
La macchina del tempo e l’Effetto farfalla
Nel coinvolgente racconto di fantascienza dello scrittore statunitense Ray Bradbury “A Sound of Thunder” (1952) ambientato nell’anno 2055, l’essere umano è capace di viaggiare nel tempo, cioè di realizzare uno tra i suoi sogni più ambiti (a questo proposito, il recente esperimento effettuato dal C.E.R.N. di Ginevra ha riproposto alla comunità scientifica una nuova possibilità teorica), ed è inoltre consapevole che una minima variazione delle condizioni naturali provocata nel passato può causare cambiamenti macroscopici, allorché imprevedibili, nel presente. Infatti, è proprio ciò che accade nel racconto.
Un ricco uomo di affari appassionato di caccia partecipa ad un safari preistorico per abbattere un Tirannosauro vissuto 60 milioni di anni fa. Nel momento cruciale, preso dal panico e contravvenendo alle regole degli accompagnatori di non abbandonare mai il sentiero artificiale appositamente costruito, il protagonista calpesta il suolo primitivo non accorgendosi che il suo scarpone schiaccia una farfalla.
Al ritorno nel presente si scopre che il contesto lasciato alla partenza non è lo stesso: evidentemente la morte prematura di quella farfalla, milioni di anni addietro, ha innescato un’imprevedibile catena di eventi nella storia del mondo, che hanno causato un cambiamento sostanziale del presente.
Pare che questo geniale racconto abbia ispirato il matematico Edward Lorenz, padre della Teoria del Caos, a formulare l’ipotesi dell’Effetto farfalla:
“Il battito delle ali di una farfalla in Brasile può scatenare un tornado in Texas !” (1979)
E agli occhi del coaching e di chi utilizza questo metodo come un approccio alla vita, questo racconto cosa ispira? A me ha suggerito due riflessioni.
La prima è legata al fascino da sempre evocato dalla macchina del tempo. Volere conoscere approfonditamente un determinato periodo storico o un personaggio, immaginare come sarà il futuro dell’umanità, sono pensieri certamente positivi che esprimono le potenzialità dell’amore per l’apprendimento e della creatività, e che possono venire soddisfatti per esempio guardando un film, un documentario o leggendo un libro.
Viceversa, il desiderio di trasferirsi in un’altra realtà temporale è un’intenzione disfunzionale e interferente un processo di autentico sviluppo personale. Sognare di vivere, anche solo una parentesi di tempo, nel passato o nel futuro, potrebbe significare non accettare il proprio sé, la propria specificità di persona unica ed irripetibile, che è sancita innanzitutto dall’essere nati in un determinato momento della Storia. Perdersi in un’altra realtà temporale allontana dal vivere pienamente il “qui ed ora”, approccio che sta alla base di una costruzione dell’autorealizzazione e della propria felicità.
La seconda riflessione suscitata dalla lettura di questo racconto è legata alle azioni volontarie o involontarie che producono un cambiamento. La Teoria del Caos afferma che in un sistema dinamico complesso, a variazioni infinitesime delle condizioni di ingresso corrispondono variazioni macroscopiche in uscita, le quali, su tempi molto lunghi, non sono prevedibili con precisione.
Ogni momento del nostro presente è composto da azioni consapevoli o inconsapevoli, da scelte e da non-scelte. Anche il non-agire è una modalità dell’agire e tutti i nostri comportamenti producono comunque dei risultati. Come ci suggerisce la Teoria del Caos, più lungo è l’intervallo di tempo che si prende in considerazione, più difficile sarà prevedere con esattezza il risultato finale delle nostre azioni (e delle non-azioni), in quanto viviamo all’interno di una realtà complessa (l’essere umano stesso è considerato un sistema dinamico complesso).
Lavorare affiancati da un coach ad un piano d’azione costituito da azioni autodeterminate, finalizzate ad obiettivi concreti e misurabili ed in linea con il proprio futuro desiderato significa aumentare le probabilità che le proprie azioni volontarie e consapevoli producano un risultato finale auspicato. Ciò è garantito soprattutto da un importante aspetto metodologico del coaching: il monitoraggio.
I costanti feedback di monitoraggio forniti dal coach in ogni sessione rendono il piano d’azione uno strumento potente e, allo stesso tempo, flessibile. Le azioni che lo compongono sono correggibili e migliorabili. Il cammino di avanzamento verso una meta finale desiderata non è mai lineare, ma il controllo sistematico sul processo, aspetto centrale nel coaching, è ciò che facilita l’attuazione del cambiamento desiderato permettendo al coachee di esercitare costantemente e nella consapevolezza la propria facoltà di agentività.
In questo senso, ai fini del cambiamento, la funzione di monitoraggio sull’effetto delle proprie azioni diventa tanto importante quanto l’agire stesso.
Alessandro Pannitti
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