Categoria: Auto Coaching: si può essere Coach di se stessi?

Categoria: Auto Coaching: si può essere Coach di se stessi?

Auto Coaching: si può essere Coach di se stessi?

Ricordo che alcuni mesi fa, prima ancora di decidere di fare questo “percorso” nel mondo del “Coaching”, cercando in rete per capire un po’ di cosa trattasse l’attività di Coaching, arrivai su consiglio di un amico, al sito di Incoaching e vidi il testo del corso “L’essenza del Coaching”, incuriosito approfondii la ricerca e ne trovai disponibile in rete l’introduzione, nella lettura rimasi particolarmente colpito da un periodo che ho ancora chiaro nella mia mente e che recitava: “Pertanto questo manuale non solo vi accompagnerà nell’apprendimento graduale del metodo del Coaching, ma vi condurrà anche in un affascinante percorso di crescita personale alla scoperta della vostra unicità e della possibilità concreta di diventare protagonisti del vostro futuro”. Rimasi così colpito che la situazione mi portò a riflettere su quanto sia importante soprattutto oggi la crescita personale di ogni individuo, e quanto questa crescita possa essere autodeterminata attraverso la scoperta delle proprie potenzialità.
Più tardi, dopo aver deciso di fare il “percorso” formativo, ho appreso durante la lezione introduttiva che il Coaching trova origine nel testo di W. Timothy Gallwey “Il gioco interiore del Tennis” (“The Inner Game of Tennis”), decisi allora di comperare il libro, anche come giocatore e appassionato di tennis, così che nel periodo delle vacanze di Natale, durante la lettura ho trovato interessantissimo il capitolo in cui si parlava dei due sé in particolare nel passaggio in cui Gallwey scrive: …“sono io che parlo con me stesso”. Ma chi è “io” e chi è “me stesso”? Ovviamente “io” e “me stesso” sono entità separate, altrimenti non ci sarebbe conversazione.
Ed infine nell’ultimo periodo del “precorso”, durante al lettura del libro, consigliato dai docenti, “Chi ha spostato il mio formaggio?” di Spencer Johnson ho inconsciamente riflettuto soprattutto sul percorso di Ridolino, lo gnomo che più degli altri ha determinato il proprio successo, attraverso l’ascolto interiore dei propri bisogni che lo hanno portato a determinare la sua felicità attraverso la valorizzazione delle proprie potenzialità in una continua ricerca nel suo profondo “sé” delle risposte a tutte quelle domande che per molto tempo lo hanno prima frenato e poi accompagnato in un lungo viaggio di scoperta e recupero della sua “quantità di formaggio” indispensabile al raggiungimento della felicità.
Questi tre passaggi fondamentali del mio “percorso” di Coaching sono stati illuminanti probabilmente mi hanno dato gli elementi per fondare la convinzione che ognuno di noi può attraverso l’applicazione del metodo fornito dal coaching arrivare a valorizzare le proprie potenzialità e quindi essere in grado di diventare il protagonista del proprio futuro. L’uomo infatti ha in sé la capacità di risolvere i problemi e di attuare una propria strategia di vita, l’individuo può trovare in sé il potenziale per trasformare pensieri e emozioni in azioni tese a migliorare sé stessi.

 

Cos’è il Coaching?
Possiamo definire il Coaching una disciplina che favorisce lo sviluppo delle potenzialità del Coachee in relazione ad uno specifico obiettivo attraverso azioni di supporto e di stimolo al raggiungimento della consapevolezza delle proprie potenzialità.
Il coaching è quindi uno strumento che aiuta a diventare consapevoli delle proprie potenzialità, scoprendo le adeguate strategie per raggiungere i propri obiettivi.
Il coaching infatti è fondato su un metodo a sostegno del Coachee, in uno stretto rapporto di relazione con il Coach, il quale aiuta attraverso l’ascolto attivo e molteplici domande ad individuare specifici obiettivi e i relativi piani d’azione atti a conseguirli, avvalendosi di un prezioso e costante allenamento.
Le figure del rapporto di coaching Coach e Coachee hanno ruoli ben definiti e che garantiscono un processo di crescita autodeterminata solo se tali ruoli vengono rispettati, infatti il Coach è un esperto di metodo, e non di contenuto, il lavoro principale che deve svolgere è considerare sempre il Coachee come centro dell’attività per aiutarlo a prendere coscienza delle proprie potenzialità e di conseguenza valorizzarle per la sua crescita.

 

La Relazione di “auto” Coaching
Definito in chiave generale cos’è il coaching, viene spontaneo pensare che tutto si fondi sul rapporto tra due figure che nel loro interagire contribuiscono alla presa di coscienza e alla conseguente valorizzazione delle potenzialità del Coachee attraverso un metodo che è detenuto dal Coach; è quindi poco probabile che questo possa avvenire se le due figure risultano essere la stessa persona, ma i forti dubbi iniziali sul fatto che si possa essere Coach di sé stessi in parte li ho superati apprendendo che Gallwey in qualità di inconsapevole fondatore del Coaching, come ho citato nell’introduzione, introduce l’idea che in ogni individuo esistono due entità che continuamente si rapportano in un continuo “dialogo”, così da formare quel binomio imprescindibile per creare la relazione di coaching, ma che in questa situazione atipica devono comunque rispettare i ruoli, e Gallwey stesso ci aiuta nei suoi scritti a comprendere che come il Coach e il Coachee anche il Sé 1 e il Sé 2 definiscono un rapporto tra due entità separate, scrive infatti: “immaginate che invece di essere parte della stessa persona, Sé 1 (chi dice) e Sé 2 (chi fa) siano due persone separate”.
Il problema successivo da affrontare è ora legato alla possibilità di applicare il metodo in una condizione in cui le due figure chiave Coach e Coachee sono la stessa persona, soprattutto per tutto ciò che riguarda la relazione, è infatti questa alla base del livello di riuscita dell’intervento di coaching, anche e soprattutto nella geometria dei rapporti che deve essere simmetrica nell’interazione per consentire un livellamento delle posizioni al fine di consentire un processo di esplorazione, e di scoperta e di costruzione di consapevolezza comune, complementare nei ruoli per garantire che ogni ruolo sia rispettato e distinto rispetto a quello dell’altro e asimmetrica nei contenuti perché nel processo si parla solo ed esclusivamente del Coachee e mai del Coach che invece si pone come mezzo per facilitare il processo.
Tutto questo è possibile, a mio modo di vedere, nel caso di coaching con sé stessi nel momento in cui si hanno chiare le motivazioni del processo che fondano le basi sull’autoascolto per poter conseguire quel grado di autoconsapevolezza finalizzato al conseguimento dei propri obiettivi, e possiamo dire pertanto che l’interazione simmetrica è possibile a patto che si acquisisca la capacità di non giudicarsi sempre e comunque ma si punti invece alla obiettiva presa di coscienza delle cose o delle situazioni, possiamo confermare la complementarietà dei ruoli in quanto separati e distinti ed infine l’asimmetria nei contenuti che sono portati alla luce dal “Sé che fa” e che ha l’obiettivo di migliorarsi.

 

Le quattro “A” nella relazione di “auto” Coaching*

Accoglienza

Se facilmente siamo portati a credere che nessuno più di noi stessi può capire di cosa abbiamo bisogno per metterci a proprio agio, ed essendo noi stessi la persona da accogliere, potremmo con estrema superficialità pensare che l’”auto accoglienza” sia una condizione naturale nel processo di autocoaching, ed invece nella condizione di difficoltà o smarrimento in cui ci troviamo spesso per intraprendere un percorso di coaching siamo molto severi e giudicanti nei nostri confronti e probabilmente i nostri Sé 1 e Sé 2 sono in aperto conflitto, condizione questa non ideale perché sappiamo bene che ciò comporta rottura in qualsiasi rapporto di dialogo, quindi bisogna passare attraverso la distensione del rapporto con il Sé giudicante che deve arrivare ad accettare la situazione con l’obiettivo di svoltare e dare inizio al cambiamento puntando l’attenzione su cosa si ha di positivo da sfruttare in termini id potenzialità e non continuare sulla strada della critica gratuita su tutto ciò che non ci appartiene in termini di capacità.

Ascolto

Se la capacità di ascolto del Coach, in un rapporto di coaching normale, è una competenza essenziale perché da un lato favorisce la raccolta delle informazioni, dall’altro consente di assumere il punto di vista del Coachee ed i sui obiettivi, in un rapporto di auto coaching è ancora più una condizione necessaria per poter con il profondo silenzio riflettere, e poter creare lo spazio affinché il “Sé che fa” da solo difronte ai propri pensieri possa avanzare nel suo processo di autocomprensione e autodeterminazione e quindi di sviluppo, creando una condizione di distacco da sé stressi tale per la quale riusciamo a vederci dal di fuori come se fossimo un’altra persona, acquisendo con chiarezza i motivi del nostro disorientamento ed innescando quel processo di formulazione di domande volte al superamento della condizione di malessere, che lentamente ci porterà non solo a non giudicarci in modo negativo, ma anche e soprattutto ad accettarci per quello che siamo e finalmente a valorizzare i “talenti” di cui disponiamo.

Alleanza

Nella relazione di coaching l’aderenza caratterizzata da un atteggiamento positivo e di fiducia incondizionata nel Coachee, è un elemento imprescindibile per facilitare la relazione, e quindi se davvero abbiamo un obiettivo chi può essere il migliore alleato di noi stessi in un percorso di auto coaching, con tali premesse è facile cadere nell’errore di affermare l’alleanza tra “io” e “me stesso”, ma anche in questo caso non possiamo dare per scontato che l’alleanza in un rapporto di auto coaching si scontata e naturale, infatti un po’ per le condizioni ambientali, e un po’ per paura ma anche per le nostre debolezze, spesso siamo noi i nostri primi avversari, e anche in questa situazione Gallwey è illuminante e ci dice che la partita più difficile da vincere è quella contro la nostra mente e quindi contro noi stessi, e che quindi solo quando i nostri due sé raggiungono l’armonia si può dare il meglio, facendo emergere al massimo le proprie potenzialità, in uno stato di completa alleanza, senza giudizi lasciando che le cose accadano, scoprendo che nulla accade per caso, ma è il risultato di un lavoro di acquisizione di consapevolezza e autodeterminazione mirato all’ottenimento dei nostri obiettivi, trovando fiducia in sé stessi.

Autenticità

Accoglienza, ascolto e alleanza per essere efficaci devono svilupparsi in un contesto di autenticità del Coach, al contrario il Coachee nel percepire la mancanza di tale condizione, innesca meccanismi di autodifesa che compromettono il rapporto e di conseguenza la relazione, distruggendo già nel nascere tutti i presupposti per garantire il risultato, infatti probabilmente verrebbero a mancare in ogni fase della relazione le opportunità di far emergere le situazioni necessarie alla presa di coscienza del Coachee che non sentirebbe nel Coach la persona adatta a percorrere il tortuoso sentiero che porta alla consapevolezza e di conseguenza all’autodeterminazione. E anche in questo caso non è scontato che nel rapporto con sé stessi siamo sempre autentici e la dimostrazione pratica la troviamo nelle continue giustificazioni che riusciamo a darci per convincerci che non siamo in grado di fare, non siamo in grado di arrivare, non siamo in grado di… giustificazioni che a lungo andare ci portano ad errate convinzioni, e che garantiscono posizioni di comodo dove possiamo oziare e seguire le correnti senza dover investire energia che costa fatica e ci mette in discussione con noi stessi.

 

Conclusioni
Porsi nella condizione di ascoltare attivamente sé stessi per stabilire un rapporto interiore che faccia emergere le nostre più complesse situazioni di disagio o anche più semplicemente di scontento, non è semplice, ma possibile, anzi auspicabile per trovare quelle risposte a tutte quelle domande che quotidianamente ci assillano, ma che spesso evitiamo o fingiamo di non sentire o che addirittura ci fanno mentire a noi stessi, per pigrizia, per mancanza di tempo, per condizioni ambientali e soprattutto per mantenere quei rapporti che riteniamo indispensabili a soddisfare i nostri bisogni, ricordiamo la posizione di Ridolino in “chi ha spostato il mio formaggio?”, lo gnomo che per molto tempo ha assecondato le posizioni del compagno Tentenna fino al giorno in cui formula una nuova domanda diversa dalla solita “dov’è finito il mio formaggio?”, la nuova domanda era “perché non mi sono svegliato prima e non mi sono spostato anch’io subito insieme con il formaggio?” Considerazione che finalmente lo porta ad uscire dal luogo che per molto tempo aveva soddisfatto ai suoi bisogni, non solo in termini di nutrimento, ma di confort e agiatezza, e subito scopre la paura e scrive a monito sul muro che trova li vicino “che cosa fareste, se non aveste paura?” “E prese a riflettere su quanto aveva scritto, era diventato consapevole che talvolta alcune paure possono essere positive”, e comincia così quel processo di auto coaching che lo porta ad esplorare nel profondo del suo essere e a scoprire le proprie potenzialità che con il tempo lo porteranno alla consapevolezza per definire gli obiettivi che raggiungerà con “metodo” nella ricerca, indossando scarpini e tuta da ginnastica che ci lasciano immaginare il concetto più vicino all’allenamento dove lui è chiaramente Coach di sé stesso.
Oggi più che mai in un mondo in continuo cambiamento ritengo che alla base della soddisfazione personale di ogni individuo ci sia la ricerca di quegli equilibri utili e necessari all’autorealizzazione in termini di conseguimento di obbiettivi, di ogni genere e sorta per il raggiungimento della felicità.
L’autocoaching quindi, a mio modesto parere si può fare e si rivolge a chiunque voglia migliorare la propria performance in vari ambiti, ampliare o chiarire la propria visione di vita, risolvere conflitti interpersonali, orientare scelte lavorative o aumentare la propria motivazione, con i limiti sopra descritti legati alla mancanza del rapporto tra due persone, aiuta comunque attraverso l’applicazione del metodo a condurci in un affascinante percorso di crescita personale alla scoperta della nostra unicità e della possibilità concreta di diventare protagonisti del vostro futuro, esplorando le nostre potenzialità per garantirci attraverso un “allenamento” costante, fondato su piani d’azione, la realizzazione di micro o macro obiettivi, che messi insieme formano quel complesso e articolato mondo di soddisfazioni che portano a garantire i bisogni personali.

 

 

Marco Dei Rossi
Libero professionista (Architetto), Consulente aziendale/formatore per la sicurezza in ambienti di lavoro
Venezia
mdeirossi14@gmail.com

 

*Nota: 4 “A” della relazione facilitante nel Coaching è un concetto di proprietà intellettuale della Scuola INCOACHING, vedi “L’essenza del Coaching (Franco Angeli, 2012).

No Comments

Post a Comment

Chiama subito