
Sport senza campioni
La mia frequentazione di un corso di coaching e la comprensione dell’assoluta trasversalità del metodo, mi ha portato alla consapevolezza della mancanza di un approccio metodologico nella cura infermieristica (nursing) dei malati di cuore.
La pressoché totale assenza di interventi individualizzati e di colloqui motivazionali in grado di rispondere al bisogno del singolo paziente è ancora più grave se si considera che le aziende ospedaliere costituiscono il luogo per la prevenzione della patologia.
E’ dimostrato che l’approccio multidisciplinare è fondamentale per la riuscita degli interventi di prevenzione, tuttavia ancor oggi nella realtà italiana non viene riconosciuto il ruolo fondamentale che il coach – come professionista in grado di attivare l’auto-motivazione e l’auto-determinazione del paziente/coachee – può rivestire in un programma personalizzato di prevenzione secondaria.
Nella mia tesi – atto finale del corso di coaching frequentato – “Sport senza campioni. L’autoefficacia nell’aderenza terapeutica nel processo di prevenzione cardiovascolare. Il coach nell’alleanza alla motivazione all’esercizio fisico”, tento di dimostrare come il coaching, visto come strumento di educazione alla salute e metodo centrato sulla qualità della comunicazione (domande-rimandi-feedback), si presenti come strumento di particolare interesse in tutte quelle attività d’intervento, prevenzione o adeguamento a situazioni sociali, che richiedono oltre ad una forma di comunicazione empatica anche, per essere metabolizzate, un percorso di conquista interiore da realizzarsi attraverso varie “tappe”.
Ogni tappa, intesa come realizzazione di piani d’azione in continuo “rilancio”, proprio in quanto auto-conquistata, ha valore di appoggio e fondamento di quella successiva per un percorso effettivamente durevole ed efficace.
Il mio studio è focalizzato sull’importanza dell’attività fisica in quanto è stata oggetto di studio nel recente passato ed identificata come elemento fondamentale (vita sana per un cuore sano). In passato si pensava che il riposo fosse la “migliore medicina”, gli studi scientifici attuali evidenziano invece come la sedentarietà sia un fattore di rischio rilevante nella cardiopatia ischemica, mentre un’attività fisica costante e regolare allontana e diminuisce la probabilità di insorgenza della cardiopatia. Il rischio relativo alla sedentarietà risulta, in ordine di grandezza simile, a quello dell’ipertensione, dell’ipercolesterolemia e del fumo.
Tra i pilastri su cui fondare la riabilitazione, l’esercizio fisico è quello che costituisce la sfida più difficile, in quanto strumento terapeutico considerato “faticoso” e i cui risultati non sono immediati.
Nella maggior parte dei casi, dell’esercizio fisico a breve termine vengono percepite solo le difficoltà: stanchezza, dolori muscolari, fiato corto; raramente inoltre si ottengono rinforzi sociali da parenti – soprattutto nelle persone anziane – o da amici.
Motivare una persona con malattia cardiovascolare e/o anche in soprappeso ad abbandonare uno stile di vita sedentario risulta pertanto spesso difficile.
Lo scopo dell’infermiere –coach è dunque quello di aiutare la persona a mobilitare le proprie risorse personali nell’affrontare il problema che viene portato all’interno della relazione di coaching.
Nella prevenzione, all’interno del processo di coaching infermieristico, acquista particolare rilevanza la valutazione dell’aspetto motivazionale, con particolare riguardo a quanto il paziente si senta pronto a cambiare (stage-of Change Model), quanto ritenga se stesso in grado di poter cambiare (self-efficacy) e quanto forte senta la spinta al cambiamento.
Il colloquio motivazionale è un approccio che ha lo scopo di aiutare i paziente-coachee a costruire il coinvolgimento terapeutico necessario a raggiungere la decisione di cambiare. Aiuta la persona a riconoscere i suoi problemi reali o potenziali legati alla persistenza di un comportamento disadattivo ed a prendere coscienza delle possibili strategie utili per modificare questo comportamento.
La percezione di autoefficacia, secondo la teoria di Albert Bandura, non si riferisce al grado di abilità che una persona possiede, ma alla convinzione circa ciò che può fare in determinate circostanze con le proprie capacità. Diverse persone con abilità simili, o la stessa persona in circostanze diverse, può agire inadeguatamente, adeguatamente o straordinariamente, a seconda delle variazioni delle sue convinzioni di efficacia personale.
Il METODO consiste quindi, nell’instaurare una serie di relazioni interpersonali che pongono l’infermiere–coach nella condizione di dover contemporaneamente assicurare al paziente–coachee un aiuto, un sostegno, e porre le condizioni affinché questo decida consapevolmente e volontariamente di mettere in atto certe azioni.
Solo il metodo dell’alto sostegno con assenza di direttività corrisponde all’approccio del coaching.
Sulla base della mia esperienza pluriennale di infermiere professionale, ho verificato direttamente in questi ultimi tempi l’efficacia del nursing–coaching, sia con il singolo paziente-coachee, sia in team (familiari) ottenendo di fatto una maggiore disponibilità alla modificazione del proprio stile di vita. Nei controlli di follow-up ho constatato il raggiungimento concreto degli obiettivi prefissati pre-dimissione, ed una elaborazione del vissuto dell’esperienza-malattia più consapevole, con conseguente riduzione degli elementi di stress. In alcune occasioni inoltre, anche i familiari hanno partecipato attivamente all’esercizio fisico proposto al paziente-coachee.
Per concludere, visti i risultati ottenuti nella mia esperienza diretta “sul campo”, auspico l’implementazione dell’utilizzo del coaching in tutte le discipline sanitarie e – a maggior ragione – in ambito cardiologico-riabilitativo e l’inserimento della figura del coach nell’equipe multidisciplinare ospedaliera.
Giacomo Pisaroni
giacomo.pisaroni@gmail.com
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