Categoria: Ascoltare le parole è un audire sentito

Categoria: Ascoltare le parole è un audire sentito

Ascoltare le parole è un audire sentito

Ascoltare le parole è un audire sentito

Quello che facciamo con le parole

“Nelle scienze cognitive si dice che comunicare equivalga a leggere la mente del nostro interlocutore”. Che cosa significa?
La filosofa Claudia Bianchi ci suggerisce la seguente riflessione: se è vero che non abbiamo accesso diretto agli stati mentali degli altri, tuttavia, possiamo conoscere le loro intenzioni comunicative grazie a vari fattori: parole, gesti, argomenti di conversazione.

Le frasi allora che si dicono e si ascoltano divengono tutti indizi di un messaggio.
Il tutto richiede da parte dei parlanti complicità, coordinazione dei tempi di dialogo, disponibilità e apertura. Come si suol dire nei contesti di studio linguistico “l’interpretazione di un messaggio richiede che l’ascoltatore riconosca le intenzioni comunicative del parlante”. Ecco a cosa serve un abile audire sentito.

Attraverso, infatti, l’audire sentito il riconoscimento dell’altro passa per la parola e per il silenzio, in alternanza l’uno con l’altro, mediante accordi emotivi e intenzioni condivise implicite.

Parola del Coachee e silenzio del Coach si abbracciano intorno al principio di una influenza reciproca e di una interazione che riesce a negoziare le differenze di entrambi, per giungere a costituire un legame di alleanza più solido.

Che cosa rende un dialogare più vivido? L’ascolto attivo certamente poiché capace di soddisfare dell’altro il bisogno di essere reale attraverso la concessione di uno spazio di ascolto.

 

Simmetrie emozionali

Ascolto in latino si dice audire, dalla radice auris, cioè, sentire con l’orecchio. Tuttavia, al di là della sua etimologia, ascoltare non intercetta solo una componente fisica.
Piuttosto l’atto di ascoltare associa lo stimolo acustico alla componente psicologica attraverso la quale si genera poi attenzione e apprendimento.
Nel linguaggio comune poi, la parola ascolto è associata a verbi significativi, espressivi di attitudine verso l’altro, disposizione e apertura: per esempio rimanere in ascolto, dare ascolto, prestare ascolto.
Non si tratta di un ascolto passivo. Il tutto richiede che il soggetto ascoltante abbia la capacità di dare spazio e tempo di narrazione, sia di contenuto e sia del modo in cui viene espresso.

Nel Coaching poi un audire sentito ha la capacità di coniugare due prospettive ad un tempo complementari e circolari: una prospettiva intenzionale centrata sul parlante Coachee e una prospettiva interazionale, intersoggettiva, che nasce dallo scambio comunicativo dei due interlocutori.

La psicologia ce lo ricorda sempre: la vita della mente inizia nel sentire, procede nel percepire, si realizza nel concepire e poi nel pensare si fa chiarezza.
Parafrasando in chiave Coaching: trattasi di un percorso a spirale che muove le consapevolezze intime e interiore del Coachee verso una mobilità di coscienza nuova e inaspettata, verso una voce profonda e autentica.

Un audire sentito risponde alla seguente essenza: la vita della mente si attiva con il sentire da cui provengono sensazioni, senso e sentimento. Sentire è un momento sorgivo, ingenuo e immacolato che non mente mai. È sincero e salvifico.  Non è tutto qua.

Nel silenzio del Coach, in ascolto del Coachee, sensazione e percezione compaiono con maggior chiarezza. Soprattutto la percezione poiché risponde ad una elaborazione soggettiva del Coachee.
Si giunge così ad una prima comprensione istintiva anch’essa non sufficiente in sé per consolidare un insight autentico del Coachee.
È in questa fase che ascoltare impegna ad un lavoro di intelligenza nel senso più stretto di intelligere cioè leggere tra le righe, cogliere e accogliere.

Proprio l’essenziale colto da quest’atto interpretativo diviene concetto, cioè un concepito quale frutto di una relazione tra sentire, pensare e la realtà. Il concepire è un atto organizzativo e attivo del processo conoscitivo che consente di fare luce sulle sensazioni portando entrambi gli interlocutori verso una maggiore comprensione reciproca.

L’ascolto attivo da parte del Coach investe allora la sua sensibilità e capacità empatica, tale da rendere il Coachee protagonista attivo e responsabile dei suoi stati mentali ed emozionali.

Siamo tutti vulnerabili nel dialogo intimo con noi stessi e con l’altro. Spesso la sensibilità viene accolta come un punto debole del proprio carattere.
Proprio nel Coaching e nella pratica di un audire sentito si può toccare con mano quanto si dice per la filosofia: una coscienza sensibile è tale quando è capace di discriminare con raffinatezza sopra la complessità, divenendo capace di verità nell’esercizio del sentire.

Se sei interessato a diventare Coach, leggi questo articolo.

 

 

 

 

In esclusiva per INCOACHING®, testo di Simona Rebecchi – Coach professionista diplomata INCOACHING®

1 Comment
  • Valeria Micucci Juilhard

    19 Luglio 2024at12:57 Rispondi

    … infatti! AUSCULTARE diceva il mio Maestro Giorgio Albertazzi quando incarnava i versi di Dante, di D’annunzio, di Shaksespeare … Anche il medico ausculta il cuore di un paziente. La mente non basta. Anche il corpo dice e tace. Silenzio di parola, ma anche di azioni, come pure parola verbale e espressione fisica … Se il coach fa dapprima silenzio in sé, predispone il coachee ad un silenzio di raccoglimento e di accoglienza possibile. Per Marcel Mauss d’altronde il DONO ha un duplice movimento d’interazione tra colui che dona e colui che riceve il dono. Tra coach e cochee un ‘onda va e viene e qualcosa di buono si pesca sempre.
    L’auscultare sottintende poesia, il che è cosa BELLA!
    Valeria Micucci Juilhard

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