Categoria: Il Sogno ad occhi aperti di Sara: da una piccola Ghianda ad una grande Quercia

Categoria: Il Sogno ad occhi aperti di Sara: da una piccola Ghianda ad una grande Quercia

Il Sogno ad occhi aperti di Sara: da una piccola Ghianda ad una grande Quercia

“In ultima analisi, noi contiamo qualcosa solo in virtù dell’essenza che incarniamo, e se non la realizziamo, la vita è sprecata”

C.C. Jung

DA BAMBINA

Nonostante mi sia sforzata di scrivere il presente lavoro nel modo più impersonale possibile, quindi lasciando fuori la mia biografia, le mie emozioni e i miei flussi di coscienza, l’incontro con il  coaching è stato così illuminante e sconvolgente, che tutti i miei sforzi presenti sono confluiti innanzitutto ….. in un ricordo. Qualche sera fa, parlando al telefono con una cara amica, abbiamo cominciato a chiederci quali fossero i giochi che facevamo da bambine, quando lasciavamo libero sfogo alla nostra creatività, e abbandonando gli intrattenimenti pre confezionati, ci sceglievamo uno scampolo di mondo da creare dal nulla. Io scrivevo, scrivevo, scrivevo, e poi? Mi ha chiesto la mia amica. In effetti, ricordo che giocavo all’albergo … all’albergo? Io stavo alla reception e accoglievo le mie sorelle, che erano le clienti. Che strano gioco .O forse no. Già da piccola io affermavo quella che è sempre stata una delle mie potenzialità  più caratterizzanti (per usare la terminologia del coaching): la capacità, il desiderio di relazione. e anche la scrittura in fondo non si discosta tanto da questo: è il desiderio di raccontare, di raccontarsi, di creare un ponte tra il mio mondo interiore e il mondo esterno, o meglio ancora tra il mio mondo interiore e altri mondi interiori. Questa era già la me più vera e più autentica.

LA TEORIA DELLA GHIANDA

Hillman dice, a questo proposito che “noi rechiamo impressa fin dall’inizio l’immagine di un preciso carattere individuale dotato di taluni tratti indelebili”[1].  È la teoria della ghianda, seconda la quale ogni persona viene al mondo con un’immagine che ci definisce, e che incarniamo. Questa immagine è il daimon, che è come dire il nostro destino, la nostra anima, la nostra vocazione. Questa immagine, in quanto  immagine  e quindi in quanto forma che si mostra tutta nella sua totalità, che si può abbracciare con un solo sguardo, reca in sé tutto ciò che ci contraddistingue e distingue. È la ghianda che, pur minuscola, contiene già tutto quanto serve per diventare una maestosa quercia.La conseguenza più diretta di questo assunto è che già nell’infanzia si mostrano i segni evidenti di ciò che la persona, essere unico e irrepetibile, è e sarà. Quindi, bisognerebbe mettersi in ascolto e in osservazione del demone che si manifesta, e fare di tutto per non ostacolarlo, anzi, per facilitarne la espressione. Una vocazione può essere rimandata o elusa, ma alla fine verrà sempre fuori. Il demone non può abbandonarci. Esso sa quello che il bambino, venendo al mondo, ha dimenticato; e cioè conosce il senso per il quale quel bambino lì è entrato nel tempo, e il senso è già scritto prima e fuori dal tempo. Purtroppo spesso l’ambiente e il contesto, ben lungi dal comprendere tutto questo, ostacolano la manifestazione di questo destino. Questa visione è profondamente affascinante e mi ha riempita di speranza. Tra tutti gli argomenti che abbiamo affrontato in questo corso di studi, quello della propria vocazione e della chiamata del  proprio demone interiore mi ha risuonato dentro con una forza che reclamava ascolto. Allora mi sono messa in ascolto, e ho seguito il consiglio di Hillman di revisionare un po’ la percezione che avevo della mia vita passata e quella che ho della vita della mia bambina; mi ha investito un’urgenza imperiosa di fare, e ho capito di essere entrata dentro il coaching con tutta me stessa.

PRESENTE PERCEPITO E FUTURO DESIDERATO

Ho cominciato quindi a chiedermi dove e come si possa operare un intervento di coaching che non sia ristrutturante ma strutturante. Mi spiego: l’intervento di coaching nasce da una crisi di auto governo, quindi in una occorrenza in cui la persona percepisce di vivere una situazione presente non perfettamente in linea con i suoi desideri e le sue aspettative, a fronte appunto di una visione futura che contenga quegli elementi di realizzazione o di risoluzione delle criticità che sta vivendo. L’intervento è strettamente focalizzato sul presente, ma la visione guida è una proiezione futura, da verificare. Naturalmente, il tutto è complicato dal peso delle aspettative, dalle delusioni, dagli insuccessi che possono avere costellato l’esistenza precedentemente o in corrispondenza del presente percepito. Mi sono chiesta quando potesse essere possibile eliminare o quanto meno ridurre considerevolmente il peso di queste variabili, pur in presenza di una certa consapevolezza di sé, per operare un intervento di coaching che potesse appunto essere  puramente di scoperta, di propulsione, di potenziamento.

Una delle prime biografie a cui fa riferimento Hillman, è quella di Manolete, il torero più famoso di tutti i tempi. L’autore racconta che questo eroe spagnolo era un bambino gracile e cagionevole, che nella sua infanzia passava il tempo in casa, attaccato alla madre, leggendo e dipingendo, e si teneva sempre alla larga dalle scorribande con i coetanei e dal gioco della corrida. Finché, pressappoco adolescente, le cose erano cambiate all’improvviso. Il demone chiamava. Questo racconto (e altri analoghi) mi hanno fatto pensare che probabilmente la consapevolezza unita all’innocenza (o a ciò che resta di questa dopo l’entrata in scena della consapevolezza stessa) è una conquista dell’adolescenza. L’adolescente avverte meno oscuramente la sua vocazione, anche se con gradi diversi di coscienza, a seconda della singola e unica persona che è; ed è dotato di una visione del futuro a 360 gradi, una visione che ancora non è offuscata o peggio pervertita dagli insuccessi e dalle frustrazioni che si possono generare con il tempo. L’adolescente ha una visione del tempo intatta, per sua natura sente di avere davanti a sé ancora tutta la vita da vivere, e tutte le scelte da fare, delle quali inizia appena ad avvertire il peso e la responsabilità. Contemporaneamente, è molto focalizzato sul presente, poiché un tratto dell’adolescenza è proprio la tendenza ad assolutizzare certi elementi del suo presente, a sentire intensamente e pervasivamente ciò che gli accade, come se tutto si stesse giocando ora o mai più.Mi sono fatta guidare dall’idea di poter operare una sorta di osservazione in vitro di un fenomeno in evoluzione: la persona che è già tutta racchiusa dentro l’immagine che incarna, ma che sta prendendo coscienza di quella sua unicità, e che tende naturalmente a proiettarsi in un tempo che deve venire, nella quercia che potrà diventare. Per l’adolescente il futuro è ancora SOGNO. L’adolescente sogna ad occhi ben aperti.

UNA SFIDA PER LA PEDAGOGIA

In tutto questo, come si pone il mondo degli adulti?  Coloro i quali dovrebbero vigilare su questo piccolo albero che sta crescendo, colori i quali sono preposti alla sua sopravvivenza, al suo benessere, alla capacità di diventare il più rigoglioso possibile, spesso sono impreparati al compito o peggio, inefficaci.In una prospettiva comune e condivisa, dalla scuola, dalle istituzioni e spesso anche dalla famiglia, manca quasi completamente l’attenzione alle potenzialità caratterizzanti del giovane.La formazione che si dovrebbe offrire agli operatori scolastici e ai genitori potrebbe, a parer mio, suggerire un modo diverso di porsi nei confronti degli adolescenti; un modo più autentico e accogliente di porsi in ascolto, alleandosi con il giovane. Che è esattamente ciò che un coach sa ed è chiamato a fare, nell’instaurare la sua relazione facilitante con il coachee. L’adulto dovrebbe essere chiamato a individuare, da una posizione stupefatta, ammirata e silente, le potenzialità in essere che dialogano ed emergono in tenera età (poiché la ghianda contiene già tutta la quercia dentro di sé), e dopo averle individuate, fare tutto quanto è in suo potere per farle esplodere. Si tratta davvero di una sfida per la pedagogia: è necessario un atteggiamento di fiducia sconfinata e di alleanza totale, per permettere alla pianta di crescere bene e forte. E questo implica un cambiamento di prospettiva non indifferente. Siamo sempre più abituati a sentire e percepire l’adolescente come una persona priva di consapevolezza, di desideri e di aspirazioni. Spesso sentiamo giudizi anche più pesanti che tendono ad appiattire il mondo dei giovani ad un livello di totale mediocrità. Non sarà forse che il nostro modo così sfiduciante e pessimistico di guardare il mondo, quel mondo l’ha reso proprio così? Abbiamo una grande responsabilità, che inizia quando l’adolescente è ancora bambino.   Dobbiamo prendercene carico e cercare di raccogliere la sfida.

UN’ESPERIENZA – L’INCONTRO CON SARA

Sara è una ragazza di 16 anni, che frequenta un liceo linguistico in provincia di Milano, dove vive. Ci siamo incontrate nell’ambito dei miei primi passi nel mondo del coaching, e quindi, nel rispetto della fedeltà al metodo, le ho chiesto di raccontarsi, partendo e arrivando laddove avesse voluto lei. Con grande naturalezza e grande generosità, mi ha fatto entrare nel suo mondo. Sara ha scelto liberamente il liceo che frequenta, ed è completamente centrata sulla sua scelta, a differenza di altri suoi compagni di scuola che si trovano lì dopo avere esclusa ad una ad una le altre opzioni a disposizione. Questa notazione mi ha stimolato una riflessione: quanto valore potrebbe avere per un adolescente che ancora non riesce a percepire quali possano essere le sue potenzialità un intervento di coaching a scuola o in famiglia. Tornando a Sara, la ragazza tuttavia non si sente accolta per quanto riguarda il metodo scolastico: la programmazione non rispetta i suoi tempi, arrancando dietro ad un programma da svolgere, rispetto al quale gli insegnanti tendono a stressare gli studenti piuttosto che ponderare meglio tempi e contenuti. A questo proposito Sara ha avuto un vero e proprio moto di ribellione; in fin dei conti è lei a dover imparare e quindi forse necessiterebbe di essere coinvolta attivamente nelle decisioni sui tempi e i contenuti. Per Sara l’unico vero motivo di stress è proprio la sensazione di non farcela a stare dietro a questi ritmi imposti dall’alto. E qui entra in campo sua madre, la figura di riferimento della sua esistenza, la quale ha il potere e la capacità di calmarla e di convincerla che ciò che la spaventa tanto è assolutamente normale. Si può dire che Sara sia una ragazza fortunata. Ha alle spalle una famiglia che la supporta e l’accompagna con grande attenzione e amore. Ma ci sono molti adolescenti che non hanno in sorte le stesse risorse esterne. Siamo proprio certi – mi chiedo – che la responsabilità, ancora una volta, non sia  di adulti distratti e a loro volta poco cresciuti? Sara è una persona estremamente consapevole e matura, e di sicuro la sua ghianda è stata custodita e curata in modo mirabile. Probabilmente questa cura la porterà lontano. Il suo futuro desiderato infatti, neanche a dirlo, è molto ben definito. Quando le ho chiesto dove si immagina nel suo futuro, lei mi ha risposto che si immagina innanzitutto in America, come interprete simultanea nel settore della moda e dello spettacolo. L’America è il sogno ad occhi aperti di Sara (e non ho potuto fare a meno di pensare, sorridendo, che questo sogno è davvero un evergreen, il sogno di generazioni italiane passate che continua ad eternarsi anche nel nostro presente così diverso per tanti versi. Che forse alla fine c’è un filo rosso che unisce le generazioni passate  e presenti e che sarebbe l’ora di cercarlo, questo filo, invece di predicare l’imbarbarimento dei costumi e il crollo dei valori nel presente, rispetto ad un passato vagheggiato e mitizzato. Che poi è un monito a vivere il presente). E come brillano quegli occhi, quando ne parla! Non si può spiegare, bisognerebbe solo vederlo con i propri, di occhi! Sara mi racconta tanto anche di come è fatta dentro, della sua coerenza nell’affrontare tutto, del fatto che non sopporta chi dice una cosa e ne fa un’altra. Della sua intransigenza (anche se lei non l’ha chiamata così, ha parlato incessantemente di coerenza e di obiettività) nei confronti di certe scelte o di certe debolezze altrui ma anche  della sua voglia di aiutare gli altri e di sacrificarsi per  il bene comune. A questo punto, le ho proposto di fare il test sulle potenzialità caratterizzanti. Abbiamo analizzato le risposte ad una ad una e abbiamo individuato quattro delle cinque potenzialità che Seligman dice essere presenti in posizione di evidenza nella personalità di ognuno. La corrispondenza quasi puntuale con la descrizione che Sara mi aveva fatto di sé mi ha davvero colpita. Quello che alla fine ne è emerso, a parte questa forte centratura che Sara ha su di sé, questa capacità di ascoltarsi e di amarsi per quella che è, è che le sue propensioni più spiccate sono agenti nell’ambito della sfera relazionale. Abbiamo condiviso che il suo futuro desiderato è abbastanza in linea con le sue potenzialità. Il lavoro che immagina di fare è un lavoro di relazione, in cui l’aspetto della traduzione potenzia ancor di più questa tensione alla messa in contatto di mondi e di entità che faticano a comunicare. È molto bello sentirla così coinvolta e pensare che questo coinvolgimento sta probabilmente muovendo delle competenze calde. Magari il suo obiettivo, col tempo, subirà dei cambiamenti ma di sicuro c’è che ne è così perfettamente consapevole, da farmi vibrare di ottimismo (ma di un ottimismo aderente alla realtà) insieme a lei. Questo stesso ottimismo, e specialmente questa voglia di fare che l’incontro con Sara mi ha instillato, io mi prendo il lusso di coltivarla pensando anche a tutti quegli adolescenti che non hanno la fortuna ( o il destino) di Sara. Dietro un ragazzo visibilmente demotivato e apatico, c’è sempre l’invisibile voglia di essere e di esprimersi  che non viene ascoltata; c’è sempre un’immagine che nessuno ha saputo contemplare a dovere, e una ghianda che non è stata raccolta e custodita nel giusto modo.

La tesi centrale di questo lavoro discende quindi con evidenza da questo racconto emozionale di un esperimento in vitro condotto su una ragazza adolescente: se ogni adolescente potesse beneficiare di un accompagnamento nello stile del coaching alla scoperta e alla valorizzazione delle sue potenzialità, potrebbe raggiungere risultati di eccellenza nell’ambito delle sue competenze calde, divenendo un adulto più equilibrato e più felice. “La felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa”. Che è come dire, parafrasando Nietzsche, abbracciare il proprio demone e accettare eroicamente il proprio destino  trasformandolo in una scelta consapevolmente vissuta fino in fondo.

 

Maria Veneziani
Impiegata in una società finanziaria e Coach professionista . Ambito di interesse: life – supporto alla genitorialità.
Bergamo
Mariap.veneziani@gmail.com

[1] Cit. “Il codice dell’anima” – J.Hillman,p.18, Adelphi, Milano, 2013

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