Categoria: Il mio viaggio nel Coaching

Categoria: Il mio viaggio nel Coaching

Il mio viaggio nel Coaching

Percorso di autoconsapevolezza, apprendimento e riflessione

 

1.INTRODUZIONE

 

In questo breve testo intendo ripercorrere il mio percorso di apprendimento che ha viaggiato su un binario parallelo alla frequentazione del corso “Professional Coaching” e che, è stato, da quest’ultimo, costantemente alimentato e stimolato.

 

Lavoro da quasi 25 anni in un contesto stimolante da un punto di vista scientifico e relazionale, da quasi una decina d’anni ricopro un ruolo manageriale e per vicissitudini personali negli ultimi cinque anni ho fatto molta introspezione.

 

All’inizio d questo corso, mi aspettavo di apprendere principalmente tecniche e nozioni ma sono stata piacevolmente sorpresa dallo stimolo arrivato a guardarmi nuovamente dentro e dalla scoperta di informazioni nuove. Ed ecco che questa esperienza ha rappresentato una opportunità per aumentare la mia auto-efficacia (N.d.A. ispirazione da A. Bandura): ho toccato con mano un’esperienza (sono stata alunno, coachee e coach), ho ascoltato e visto l’esperienza di altri e ho dedicato, prendendomi cura di me, tempo per accrescere le mie competenze.

 

2. CONSAPEVOLEZZA DI SÉ

 

1. RIFERIMENTI NORMATIVI

Riporto di seguito un estratto dalle competenze AICP che è stato per me fonte di riflessione: Competenza 1, la Consapevolezza di sé: “Competenza che attiene alla conoscenza di sé, dei propri valori e potenzialità, al coaching mindset, al processo di coaching e ai suoi strumenti”.

 

  • CAPACITÀ

          – Il coach è in grado di fare una autovalutazione accurata delle proprie risorse

          – Comprende i propri punti di forza e le aree di miglioramento e i loro effetti sulla interazione con gli altri

          – Crea una pratica riflessiva per migliorarsi e apprendere dalla esperienza

 

  • COMPORTAMENTO

          – Si dedica all’ autosviluppo e all’ aggiornamento

          – Esercita un autocontrollo su di sé, su abitudini e schemi di pensiero

          – Riconosce gli stati emotivi propri e del coachee e si comporta in coerenza ai propri valori e credenze”

 

Leggendo nella prima lezione questo testo, rimasi con un punto interrogativo importante per me: come mai tanta enfasi sul coach come individuo?

 

Concetti analoghi sono sottesi, anche se meno espliciti, nelle competenze ICF in più punti.

 

È stata la lettura combinata delle due, unitamente all’esperienza di percorso, che mi ha permesso di capire, che la consapevolezza di sé, e la così detta “centratura”, sono fondamentali per poter spostare l’attenzione sul coachee e metterlo al centro della scena.

 

Questo aspetto mi ha portato a un parallelismo con il ruolo del manager: in un colloquio a due con il collaboratore, spesso manchiamo di efficacia perché ci sentiamo messi inconsciamente in discussione (nei modi, nei metodi) e questo accade perché siamo ancora troppo “al centro del palco”. In queste situazioni, il collaboratore ci sta lanciando un messaggio su di sé e le così dette “domande da coach” potrebbero aiutarci a capirlo maggiormente, a conoscerlo meglio e a verificare la presenza di interferenze come alcune convinzioni limitanti.

 

 

2. TEORIA DELLA AUTODETERMINAZIONE 

Nel mio viaggio sul treno della consapevolezza, è stato fondamentale fermarsi su questa teoria.

Rielaborando in breve la teoria dell’autodeterminazione, sviluppata da Edward L. Deci e Richard M. Ryan, ci parla di motivazione umana che si concentra sulle tendenze di crescita innata e sui bisogni psicologici delle persone. Ci sono tre bisogni psicologici fondamentali che motivano il comportamento auto-determinato:

  • Autonomia: il desiderio di essere agenti causali delle proprie azioni e di avere il controllo sulle proprie scelte.
  • Competenza: il bisogno di sentirsi efficaci e capaci di raggiungere i propri obiettivi, di apprendere, di ricevere feedback.
  • Relazione: il bisogno di sentirsi connessi e accettati dagli altri.

Questi tre bisogni non sono inter-compensabili.

 

La teoria dell’autodeterminazione distingue tra motivazione intrinseca ed estrinseca. La motivazione intrinseca si riferisce all’inizio di un’attività perché è interessante e soddisfacente in sé, mentre la motivazione estrinseca si riferisce a fare un’attività per ottenere un obiettivo esterno.

È stato quindi estremamente efficace potermi sperimentare con il work-in della “ruota dell’auto-determinazione”.

Il potermi focalizzare, in un tempo ragionevolmente breve su quali siano le relazioni che soddisfano al meglio il mio bisogno, capire cosa soddisfa oggi il mio bisogno di imparare, approfondire, conoscere e sperimentare e valutare quali siano le aree in cui il mio bisogno di autonomia viene esercitato e quale sia il mio grado di soddisfazione su questi aspetti mi ha messo di fronte degli spunti di riflessione importante: è stato evidente da subito che le aree di minore soddisfazione in alcuni casi siano determinate anche da come mi pongo io in questi contesti e come in altri casi serva probabilmente un cambio di contesto per trovare nuovi stimoli.

 

Qui è emerso un collegamento al concetto di causazione triadica reciproca, elemento centrale nella teoria socio-cognitiva di Albert Bandura. Questo modello descrive come il funzionamento umano sia il risultato dell’interazione dinamica e reciproca tra tre fattori: personali, comportamentali e ambientali

 

1.Fattori personali: Questi includono le credenze, le preferenze, gli atteggiamenti e le abilità cognitive di un individuo. Ad esempio, il senso di autoefficacia di una persona può influenzare il modo in cui percepisce e interagisce con l’ambiente e il comportamento che adotta

2.Fattori comportamentali: Si riferiscono alle azioni, alle scelte e alle risposte verbali di un individuo. Il comportamento è sia influenzato dai fattori personali e ambientali, sia li influenza a sua volta. Le esperienze passate e i comportamenti appresi giocano un ruolo significativo nelle azioni future

3.Fattori ambientali: Comprendono l’ambiente fisico e sociale che circonda l’individuo, come le norme sociali, la famiglia, gli amici e il contesto fisico. L’ambiente può influenzare ed essere influenzato dai fattori personali e comportamentali

 

Il comportamento di un individuo, quindi, non è determinato esclusivamente dalle caratteristiche personali o dai fattori ambientali, ma dall’interazione tra tutti e tre questi elementi.

 

 

3. TEORIA DEL FLOW

 

Imbattendomi nella teoria del Flow, sviluppata da Mihaly Csikszentmihalyi, ho potuto chiarire meglio il perché la sensazione di mancata soddisfazione in alcune aree della ruota mi abbia portato a sentirmi “in stallo” negli ultimi tempi.

La teoria del Flow descrive uno stato mentale in cui una persona è completamente immersa in un’attività, sperimentando un alto livello di concentrazione e soddisfazione. Questo stato è spesso associato a un’elevata creatività e produttività.

 

Il Flow si verifica quando le sfide di un’attività sono bilanciate con le abilità della persona, creando un’esperienza ottimale in cui il tempo sembra volare e la fatica scompare. Durante il flow, le persone perdono la consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante, concentrandosi esclusivamente sull’attività in corso

Csikszentmihalyi ha identificato diverse condizioni che facilitano il raggiungimento del Flow, tra cui:

  • Obiettivi chiari e raggiungibili.
  • Feedback immediato sulle prestazioni.
  • Un equilibrio tra le sfide dell’attività e le abilità personali

 

In particolare, il grafico riportato in Fig.2 mi ha fatto riflettere: nel mio lavoro ho avuto spesso la fortuna di trovarmi in uno stato di flow che indubbiamente mi ha anche permesso in molti momenti di allontanarmi da situazioni critiche al di fuori e mi ha permesso di sentirmi focalizzata e realizzata facendo qualcosa in cui sentivo di poter mettere la mia impronta.

La situazione attuale in cui mi rispecchio, che si riflette nell’ esito del work-in della “Ruota”, è quello di una situazione di controllo da cui ho cercato di uscire individuando nuove sfide in cui sfruttare le mie competenze acquisite.

 

 

4.PIRAMIDE DI MASLOW

 

Nella ricerca del perché quanto descritto in precedenza accada, mi sono imbattuta nella piramide di Maslow.

 

Sviluppata dallo psicologo Abraham Maslow, è una teoria motivazionale che descrive una gerarchia di bisogni umani. La piramide è composta da cinque livelli, ognuno dei quali rappresenta un diverso tipo di bisogno che deve essere soddisfatto per raggiungere il livello successivo. Ecco una panoramica dei cinque livelli della piramide di Maslow:

  • Bisogni fisiologici: Questi sono i bisogni di base necessari per la sopravvivenza, come cibo, acqua, aria, sonno e riparo.
  • Bisogni di sicurezza: Una volta soddisfatti i bisogni fisiologici, le persone cercano sicurezza e protezione. Questo include la sicurezza fisica, la stabilità finanziaria, la salute e il benessere.
  • Bisogni di appartenenza e amore: Dopo aver soddisfatto i bisogni di sicurezza, le persone cercano relazioni sociali e affetto. Questo include l’amore, l’amicizia, l’appartenenza a gruppi sociali e familiari.
  • Bisogni di stima: Una volta soddisfatti i bisogni di appartenenza, le persone cercano rispetto e riconoscimento. Questo include l’autostima, il rispetto degli altri e il riconoscimento delle proprie realizzazioni.
  • Bisogni di autorealizzazione: Questo è il livello più alto della piramide e rappresenta il desiderio di realizzare il proprio potenziale e di crescere come individuo. Include la creatività, la crescita personale, l’autosviluppo e la realizzazione dei propri obiettivi.

 

La teoria di Maslow suggerisce che le persone devono soddisfare i bisogni di un livello inferiore prima di poter passare a quelli di un livello superiore. Questa gerarchia è spesso rappresentata come una piramide, con i bisogni fisiologici alla base e i bisogni di autorealizzazione al vertice.

 

È quindi il bisogno di stima e di autorealizzazione che mi spinge alla ricerca dello “stato di Flow” in un ambiente stimolante in cui posso sfruttare le mie competenze, oggi comprendo anche che questo si possa raggiugere anche in altre aree e da qui qualche “esperimento” che sto facendo nella ricerca di esperienze nuove fuori dall’ ambito lavorativo.

 

 

5.ELEMENTIDEL COACHING APPLICATI ALLA LEADERSHIP

 

Durante questo viaggio, più volte ho visto collegamenti tra il coaching e la leadership, o per lo meno, credo che si possano innestare elementi di coaching nella gestione delle risorse.

 

Il punto di connessione più forte è rappresentato dalla valorizzazione del potenziale: nel quotidiano rischiamo di dimenticarci che l’esplicitare istruzioni chiare e precise può essere d’aiuto solo nel presente ma non nel futuro.

 

Nella teoria della ghianda di Hillman, siamo paragonati a ghiande: ciascuno di noi ha in sé il potenziale per diventare una magnifica quercia. Ci servono nutrimento e incoraggiamento ma nella nostra essenza c’è il potenziale di crescere.

 

Quando ci troviamo a valutare i nostri collaboratori, ci focalizziamo sulle opportunità di miglioramento e pensiamo a come poterli formare perché possano avere una performance migliore. Mettiamo impegno nell’ identificare opportunità formative e attività di mentoring con personale più esperto ma in generale spendiamo un tempo limitato a valorizzare la predisposizione in aree specifiche e a celebrare il successo.

 

Avendo l’opportunità di gestire dei manager, quest’anno chiederò loro di fare una riflessione sul tema del potenziale e della motivazione dei propri collaboratori e di identificare delle iniziative che mettano a frutto questi aspetti, svincolandosi per un momento da ciò che “manca”. È infatti di ciò che “manca” che il manager tende a preoccuparsi sentendo il peso della responsabilità sul risultato ed è qui che per la crescita del collaboratore e per la crescita nel lungo termine sul gruppo, occorrerà un passo indietro, uno sguardo fiducioso sul collaboratore e un aiuto ad esplorare il potenziale e a trovare l’apprendimento al di fuori di istruzioni per risolvere i problemi.

 

Oggi compendo meglio il senso di “staccare” la valutazione della performance dalla “valutazione del potenziale”, la prima si basa sul passato mentre la seconda guarda avanti e permette in un certo senso “di creare” ed è necessario che il leader creda nel potenziale delle persone e stacchi il suo sguardo dalla performance passata. In questa fase si esplica l’alleanza che può esserci anche tra il leader e il collaboratore.

 

Un altro aspetto che mi porto a casa nella prospettiva di introdurre elementi di coaching nella mia leadership è che non è sempre opportuno condividere le proprie esperienze e conoscenze ma, soprattutto nel dialogo a due, usare domande per portare la persona davanti a noi a esplorare il problema e trovare la propria via ci consentirà di fondare i suoi apprendimenti su radici più solide.

 

J. Whitmore nel testo “Coaching” suggerisce un altro elemento chiave per mantenere le alleanze e le collaborazioni: il permesso. Dare il permesso di fare cose crea fiducia e sicurezza in sé, il permesso è parte integrante di un accordo di cooperazione. Spesso nelle riunioni con i collaboratori si tende a dire “io farei così”, “possiamo fare così”, applicando il concetto del “permesso” potremmo aspettare e chiedere il permesso di condividere un suggerimento o di raccontare un’esperienza in cui si ha avuto successo con una particolare tattica.

 

In questa nuova prospettiva il leader è al servizio delle persone e dell’organizzazione, non al centro delle stesse.

 

 

6.CONCLUSIONE

 

In conclusione, ho più volte pensato a quale sia stato lo stimolo maggiore durante questo percorso e credo sia il concetto di “cura”: quella che il coach deve avere del coachee, mettendolo al centro della scena, “senza se e senza ma” concentrando la sua attenzione ed energia su di lui e stando lontano dal tentativo di risolvere il problema ma anche la cura verso di sé per assicurare la centratura e la migliore predisposizione possibile.

 

Francesca Usberti

VP, Pharmaceutical Development, R&D | Parma

f.usberti@chiesi.com

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