Abbandonare le maschere sociali e riconquistare la propria identità

Categoria: Abbandonare le maschere sociali e riconquistare la propria identità

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Abbandonare le maschere sociali e riconquistare la propria identità

Il contributo del Coaching nella riscoperta di chi siamo e dello scopo per cui siamo qui

Viviamo di apparenze. Basiamo la nostra vita sull’inganno. Indossiamo maschere sociali per nascondere chi siamo veramente ed essere accettati dagli altri, acclamati sul palcoscenico della vita. Nascondiamo la nostra vera identità per vendere al mondo un personaggio che non ci appartiene, perché quella è la maschera giusta per andare in scena, è l’immagine che il mondo esterno si aspetta da noi.

Le maschere sociali, secondo la psicologia junghiana, sono i ruoli che interpretiamo, gli status nei quali ci identifichiamo, gli abiti di circostanza che indossiamo a seconda del contesto in cui ci troviamo, delle persone e delle situazioni che ci stanno intorno: lavoro, famiglia, amici, ecc. Ogni maschera ci dice esattamente come muoverci, come relazionarci, che immagine dare di noi in una determinata situazione. Così, entrando e uscendo ogni giorno dai vari ruoli, alla fine ce ne identifichiamo al punto di convincerci di essere quei ruoli.

Ma noi non siamo quei ruoli. Eppure siamo quotidianamente chiamati ad impersonarli e quotidianamente costringiamo noi stessi ad atteggiarci in un modo preciso, a seconda dell’occasione che ci si presenta. La maschera è la modalità con cui noi ci presentiamo agli altri e, di fatto, condiziona e ci allontana dal nostro vero Sé, dalla parte più autentica e spontanea di noi. Se ne rimaniamo ingabbiati condanniamo noi stessi a vivere in modo coattivo, ripetitivo, automatico.

 

Perché abbiamo bisogno di infilarci delle maschere?

Perché viviamo in una società dominata dall’apparenza, dal culto dell’immagine, dove l’unico modo per guadagnarci un posto al sole è adattarci al mondo e corrispondere alle aspettative degli altri indossando il nostro miglior sorriso. Perché siamo succubi del consumismo, tutta la nostra vita ne è determinata e dominata. Viviamo nell’illusione di essere liberi. La verità è che siamo controllati a vista dalle strategie della civiltà dei consumi che impone l’adattamento ad archetipi prestabiliti. Il consumismo ci spinge all’omologazione di massa, all’annullamento della nostra unicità.

Il consumismo ci offre mille distrazioni e ci spinge a incentrare la nostra vita sul cibo, sui piaceri, sui divertimenti, sul denaro, sul possesso, sulla carriera, sull’apparire secondo gli standard proposti e imposti. Il sistema ci convince, ci adesca, ci obbliga a volere sempre di più, a essere in un certo modo. Pena l’esclusione. Per rincorrere l’applauso recitiamo parti, interpretiamo ruoli, indossiamo maschere, adottiamo comportamenti  lontani  dalla nostra  vera  natura. Abbiamo paura di apparire diversi.

Il risultato è che annulliamo noi stessi solo per integrarci nella società, sperperiamo i nostri beni per conformarci al voleredella massa, adattiamo i nostri comportamenti alle convenzioni sociali, aderiamo senza riserve alle condizioni imposte dal gruppo. Il tutto per ricevere in cambio accettazione, approvazione, riconoscimento, valore. Agiamo e reagiamo per routine e andiamo avanti in una serie di comportamenti già stabiliti, fissati, con pochissime varianti, con pochissima libertà.

Così, rinunciamo alla possibilità di essere ciò che siamo, di riconoscerci, di condurre una vita significativa in cui siamo noi stessi, in nome delle apparenze e/o per paura di essere giudicati. Un prezzo alto da pagare che di certo non apre le porte della felicità, casomai della solitudine e della frustrazione. Possiamo, dunque, credere davvero di non meritare niente di più, che essere autentici non paghi, che la vita sia tutta qui?

 

Ciascuno di noi è unico ed è qui per realizzare il suo scopo

Qual è lo scopo per cui veniamo al mondo? Qual è il senso della nostra vita? Molti se lo domandano. Un’interpretazione interessante è descritta nel libro Il codice dell’anima dello psicologo junghiano J. Hillman a proposito della Teoria della ghianda.Secondo questa teoria ogni individuo fin da bambino, esattamente come una piccola ghianda, racchiude già in sè tutte le potenzialità che gli serviranno per diventare una bellissima e maestosa quercia. Ogni persona è dunque portatrice di una unicità che richiede di essere vissuta, che è già presente ben prima di poter essere vissuta.

L’idea viene da Platone, dal mito di Er, secondo cui prima della nascita l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine rappresentativa, un disegno (che poi vivremo sulla terra) e riceve un compagno, un daimon che è unico ed è il portatore del nostro destino, del nostro carattere, della nostra vocazione, della nostra chiamata. Nel venire al mondo ci dimentichiamo di tutto questo ma il daimon,che ha a cuore il nostro interesse (non a caso ci ha scelti per il proprio) ed è qui per ricordarci gli elementi del disegno prescelto, scalpita affinché la nostra unicità e i nostri talenti si esprimano. Così si fa sentire nei modi più strani e diversi, inventa e insiste con ostinata fedeltà, non ci lascia mai e spinge affinché il nostro destino si compia.

Nei primi anni di vita le sue manifestazioni sono più evidenti, poiché i condizionamenti esterni non sono ancora così forti. Non per niente, i bambini piccoli sono spontanei, sono anime pure, non portano maschere. Sono unici per natura. Mostrano chi sono senza paura, senza vergogna, senza giudizio. Sono liberi da schemi e convenzioni. Non sono i loro successi, la posizione sociale, quello che fanno o quello che possiedono a definirli, ma la loro unicità.

Crescendo, poi, qualcosa inizia a cambiare. Iniziano le regole, le etichette, i condizionamenti dell’ambiente esterno. A causa di questi condizionamenti, senza quasi rendercene conto, iniziamo a prendere accordi con noi stessi: come comportarci nella società, in cosa credere e in cosa non credere, le esperienze verso cui ci muoveremo nella vita e quelle da cui faremo di tutto per fuggire, cosa è accettabile e cosa non lo è, ciò che è bene e ciò che è male, bello e brutto, giusto e sbagliato.

Sulla base di questi accordi, inoltre, impariamo a giudicare noi stessi e gli altri, a misurare il nostro valore, a uniformarci agli standard richiesti, a essere (troppo spesso) ciò che non siamo (ecco le maschere!) e a fare certe cose solo per ricevere l’attenzione, l’amore e l’approvazione altrui, perché quelle sono le cose che gli altri (genitori, fratelli, amici, insegnanti, sacerdoti, società, ecc. ecc.) si aspettano da noi.

Così, per paura di essere rifiutati, iniziamo a indossare delle maschere e gli accordi presi diventano il nostro personale sistema di credenze, le nostre interpretazioni della realtà, le nostre convinzioni, le nostre resistenze, i nostri schemi, le nostre regole, le nostre verità. E in base a questi accordi poi ci comportiamo, reagiamo a ciò che ci succede, emettiamo giudizi, leggiamo nel pensiero, facciamo profezie, prendiamo decisioni. In molti casi, poi, i nostri talenti finiscono in cantina, la nostra vocazione in soffitta e succede che ce ne dimentichiamo.

E la ghianda? Rimane lì, inespressa, con ancora in sé tutte le potenzialità per diventare una bellissima e maestosa quercia. Il daimonperò non si dà per vinto. In tutte le persone esiste, infatti, una tensione innata all’autorealizzazione (eudaimonia), alla realizzazione del proprio scopo e del proprio benessere che fa sì che, in momenti inaspettati, il daimontorni all’attacco e ci metta di nuovo in contatto con la nostra vocazione.Se in quei momenti siamo pronti a cogliere questa vocazione, ecco che di colpo arriva la folgorazione, l’intuizione, l’insight. Improvvisamente ci svegliamo dal nostro sonno e ci rendiamo conto di qualcosa che fino a un attimo prima non riuscivamo a vedere e/o a capire.

 

Chi sei tu? Riconoscersi al di là delle maschere

Sir J. Whitmore (1937-2017), ideatore del modello G.R.O.W. [1]e autore del best seller Coaching for Performance, riteneva la consapevolezza di sé, ovvero la conoscenza di sè, della propria unicità e del proprio potenziale un passaggio fondamentale per la propria realizzazione. Questa conoscenza era già cara a T. Gallwey, padre del Coaching e ideatore dell’Inner Game, nonché a Socrate che fece del celebre motto “Conosci te stesso” il cardine del suo pensiero filosofico.

La conoscenza di sé diventa dunque il riconoscere chi siamo attraverso un cammino di profonda ricerca interiore, una sorta di viaggio dentro se stessi che ha come fine quello di riportare alla luce il nostro Sé più autentico. Un viaggio che ci porterà a riconoscere le maschere sociali che ci tengono prigionieri, a riconsiderare le nostre credenze, le convinzioni e il significato attribuito alle esperienze e agli eventi vissuti. Un viaggio trasformativo che ci porterà finalmente a darci il permesso di realizzare noi stessi in accordo con la nostra vera natura, con l’unicità del nostro daimon.

Una sfida senz’altro coraggiosa nel tempo presente dominato dall’apparenza, dai ruoli in cui ci identifichiamo, dalle convenzioni e dai condizionamenti che accettiamo. Un tempo presente dove il giudizio e il confronto sono all’ordine del giorno, dove il bisogno di essere accettati è più forte di quella vocina che dentro di noi urla per essere ascoltata. Un tempo presente dove è più facile raccontarsi scuse, etichettare le persone (noi compresi), fare le vittime, incolpare gli altri, il tempo, il governo, la sfortuna, Dio, piuttosto che fermarci a capire chi siamo e assumerci la responsabilità della nostra vita.

La verità è che la nostra unicità ci fa paura. Così preferiamo tradirla, soffocarla, indossando delle maschere per confonderci con la massa e comportarci come tante pecore bianche, tutte uguali tra loro. Eppure siamo unici e siamo nati per risplendere. Diventarne consapevoli è il primo passo verso l’autorealizzazione. Quel volerci omologati al resto del mondo, non ha nulla a che fare con il nostro daimone i nostri desideri più veri.

Noi siamo molto di più dei nostri comportamenti, del nostro lavoro, dei nostri risultati, della nostra esteriorità. Quel volerci spingere a vivere una vita piena di obblighi e schemi da rispettare, non ci appartiene e ci sta facendo lentamente morire dentro. Il nostro compito principale in questa vita, parafrasando lo psicanalista tedesco E.S. Fromm (1900-1980), è dare origine a noi stessi, trasformandoci in tutto ciò che siamo in grado di essere. Per fare questo l’unica scelta possibile è abbandonare le maschere sociali che ci siamo costruiti per piacere, compiacere ed essere accettati dagli altri, riconoscere chi siamo e tornare da dove siamo partiti.

 

Diventa ciò che sei

Diventare ciò che si è, coltivare i propri talenti di persona unica e irripetibile, significa vivere concretamente la propria vita, in una tensione verso il benessere e l’autorealizzazione.[2]Come sosteneva C.G. Jung, il padre della psicologia analitica, la prima condizione per diventare se stessi è però conoscersi, conoscere le proprie potenzialità, la propria aretèe far fiorire ciò per cui si è nati. Diventare ciò che si è implica staccarsi dai modelli imitativi seguiti, andare oltre le cose che ci vengono mostrate, uscire dai comportamenti collettivi e concentrarsi sulla propria unicità. Un passaggio necessario se si vuole raggiungere la felicità.Riconoscere chi siamo e vivere assecondando la nostra natura è il solo modo che abbiamo per produrre quegli effetti e creare quelle realtà che sono nel nostro compito, nel nostro destino.

La buona realizzazione del proprio daimon richiede dunque la presa di coscienza e la valorizzazione delle proprie risorse interiori, al fine di tradurle in azioni concrete che ci permetteranno di avanzare, passo dopo passo, nel nostro percorso e saranno funzionali al raggiungimento del nostro scopo. Riscoprire chi siamo per diventare quello che siamo significa smetterla di affidare la nostra identità al mondo esterno, significa andare al di là delle nostre paure più grandi, delle nostre zone di comfort, dei nostri ruoli, delle nostre credenze e resistenze, delle nostre regole, delle nostre abitudini limitanti. Ed è più facile farlo di quello che la mente voglia farci credere. Non ci sono pericoli, solo opportunità. Il vero pericolo è non aprirsi al cambiamento e accontentarsi di vivere una vita priva di passione, di senso, di felicità.

A ciascuno di noi è stato dato un potenziale, dei talenti in cui credere, da coltivare e condividere. Occorre iniziare ad agire nel pensare, nel dire e nel fare al meglio delle proprie possibilità e avere la forza e il coraggio di manifestare e vivere la verità del proprio daimon. In questi termini, il ruolo di un percorso di Coaching può essere determinante nel ricondurci su una via eudaimonica. Secondo il modello C.A.R.E.®[3], infatti, l’eudaimonia è una Meta-potenzialitàche può essere allenata. In veste di Coachee, supportati e stimolati da domande, rimandi, esercizi, tecniche e strumenti a disposizione del Coach e aiutati dalla relazione facilitante, possiamo intraprendere un vero e proprio viaggio dell’eroe. Un viaggio che ci permetta di maturare consapevolezza di noi stessi, delle nostre potenzialità e del nostro valore come esseri umani.

Un viaggio che ci aiuti a comprendere quanto imparare a prenderci cura di noi sia il viatico per la felicità e la realizzazione personale. Un viaggio che ci aiuti a uscire dai meccanismi che ci bloccano e abbandonare gli automatismi, le abitudini e i modi di essere che non sono più funzionali al nostro percorso. Un viaggio che ci conduca all’individuazione, alla valorizzazione, all’allenamento e all’utilizzo delle nostre potenzialità caratterizzanti. Un viaggio che ci conduca altresì alla scoperta di ciò che veramente ci fa battere il cuore e ci motiva nel profondo, così da manifestare compiutamente la nostra identità e il senso della nostra esistenza.

Ciascuno di noi merita di dare il proprio contributo al mondo, di farlo in maniera unica e vivere una vita piena di significato e soddisfazione. La buona notizia è che, come sostiene lo psicologo canadese A. Bandura, abbiamo la facoltà di far accadere le cose, di intervenire sulla realtà, di produrre con le nostre azioni gli effetti che desideriamo. La scelta di imbarcarci in questo viaggio di riscoperta di chi siamo e dello scopo per cui siamo qui è, dunque, nelle nostre mani.

 

 

Valeria Antonelli

Professional Life & Well-being Coach
Milano
valeria@youmint.it
www.youmint.it

 

Note:

[1] Goal – Reality – Options – Will.

[2] A. Pannitti, F. Rossi. L’evoluzione del Coaching.

[3] Il modello C.A.R.E.®e i concetti di meta-potenzialitàe crisi di autogovernosono di proprietà intellettuale della scuola INCOACHING®.

 

Riferimenti bibliografici

  • Hillmam. Il codice dell’anima. Gli Adelphi
  • G. Jung. L’io e l’inconscio. Bollati Boringhieri
  • Pannitti, F. Rossi. L’evoluzione del Coaching. Franco Angeli
  • Pirandello. Uno, nessuno e centomila. Einaudi
  • Don M. Ruiz. I quattro accordi. Il Punto d’Incontro
  • T. Terzani. La fine è il mio inizio. Longanesi

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