Categoria: Cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino

Categoria: Cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino

Cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino

È questa la frase che Julius H. Comroe, ricercatore biomedico americano, usa per descrivere la serendipità.

Il termine serendipità indica il fare scoperte per puro caso, trovare qualcosa di inaspettato mentre si sta cercando qualcos’altro. La serendipità è un tipo particolare di fortuna, che si basa su ricerca, spirito acuto e capacità di osservazione.

Alexander Fleming, mentre era coinvolto in un progetto di ricerca, si accorse che una delle piastre di coltura per i batteri era stata contaminata da una muffa attraverso delle spore provenienti dalla finestra. Questo caso permise, dopo ulteriori ricerche, di realizzare un concentrato attivo chiamato penicillina.

La serendipità è legata alla creatività e il Coaching è un processo creativo. La serendipità è parte del Coaching.

Il Coach stimola il pensiero laterale del Coachee per individuare nuove soluzioni.
Il Coachee è accompagnato ad esplorare nuovi territori, nuovi pensieri: il caso, la domanda inaspettata, possono sbloccare le idee rigide e mostrare una nuova strada.

 

Serendipità: le origini

Il termine serendipità fu coniato dallo scrittore Horace Walpole.
Venne usato per la prima volta in una lettera scritta nel 1754 ad un suo amico inglese che viveva a Firenze, nella quale comunicava una scoperta inaspettata che aveva fatto su un dipinto di Giorgio Vasari.

Nella lettera si riferiva a una fiaba persiana “Tre prìncipi di Serendippo” in cui i tre protagonisti fecero scoperte incredibili grazie al caso, sfruttando il loro spirito acuto e la capacità di osservazione.

Il termine Serendipità deriva da Serendip, antico nome dello Sri Lanka.

 

“Il caso favorisce solo le menti preparate”

Louis Pasteur

 

Serendipità nel Coaching

I paraocchi su un cavallo sono oggetti attaccati alla briglia che vengono utilizzati per coprire parzialmente l’occhio.
L’idea alla base è che l’occhio del cavallo sia parzialmente coperto, per impedirgli di vedere in una particolare direzione.

Avere i paraocchi è anche una metafora: ignorare le cose e le situazioni intorno a noi, le nostre possibilità.

La domanda di aiuto del Coachee spesso scaturisce da un blocco mentale, che diventa blocco operativo: un pensiero che va in loop, si ripete sempre, sempre lo stesso.

Un pensiero dello stesso tipo porterà a comportamenti e soluzioni sempre dello stesso tipo.
Per trovare nuove soluzioni occorre trovare nuovi pensieri.

Qui interviene il Coach, avvalendosi della sua esperienza cerca di far esplorare quell’idea, quel punto di vista, che mai prima era stato percorso.
Ma, dal punto di vista pratico, come fa il Coach a stimolare il Coachee a produrre nuovi pensieri?

Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto lo psicologo maltese Edward de Bono e le sue teorie sul pensiero creativo (o laterale). Attraverso l’apprendimento di un modo diverso di pensare, possiamo arrivare alle soluzioni realmente efficaci a risolvere i nostri problemi.

Affidarsi all’istinto ci può portare a soluzioni apparentemente irrazionali, ma che ci fanno uscire da una situazione di stallo.

 

“Think Different”

Apple Computer Inc.

 

Il pensiero creativo

De Bono pensa che la nostra mente costruisca degli schemi, dei modelli, e si basi su di essi per prendere le decisioni.

Il pensiero verticale, quello razionale, si basa su questi schemi.
Passa attraverso le considerazioni più ovvie, seguendo passi giustificati e il principio di causa-effetto. Non permette di inventare nuove soluzioni ad un problema già “schematizzato”.

Questo, di per sé, non è un male, in quanto è quella che definiamo la “massima resa con la minima spesa”.
Diventa un male nel momento in cui questi schemi diventano rigidi e ci costringono all’immobilità.

Il pensiero laterale, quello creativo, cerca invece di rompere gli schemi. Attraverso l’osservazione da diversi punti di vista, segue l’immaginazione e l’intuizione per percorrere diverse stanze, lasciando sempre la porta aperta.
Percorrere nuove strade, nuovi pensieri, porta a nuove scoperte e invenzioni. Il pensiero laterale è più dispendioso del pensiero verticale, ed è per questo che lo usiamo meno.

Nel 1962, lo psicologo Sarnoff Mednick ha pubblicato la sua teoria associativa del processo creativo, in cui sosteneva che “il pensiero creativo è il processo attraverso il quale elementi lontani gli uni dagli altri, si uniscono in nuove combinazioni per elaborare una proposta utile per l’individuo o la società”.

La combinazione degli elementi più remoti è considerata più creativa della combinazione di elementi più simili.

Mednick ha ipotizzato che gli individui possono produrre soluzioni creative attraverso uno di questi 3 processi: serendipità, somiglianza, meditazione.

Serendipità è un processo di associazione accidentale; somiglianza è l’associazione di due elementi che vengono collegati in quanto simili nelle loro funzioni e proprietà, mentre la meditazione è l’associazione di due elementi attraverso una serie di avvicinamenti graduali.

Il Coach accompagna il Coachee a trovare le soluzioni. Quando il pensiero verticale non basta, quello creativo entra in gioco e può fare la magia.

 

“Il principale nemico della creatività è il buon senso”

Pablo Picasso

 

Dentro il Coachee c’è un artista inaspettato

È estate, due bambini in maglietta e pantaloncini giocano per strada felici, si lanciano un oggetto rosso. Tutto suggerirebbe pensare che quell’oggetto rosso sia una palla. Non è una palla, è un cartello rosso che vieta loro di giocare con la palla.

È con questa opera d’arte, dipinta su un muro, che l’artista Banksy gioca con una contraddizione imprevista: il cartello che vieta di giocare a palla assume il valore della palla.

Il pensiero logico, la rappresentazione delle due figure che giocano, ci porta a pensare ad un finale. L’artista, aggiungendo un solo elemento di dissonanza, stupisce lo spettatore con un nuovo finale, sovverte il messaggio logico e ci regala un messaggio tanto potente quanto inaspettato.

Il Coachee, come un artista, può sovvertire le proprie certezze e produrre una soluzione impensata.
In che modo il Coach può aiutare il processo creativo? Attraverso l’uso delle domande.

Partiamo dal dire che ruolo ha il Coach.

Il Coach è un facilitatore, non è un consulente, non è un formatore. Il Coach facilita la scoperta di consapevolezza nel Coachee, la scoperta di sé e delle proprie potenzialità.

Fa questo attraverso l’uso di domande efficaci, volte a raccogliere dati, attivare nuovi punti di vista e far riflettere.

Il Coachee tende a raccontare a se stesso la realtà attraverso i propri schemi predeterminati, il Coach dovrà capire quali sono questi schemi. Attraverso le domande il Coach dovrà prima esplorare l’ambito di discussione, poi dovrà andare alla scoperta di ciò che ancora non è stato considerato.

Il Coach aiuta il Coachee a vedere il quadro nella sua interezza.

 

“L’arte dovrebbe disturbare ciò che è confortevole.”

Banksy

 

Essere artista deliberatamente: una tecnica pratica

Edward De Bono suggerisce la tecnica dei sei cappelli, utile per liberarsi dai propri schemi mentali.
Questa tecnica consiste nell’indossare metaforicamente un cappello, in base al quale cambiare lo schema di pensiero. Ogni cappello rappresenta una direzione di pensiero, con premesse e visioni diverse.
Dopo avere usato tutti i cappelli proattivamente, il Coachee sarà maggiormente in grado di prendere una decisione.

Il cappello nero vuol dire prestare attenzione agli aspetti negativi, ai possibili ostacoli e fallimenti, ci aiuta a pensare a cosa può andare male.
Il cappello bianco vuol dire essere obiettivi, senza giudizi, ragionare analiticamente.
Il cappello rosso rappresenta l’emotività e i sentimenti.
Il cappello blu rappresenta il pensiero strutturato, quello che stabilisce priorità e metodi.
Il cappello verde è il cappello della creatività, rende possibile l’impossibile.

Ritengo che questo esercizio sia molto utile per allenare il pensiero creativo. Vorrei proporne una variante, per aggiungere una connotazione più umana all’esercizio.

L’esercizio che propongo sostituisce i sei cappelli con persone reali.
Il Coachee, invece di indossare metaforicamente un cappello diverso, è invitato a pensare come farebbero persone a lui vicine.
Cercando di ragionare come farebbero suoi conoscenti, il Coachee potrebbe arrivare a conclusioni diverse.
La scelta delle persone in cui immedesimarsi potrebbe essere lasciata al Coachee, oppure potrebbe il Coach proporre persone citate dal Coachee durante la sessione e il cui punto di vista potrebbe differire da quello del Coachee.

 

“Oh, quanto farebbe bene a certe persone se potessero allontanarsi da se stesse”

Seneca

 

Conclusione: la ricerca della serendipità

C’è un tavolo, in una trattoria Bolognese. A questo tavolo sono seduti Louis Pasteur, Banksy, Alexander Fleming, Steve Jobs, Pablo Picasso.
Chiacchierano davanti ad una lasagna. Non lo fanno solo per passare una serata in compagnia, lo fanno perché volontariamente cercano di trarre ispirazione e nuove idee da quella chiacchierata. Ricercano attivamente la serendipità.

Il Coach invita il Coachee a sedersi a quel tavolo, applica un processo creativo che volontariamente ricerca la serendipità.
Il Coaching è un metodo efficace per concepire nuove idee, è la serendipità cercata. Nel coaching il caso si cerca e si crea, non lo si aspetta.

 

 

Nicola Bagnasco

Bologna (BO)
Team Leader
Coach Professionista specializzato in ambito Life
nicola.bagnasco@gmail.com

 

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