
Dal Low al Flow: la rinascita della didattica attraverso il Coaching
“Lo scopo della vita è lo sviluppo di noi stessi, la perfetta realizzazione della nostra natura: è per questo che noi esistiamo”
Alla base di molte delle problematiche scolastiche, come demotivazione, conflitto, frustrazione quali fattori che determinano abbandono scolastico e crisi di vocazione da parte degli insegnanti, vi è un equivoco immenso e limitante, ovvero :
– che l’obiettivo principale dell’ insegnamento sia rivolto direttamente al raggiungimento di un contenuto (competenza-conoscenza)
– che questo contenuto debba prevalere sulla relazione professore-studente
– che il contenuto sia verticale, ovvero trasmesso dall’alto (insegnante) – al basso (studente).
IL COACHING: Formazione – Relazione efficace – Responsabilizzazione
Il metodo del coaching propone una nuova chiave di lettura della Formazione scolastica, in quanto si propone come metodo teso ad esaltare: –
– la formazione, intesa come processo di crescita in luogo della performance
– la relazione efficace (docente-alunno) quale risorsa primaria di trasmissione del contenuto
– l’attivazione diretta del ragazzo attraverso lo stimolo delle potenzialità e lo sviluppo dell’ autoresponsabilizzazione.
Perché questa condizione si verifichi, il coaching ritiene che chi forma ed educa debba sviluppare determinate posizioni comportamentali:
L’ACCOGLIENZA
Assenza di giudizio
Uno dei requisiti principali per sviluppare questa posizione è sgombrare la mente da qualsiasi forma di pregiudizio maturato attraverso esperienze precedenti, sviluppare il più sviluppato senso di apertura all’altro, darsi il tempo per formulare una valutazione completa, porsi nelle condizioni di poterla rivedere in qualsiasi momento.
Capacità empatica e accoglienza di sé
Accogliere le emozioni e non negarle è uno strumento di relazione potente, perché permettere di cogliere il disagio, captare situazioni disfunzionali e critiche, ma soprattutto di accogliere pensieri, osservazioni, punti di vista del discente, che si sentirà incentivato ad una maggiore e più attiva partecipazione.
Ideale sarebbe anche, in alcuni momenti, che il docente si sentisse nelle condizioni di esprimere anche le proprie personali emozioni, condividere il vissuto, esprimere il proprio giudizio ad un livello parallelo a quello dello studente.
IO SONO OK-TU SEI OK. RELAZIONE ADULTO-ADULTO.
Un’altra delle cause della crisi di autogoverno che determina negativamente il rapporto tra studente e professore, può essere interpretata con gli strumenti dell’analisi transazionale. I docenti si trovano impreparati ad affrontare situazioni di problematicità (quali bullismo, demotivazione, deficit cognitivi). In questo contesto l’insegnante, ed è indotto a farlo anche dal modello culturale dominante, alle volte reagisce con la posizione “io sono ok – tu non sei ok”. Ovvero si centra nello stato dell’Io Genitore e attribuisce allo studente lo stato di Bambino. Da qui quell’atteggiamento giudicante e impositivo che viene percepito come supponenza, imposizione, sopraffazione dal ragazzo. Appare chiaro come in questa dinamica sia difficile creare una relazione funzionale; peggio ancora un rapporto di questo tipo sarà così destabilizzante sulla didattica da incrinare anche la posizione “io sono ok” del Docente. La relazione rischia allora di degradare nel “io non sono ok – tu non sei ok” generando quell’atteggiamento di negatività pervasiva radicata nel professore che farà affondare qualsiasi utopia relazionale e decadere la forza di trasmissione di qualsiasi contenuto.
Il coaching propone invece come modello, il centramento sulla posizione relazionale “io sono ok – tu sei ok”, che porta la relazione all’interno della dinamica Adulto-Adulto. Questa scelta, secondo il coaching, è motivata dall’idea che il ragazzo, davanti ad un atteggiamento ipercritico e verticistico, verrà bloccato nella possibilità di sentire come suo quello che sta imparando oltre che sentirsi svalorizzato, mentre essere centrato nelle posizione di Adulto, stimolerà lo sviluppo dell’autonomia, della consapevolezza e dell’autodeterminazione.
Piacere e Pensiero creativo. Come togliere l’ansia della prestazione ed elaborare il piacere della ricerca dell’eccellenza.
“La felicità non è fare tutto quello che si vuole, ma volere ciò che si fa”
Una delle grandi scoperte di Whitmore e Gallwey è stata quella di considerare la dimensione del piacere un elemento determinante nel raggiungimento dell’obiettivo: “senza piacere non vi è una performance duratura”.
Ma quale valore può portare il piacere nell’attività di studio e apprendimento?
Quando proviamo piacere, ricorda Whitmore, riusciamo a collegarci pienamente con il presente, addirittura ad entrare in osmosi con esso, accrescendo il nostro potenziale di attenzione e proattività, condizione questa straordinaria e potente per chi deve apprendere.
La scuola dovrebbe perciò indurre lo studente al piacere, al punto da soffocare con questo l’ ansia da prestazione e la tensione che tanto inibiscono il potenziale, ma come?
La filosofia che sta alla base del coaching stesso ci concede una risposta, quando afferma che “il contenuto” deve essere spostato sul coachee, quindi scopo del docente è di spostare quanto possibile i contenuti didattici verso un confronto col vissuto dello studente, con le sue caratteristiche personali, con lo stimolo della sua opinione soggettiva. Il fine è quello del coinvolgimento diretto, attivabile con lo stimolo della creatività del ragazzo, per esempio attraverso esercitazioni che lascino ampio margine di libertà espressiva, di ricerca, di attività pratiche o di rimandi concettuali di teorie e concetti al presente percepito.
Anche la stimolazione del pensiero laterale rientra all’interno delle attività svolte a stimolare la creatività e il piacere.
La Scuola è molto incentrata sul rispetto delle regole e su un metodo fisso. L’attivazione del pensiero laterale potrebbe invece avvenire attraverso semplici e pratici interventi: un esercizio da risolvere attraverso diverse modalità, tematiche da trattare in forme differenti, temi aperti, attività nuove aperte ad un coinvolgimento diversificato e pervasivo del ragazzo.
Valorizzazione del potenziale.
Una delle immagini che più facilmente associamo al vissuto scolastico è quella di un insegnante che rimprovera, richiama, stigmatizza un comportamento dello studente. “Non devi fare così”, “correggi questo comportamento”, “se fai così..sbagli!”. Dietro questo atteggiamento, vi è l’idea che esista un modo chiaro e universale di essere bravi studenti, a cui bisogna uniformarsi, che esista un solo modo di essere intelligenti, brillanti, eccellenti. Ma se così fosse, bisognerebbe chiedersi perché tanti studenti mediocri hanno dimostrato nella vita talenti eccezionali, manifestando capacità e qualità che la scuola non aveva saputo portare alla luce. Forse l’errore del nostro modello sta nel non tenere conto che ognuno di noi è profondamente diverso, particolare, irripetibile. Questa unicità riguarda anche le diverse potenzialità che ognuno di noi sviluppa nel corso della vita; secondo le teorie del coaching, le potenzialità sono la risorsa a cui dobbiamo attingere per superare le difficoltà, quindi è sulla piena valorizzazione di queste che la Scuola deve “lavorare”, invece che insistere nel censurare attitudini ritenute “non adatte”.
Quanto tempo ha – per esempio – perso la Scuola nella critica alla pigrizia, all’eccessiva vivacità dei ragazzi, alla loro abulicità, senza considerare che forse il vero problema era che gli studenti si trovavano in una condizione di passività rispetto all’utilizzo del proprio potenziale.
Quando il contenuto non è centrato sull’obiettivo dell’insegnamento, ovvero il ragazzo stesso, è difficile pensare ad una sua piena autorealizzazione e la scuola diventa un sacrificio faticoso in cui i più disciplinati riescono, i più fragili soccombono.
Ma come esercitare nell’attività didattica le ventiquattro potenzialità dell’individuo rilevate dalla Psicologia Positiva? Come fare in modo che ogni studente, nello stesso spazio e tempo, porti alla luce quelle cinque caratteristiche dominati che Seligman e Peterson ritenevano fossero il punto di forza di ognuno?
La risposta migliore – forse – è che ogni studente rappresenta una risposta diversa: un ragazzo che presenta socialità e leadership soffrirà il non vivere attivamente l’area della relazione scolastica, chi invece presenta creatività e curiosità, non può certo essere chiuso in attività meccaniche, lo studente con una sviluppata apertura mentale concepirà la propria realizzazione scolastica più efficacemente se messo nelle condizioni di essere critico e personale.
Spetta ad una Scuola più attenta e lungimirante capire che dietro la “malattia scolastica” vi è una salute inespressa e che un incontro tra performance e potenzialità favorisce lo sviluppo del talento, toglie spiacevolezza al compito, favorisce l’avvicinamento al flow.
La realizzazione del sé
Qual è lo scopo della vita? Dal pensiero maieutico di Socrate agli insegnamenti dei miei coach Pannitti-Rossi la risposta è la stessa: conoscere e realizzare se stessi, autodeterminare la propria esistenza, portare alla luce la propria “leggenda personale”. Una vita che perde questa dimensione, finirà per diventare frustrante e incompleta. La Scuola non deve dimenticare che il suo ruolo educativo e formativo non può prescindere da questa responsabilità.
Ascoltare lo studente, dare attenzione al suo “kairos”, favorire la sua attivazione personale, stimolare l’autonomia e la responsabilizzazione, sono condizioni forse non sempre facili da concretizzare, ma assolutamente utili al raggiungimento di quello stato unico e meraviglioso, chiamato “flow”, in cui nulla pesa, la potenza è al massimo e anche la fatica diviene piacere.
RICCARDO SPADONI
Life & Business Coach
Milano
spadoniriccardo@yahoo.it
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