si sviluppa sulla base di un proprium autentico e vitale.

Se ti interessa approfondire l’argomento, leggi questo articolo.

 

In esclusiva per INCOACHING®, testo di Simona Rebecchi – Coach professionista diplomata INCOACHING®

No Comments

Post a Comment

Chiama subito