
Le Opportunità del Coaching per i Manager: come affrontare le aspettative delle nuove generazioni di lavoratori
Introduzione
I manager da sempre si confrontano con la necessità di dover gestire contemporaneamente lavoratori appartenenti a diverse generazioni. Oggi il mercato del lavoro, anche grazie all’allungamento della vita lavorativa, vede la presenza contemporanea di quattro generazioni: Baby boomer, Generazione X, Millennial (o Generazione Y) e Generazione Z. Le naturali differenze culturali e generazionali influiscono sulla percezione del benessere lavorativo e nell’elaborazione delle strategie per ottenerlo. Ogni generazione è portatrice di un insieme distinto di aspettative, che ne influenzano, fra l’altro, il significato attribuito al lavoro, alla retribuzione e alle opportunità di sviluppo professionale.
In questo contesto, i principi del coaching possono aiutare i manager ad adattare lo stile gestionale alle esigenze delle diverse generazioni di lavoratori, in particolare delle generazioni più giovani.
Questo articolo, dopo una breve riflessione sulle esigenze e sulle aspettative espresse dalle nuove generazioni, così come emerse da recenti ricerche, si sofferma sulle caratteristiche e sulle opportunità offerte dal coaching, in particolare dal coaching evolutivo, e su come esso possa supportare i manager in questo specifico momento storico.
Quattro generazioni di lavoratori a confronto
I Baby Boomer, nati fino al 1964, sono cresciuti in un contesto post-bellico caratterizzato dal clima di fiducia e benessere degli anni del boom economico, mentre la cosiddetta Generazione X nasce tra il 1965 e il 1980, anni di grandi trasformazioni politiche, sia a livello nazionale che mondiale. Queste due generazioni costituiscono ancora la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani.
I cd. Millennials (o Generazione Y, nati tra il 1981 e il 1996) e la successiva Generazione Z, rappresentano al momento meno di un quarto dei lavoratori italiani e sono portatori di nuove aspettative e dinamiche nel mondo del lavoro.
Due recenti studi, uno di Valore D 2 e l’altro di Best places to work 3 , si sono concentrati proprio su queste due ultime fasce di lavoratori, che appaiono distinguersi dalle precedenti in particolare per:
1. Digitalizzazione e tecnologia: cresciuti in un’era digitale, questi lavoratori sono naturalmente abituati a utilizzare la tecnologia e il web per semplificare e migliorare il lavoro e la loro vita personale.
2. Scopo e valori: cercano un lavoro che sia significativo e che rispecchi i loro valori personali, vogliono sentirsi parte di qualcosa di più grande. Apprezzano l’impegno verso la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale e vogliono contribuire positivamente alla società.
(Dati rielaborati dal sito www.dati.istat.it, Occupati in Italia Aprile 2024.
https://www.valored.it/ Lo studio “Oltre le generazioni” è stato pubblicato a marzo 2024 ed è scaricabile sul sito dell’associazione.
https://www.greatplacetowork.it/?_hsmi=311069471 Il rapporto “Best workplaces GenZ” è uscito a giugno 2024 ed è scaricabile sul sito della società).
3. Benessere e work life balance: l’esigenza di tenere l’equilibrio tra vita privata e lavoro è molto più marcata tra le più giovani generazioni rispetto a quelle precedenti. Preferiscono la flessibilità di tempi e di spazi di lavoro, oltre ad essere attratti dai benefit personalizzati e da iniziative di benessere che possano aumentare il loro engagement e la soddisfazione lavorativa.
4. Feedback e crescita continua: fortemente orientati alla crescita e allo sviluppo professionale, i giovani cercano opportunità di apprendimento e apprezzano le aziende che investono nella formazione e offrono percorsi di carriera chiari e stimolanti. Apprezzano i capi che forniscono feedback costruttivi e che li motivano a migliorare continuamente.
L’inadeguatezza degli Attuali Sistemi Gestionali
I modelli gestionali tradizionali si basano su strutture gerarchiche rigide e su un approccio direttivo al management. Questi modelli, efficaci nei contesti industrializzati e nella produzione di massa, non sembrano più del tutto adeguati a rispondere alle istanze delle nuove generazioni, caratterizzate da una maggiore richiesta di flessibilità, autonomia e significato nel lavoro.
Gli aspetti che mostrano maggiore distanza rispetto alle aspettative dei giovani sono, in estrema sintesi:
1. La rigidità gerarchica, che limita la capacità dei lavoratori di contribuire alle decisioni aziendali, causando frustrazione e disimpegno. La Generazione X, che ha vissuto transizioni economiche significative, tende a cercare stabilità ma anche maggiore partecipazione alle decisioni strategiche, mentre la Generazione Z, cresciuta con la tecnologia, si aspetta un ambiente lavorativo agile e collaborativo.
2. L’approccio direttivo, con il quale i manager tradizionali tendono a focalizzarsi sul controllo e sull’assegnazione di compiti e istruzioni; questo approccio è in contrasto con le nuove generazioni, in cerca di autonomia, feedback continuo e sviluppo personale. La Generazione X apprezza infatti la trasparenza e il coinvolgimento, mentre per la Generazione Z è fondamentale un ambiente che favorisca l’innovazione e l’apprendimento continuo.
3. La focalizzazione sui risultati a breve termine: i sistemi gestionali tradizionali spesso trascurano l’importanza del benessere dei dipendenti e dello sviluppo a lungo termine, e quindi passa in secondo piano il ruolo che può essere svolto dal manager. Le nuove generazioni di lavoratori sono invece più inclini a scegliere ambienti che promuovano il work life balance e il benessere psicologico.
Il Coaching come modello da applicare ai sistemi gestionali: una soluzione efficace
Una definizione del coaching.
In letteratura sono diverse le definizioni del coaching; la più calzante per la tesi di questo articolo appare quella del cd. coaching evolutivo, che lo definisce come “un metodo di sviluppo di una persona, di un gruppo o di un’organizzazione, che si svolge all’interno di una relazione facilitante, basato sull’individuazione e l’utilizzo delle potenzialità per il raggiungimento di obiettivi di cambiamento/miglioramento autodeterminati e realizzati attraverso un piano d’azione”.
(Al riguardo si possono consultare sia il sito dell’Associazione Italiana coach professionisti – www.associazionecoach.com -, che il sito della Federazione Italiana coach www.icf-italia.org).
Si possono prendere anche a riferimento diversi testi sull’argomento. Una definizione di coaching è contenuta anche nella Norma UNI 11601-2015: “Coaching – Definizione, classificazione, caratteristiche e requisiti del servizio”, alla cui redazione hanno
partecipato attivamente i rappresentanti delle più accreditate Associazioni di Coaching nazionali tra le quali ICF-Italia, AICP, SCP-Italy. Pannitti – Rossi, “L’essenza del coaching”, ed. Franco Angeli, 2012. Si veda anche Pannitti – Rossi “L’evoluzione del
coaching” Franco Angeli, 2019). Questa definizione offre lo spunto per individuare quelle caratteristiche del coaching che, se incorporate all’interno dei sistemi gestionali, possono agevolare il rapporto con le nuove
generazioni di lavoratori.
Al centro del coaching vi è quindi una relazione fra persone, all’interno della quale il coach facilita e accompagna il coachee a riconoscere il proprio potenziale, a esprimerlo e a svilupparlo, per il raggiungimento dei propri obiettivi. Per un manager che si trova di fatto a “gestire” per conto dell’azienda un vero e proprio tesoretto costituito dalle risorse umane, che come tale deve crescere di valore nel tempo, conoscere e applicare i principi del coaching significa poter favorire la crescita del lavoratore, stimolandone la riflessione, l’autoconsapevolezza e la responsabilizzazione.
Elementi distintivi della relazione facilitante nel coaching
La relazione fra coach e coachee si caratterizza per la presenza di simmetrie (focus sulle uguaglianze) e di complementarietà (focus sulle differenze). Più in particolare si osserva una simmetria nell’interazione di coaching, poiché il coach non è mai in una posizione di superiorità rispetto al coachee, ma si pone alla pari, in una vera e propria partnership, dove i ruoli sono complementari, quindi ben distinti: il coach ha la funzione di accompagnare nel processo e di facilitare il potenziale del coachee, che quindi non viene diretto o sostituito dal coach.
Dal punto di vista del contenuto della relazione invece si osserva un’asimmetria, poiché viene ribaltata la classica dinamica, del tipo maestro-discente o consulente-cliente (o anche capo e collaboratore), dove i primi sono portatori di conoscenze e verità che trasmettono ai secondi. Nella relazione di coaching infatti il contenuto è solo del coachee e il coach, facendo uso di domande aperte, feedback e silenzio attivo, facilita l’autoscoperta e la manifestazione più autentica del coachee.
Tutto ciò per funzionare richiede al coach di attivare un ascolto costruttivo 6 ed essere focalizzato sulla persona e non sul problema, per accoglierne l’unicità senza giudizio alcuno, avere fiducia nelcoachee e nei suoi obiettivi, e infine essere autentico, quindi abbandonare atteggiamenti manipolatori o anche solo meramente indirizzanti.
Per capire bene cosa si intende per focalizzazione sulla persona si può fare riferimento alle quattro A della relazione di coaching:
1. Accoglienza, intesa come dare spazio all’altro e alla sua unicità, attraverso l’assenza di giudizio, un rapporto sereno con il tempo, una capacità empatica e l’accoglienza di sé oltre che dell’altro;
2. Ascolto, sviluppato attraverso l’utilizzo del silenzio, delle domande e del feedback d’ascolto;
3. Alleanza, basata sulla fiducia incondizionata nell’altro, che ne agevola l’assunzione di responsabilità e porta verso la scoperta di sé e delle proprie potenzialità;
(R. Rossi, L’ascolto costruttivo. Tecniche ed esercizi per formarsi all’osservazione e all’accoglienza, EDB, 2013. Per un maggiore dettaglio si veda ancora Pannitti – Rossi, “L’essenza del coaching”, ed. Franco Angeli, 2012 e Pannitti – Rossi “L’evoluzione del coaching” Franco Angeli, 2019).
4. Autenticità, come terreno fertile predisposto dal coach per coltivare accoglienza, ascolto e alleanza.
Spunti per uno stile gestionale inclusivo verso le nuove generazioni di lavoratori
Quanto finora osservato porta a considerare che uno stile di management ispirato al coaching non significa solo adottare una modalità per migliorare i risultati e incrementare il fatturato, ma è prima di tutto una scelta valoriale, che implica una riflessione profonda sul proprio ruolo e sulla propria visione personali: per accogliere uno stile basato sul coaching occorre infatti essere realmente convinti delle potenzialità di ogni singolo individuo, essere motivati a farle emergere e a creare le condizioni (ambientali e psicologiche) affinché ciò possa realizzarsi.
Quindi è necessario, da parte del manager, superare il tradizionale paradigma del controllo e coltivare un atteggiamento interiore di fiducia. Come si è fatto cenno, la fiducia in una relazione, non solo di coaching, è un potente stimolo alla motivazione e alla responsabilizzazione delle persone.
Un manager che si ispira ai principi del coaching non deve diventare necessariamente un coach, anche perché la relazione con i propri collaboratori difficilmente potrà essere del tutto paritetica; tuttavia, come conseguenza di un atteggiamento basato sulla fiducia, un manager in stile coach è in grado di riconoscere autonomia operativa ai propri collaboratori, fornendo loro le necessarie linee guida, e lasciando piena libertà nello scegliere le modalità di svolgimento di un compito. L’errore non deve essere un tabù, ma viene valorizzato come funzionale al processo di apprendimento. Per farlo è necessario astenersi dal giudizio e adottare uno stile comunicativo aperto, rispettoso e diretto, che favorisca l’inclusione e la condivisione delle informazioni.
Un manager tradizionale dedica la quasi totalità del proprio tempo a dare istruzioni, mentre in uno stile di management orientato al coaching la gran parte delle energie del capo sono dedicate al fare domande e all’ascolto. Le domande nel coaching rendono la persona consapevole dei propri processi di pensiero e di azione (autoconsapevolezza), e stimolano a scegliere la risposta più idonea alle diverse situazioni ambientali (responsabilità).
Un manager coach quando pone le domande ai propri collaboratori li aiuta a “specchiarsi” in quello che fanno e a riconsiderare la propria prestazione, per sganciarla da alcune abitudini improduttive; come per un coach, le domande devono essere aperte e non devono pilotare le persone verso le soluzioni viste come migliori, devono lasciare uno spazio di manovra, una libertà che genera auto-consapevolezza e incentiva la responsabilità.
Vediamo in sintesi quali possono essere gli effetti concreti sulle nuove generazioni di lavoratori di un management in stile coaching.
1. Promuove l’autenticità della leadership, poiché il coaching porta i manager a sviluppare uno stile basato sulla trasparenza, sull’empatia e sulla capacità di ispirare e motivare i collaboratori. Questo stile di leadership è particolarmente apprezzato dalle nuove generazioni, che preferiscono capi che facilitino la loro crescita personale e professionale.
2. Favorisce l’empowerment dei collaboratori: lo stile coaching spinge i manager a creare un ambiente di lavoro che promuova il potenziamento e l’autonomia dei collaboratori. Questo approccio è cruciale per le nuove generazioni, che desiderano avere un maggiore controllo sulle carriere e la possibilità di contribuire attivamente al successo dell’azienda.
3. Sviluppa competenze trasversali: attraverso il coaching, i manager possono aiutare i collaboratori a sviluppare competenze trasversali, come la gestione del tempo, la comunicazione efficace e la risoluzione dei conflitti, essenziali in ambienti di lavoro dinamici e in continua evoluzione.
4. Promuove il benessere e la resilienza: fiducia, delega e ascolto sono elementi essenziali per un ambiente di lavoro sano e inclusivo. Questo approccio è particolarmente importante per la Generazione Z, che attribuisce grande valore al benessere psicologico e alla qualità della vita.
(Sul manager coach si veda anche l’articolo di Ibarra, H., Scoular, A. (2019). The Leader as Coach. Harvard Business Review.)
Conclusioni
Le nuove forme di organizzazione del lavoro (smart working, progetti, reti, gestione remota), situazioni sempre più complesse e la necessità di maggiore proattività richiedono un elevato livello di autonomia delle persone. Le attese e le aspirazioni dei lavoratori, e in particolare delle generazioni più giovani, sono cambiate: si sta modificando il rapporto con il proprio capo ed è sempre più presente la necessità di essere riconosciuti non solo per le proprie competenze, ma anche per la propria specifica identità.
I principi del coaching offrono ai manager strumenti efficaci per cogliere queste aspettative poiché contribuiscono significativamente a creare un ambiente di lavoro più inclusivo, motivante e produttivo. Adottare le tecniche del coaching, attraverso opportuni percorsi formativi messi a disposizione dalle aziende, può consentire ai manager non solo di migliorare le performance individuali e collettive, ma anche di affermare una cultura aziendale maggiormente basata sulla crescita continua e sulla collaborazione, che pone realmente al centro la persona.
Francesca R. Valente
Competenza in Professional Coaching Program
Roma
milleuna@gmail.com
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